L’ignoto marinaio

Oggi nella chiesa del sacro cuore di Sant’Agata di Militello, quell’ignoto marinaio troverà finalmente la sua isola e, nel silenzio di candelabri e fiori dipinti, si acquieterà il suo errabondo andare per piazze e contrade, quella sua voglia di girare e rigirare l’isola ogni volta come quando da Milano vi ritornava per una parentesi di serenità, un ritorno alle origini: Sant’Agata di Militello, il suo mare, il passio e lo sconforto dei giovani dopo lo smog e le nebbie di un Nord parsimonioso e frenetico, ma lontano.

E nel nostro bimestrale L’Isola, braccio culturale de L’Altra Sicilia, a cui anni fa venne a mancare l’abbecedario salesiano di don Rizzo, maestro di infinite letture e classici greci e latini e divieti e tanto affetto nelle spire di un’adolescenza lenta da venire e veloce poi ad andarsene, con la scomparsa dei riferimenti che il tempo cancellava lasciandoci disarmati e soli davanti allo scorrere della vita, oggi si vede privata di un altro punto polare di riferimento culturale, un maestro di vocaboli e parole, ricercatore e forgiatore di una lingua siciliana vera, non artefatta né fasulla come quella di tanti inventori di storie che oggi hanno scoperto nel dialetto neanche poi universale dei paesi inventati, la fortuna dei loro scritti.

Con Consolo scorrevano sulle pietre vive del quotidiano le acque scarse e forse inquinate dei torrenti delle piane siciliane sotto sbalze fino ai muri a secco, nella sperimentazione linguistica che trovava in termini mutuati dai classici, antichi, aulici e barocchi, l’origine di un linguaggio poetico forgiato nella modernità delle rivolte contadine prima e nei gas di scarico dei forconi oggi, certamente nuovo e di una beltà trascendente il tempo e lo spazio e le mode.

Tanti scritti, per noi sempre pochi però, ormai chiusi nella scansia dei ricordi, nei ripiani di una biblioteca che si piegano oggi sotto il peso di voluminose raccolte di parole, molte superflue ma alcune preziose e irrinunciabili come quelle di Pirandello, Bufalino, Consolo, D’Arrigo, D’Anna, Tomasi di Lampedusa, Lucio Piccolo e per la formazione di una coscienza critica e di una accennata conoscenza linguistica sperimentale.

E’ strano, oggi che il carro funebre del maestro di retablo attraversa autostrade e trazzere alla fine per ritornare a casa Consolo, che si sia interrotto quel blocco dei Tir che ha lasciato immaginare il risveglio delle coscienze e che quei “forconi” indispensabili si siano trasferiti verso il nord, quasi in controsenso a questo viaggio del maestro, quasi a non voler imbarbarire con le accezioni del quotidiano quel cammino finale verso il sacro e l’incondizionato.

Restano perciò, in un piano più in basso, le proteste e le rivendicazioni della gente, fuori posto nella tristezza di un giorno particolare che ci riporta a ripensare ad una lingua che vorremmo anche noi possedere e forgiare come ha fatto Vincenzo Consolo, al barone Piraino, alla sua Mandralisca, allo spasimo di Palermo, all’ulivo e l’olivastro, a retablo, alle pietre di pantalica, a nottetempo casa per casa, alle descrizioni dello stretto più nitide delle foto di Ferdinando Scianna e rivive per un attimo anche Gesualdo Bufalino e quella vita che, diceva, sentiva forte tra le dita, per malconcia che fosse, ma che lentamente scivolava via.

La nostra Isola, oggi, si ferma un attimo, mentre bruciano le candele di quella cerimonia finale.
Nel continuo girare e rigirare i luoghi della nostra terra , come diceva Vincenzo Consolo, e nella voglia e nella smania che non ci lascia mai stare fermi in un posto, restiamo trepidi e spaventati mentre sospettiamo sia questo una sorta di addio, una specie di tenzone finale, un voler vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.

Eugenio Preta
L’ALTRA SICILIA – Antudo