L’INGANNO DELLA FATA MORGANA

Bruxelles, 10 Aprile 1999

Oggi riusciamo a spiegarci ogni infamia con formule precostituite, con lagne politiche che trasferiscono altrove le nostre responsabilità e persino i nostri stessi sentimenti.


Non meravigliamoci perciò più di tanto se le pagine dei giornali ci rimandano quotidianamente l’elenco di violenze che si compiono nel mondo e soprattutto non tranquillizziamoci credendo poi che tutto accada fuori dalla sfera privata.

Di fronte ai drammi quotidiani, ahimé, cerchiamo disperatamente motivazioni lontane, facciamo finta di essere innocenti cercando spiegazioni che non ci coinvolgono più di tanto, senza volere ammettere l’egoismo, la stupidità e la crudeltà della nostra società.

Alla ricerca di un mondo dove violenza e male non esistano, ci illudiamo di vedere quello che invece è solo virtuale, assolutamente fuori dalla realtà.

Così Pasqua trascorre all’insegna della violenza e degli orrori del Kossovo, con il dissertare di pace risolto in un ragionamento sfociato nella folle spirale di una guerra che rischia di appiccare il fuoco alla polveriera dei Balcani, alle soglie delle nostre coscienze, nel cuore stesso di un’Europa che rimane, purtroppo, primato dell’economia e della moneta, ancora incapace di parlare di difesa e di sicurezza degli europei senza i suggerimenti o le regie americane, un’Europa che parla di quel che è giusto e quel che è sbagliato senza lasciare niente al ripensamento, al fatto di chiedersi che forse ci stiamo sbagliando tutti, indistintamente, quando non facciamo niente per far tacere le bombe e la violenza.

Ma Pasqua anche all’insegna della festa e delle mete turistiche prese d’assalto da gente che certamente non sta pensando agli orrori della guerra, impegnata così a tranquillizzare la propria coscienza e crearsi una sfera virtuale dove tutto è giustificato, affogando nell’effimero il senso d’impotenza di fronte alla tragedia della guerra.

Una ricorrenza festiva che si risolve in un miraggio, una visione incantata che, al risveglio, ci proporrà la realtà con i suoi orrori e rischierà di ingannarci e – come il re barbaro – di farci annegare, credendo di essere riusciti a raggiungere quello che invece è ancora lontano, abbagliati, come quel re, da un’illusione.

Racconta una leggenda siciliana che al tempo della discesa dei barbari verso il sud ed il sole, un’orda di questi conquistatori, dopo aver attraversato tutta la penisola giunse sulle rive dello stretto di Messina. Il re barbaro, soggiogato dalla bellezza che vedeva di fronte – spiagge coperte di arance ed ulivi e il grande monte fumante chiamato Etna – passava intere giornate a pensare come poter raggiungere quella terra di sogno e impadronirsene. Ma non possedeva neanche una barca per poter attraversare il mare e perciò si disperava. Lo udì una fata che, spinta da compassione, decise di venire in suo aiuto.

Era un pomeriggio di settembre, il cielo e il mare erano senza un filo di vento ed una nebbiolina sottile velava l’orizzonte.

La fata disse al re di guardare ai suoi piedi e questi vide nell’acqua, nitidissimi, come se potesse toccarli con mano, i monti dell’Isola coperti di uliveti, le spiagge verdi di arance e limono, il porto di Messina con i bastimenti, i moli e persino i marinai che caricavano le merci.

Con un grido di gioia balzò giù da cavallo, si tuffò nell’acqua, l’incanto si ruppe e, trascinato giù dal peso della sua armatura, quel re affogò miseramente.

Ecco perché in certe giornate particolarmente luminose, dall’Isola si riesce a vedere limpidissima la costa che sta di fronte e che invece dista parecchie miglia. È un fenomeno ottico, un’illusione che, appena si spezzerà, ci lascerà alla realtà più crudele.

È una magia dello Stretto, l’inganno della Fata Morgana.

Eugenio Preta