RIFLESSIONI SULL’ENIGMATICA STRAGE DI PORTELLA DELLE GINESTRE

Nel giugno del 1987 a Montelepre veniva pubblicato dalla casa editrice “La Rivalsa” un corposo libro di 342 pagine, avente inoltre un’appendice fotografica e documentale, intitolato “MIO FRATELLO SALVATORE GIULIANO” degli autori Marianna Giuliano e Giuseppe Sciortino Giuliano, rispettivamente sorella e nipote di Salvatore Giuliano.

Dall’introduzione firmata solo dal secondo autore, figlio di Marianna Giuliano, apprendiamo, però, che il libro è stato scritto soltanto da questo, tanto è vero che a pag. 8 si legge che “Il merito maggiore va a mia madre….La sorella di Turiddu, che con lui condivise gli ideali e che lo affiancò nella lotta sia armata che politica. Senza di lei… Forse non sarei mai riuscito nel mio compito”.

Il detto libro ha chiaramente e certamente finalità apologetiche e giustificative del personaggio che per circa sette anni tenne a scacco nell’immediato dopoguerra le forze dello Stato Italiano, ma è altrettanto certo che la sorella di Turiddu Giuliano, Marianna, coniugata con Pasquale Sciortino, fu la confidente prediletta del fratello e quindi la depositaria di tantissimi segreti.

Uno storico attento e scrupoloso non può liquidare sic et simpliciter i fatti riportati nel detto libro come non veritieri perché di parte, ma deve saper sottoporre a vaglio critico tali fatti con le risultanze di altre fonti.
Volendo anch’io strizzare qualche gocciolina della mia penna nel fiume impetuoso d’inchiostro versato sull’oscura strage di Portella delle Ginestre del 1° Maggio 1947, mi cimenterò con il presente scritto a fare alcune considerazioni tenendo anche presente “la verità” ammanitaci in proposito del detto libro da pag. 233 a pag. 250, senza, però, trascurare il tutto nel suo complesso.

Ormai è un fatto assodato e certo anche perché esplicitamente ammesso dai familiari di Salvatore Giuliano nel libro anzidetto, che la strage di Portella delle Ginestre fu opera della banda Giuliano. Incerti sono invece, i moventi, gli eventuali mandanti e tutti gli ammenicoli che la circondano perché volutamente soffusi da inestricabile cortine fumogene lanciate appositamente da interessati formazioni politiche e da pezzi deviati dell’apparato statale del tempo, tanto è vero che tanti atti relativi alla strage risultano tutt’oggi segretati e non consultabili dagli studiosi.

Fatta questa premessa, cercherò di partire da punti fermi e non controvertibili per cercare di evidenziare fatti e personaggi che direttamente o indirettamente e che anche solo marginalmente hanno avuto da fare con la strage, sia pure perché chiamati in causa da terzi.

È unanimamente riconosciuto che tutta questa problematica non venne acclarata dagli accertamenti giudiziari che ne seguirono perché è risaputo anche dagli studenti del 1° anno di giurisprudenza che la verità giudiziaria può non corrispondere con la verità reale in quanto le sentenze si fondano su quanto le parti sono riuscite a provare nell’ambito del processo.
Un primo punto fermo da cui partire, a mio parere, è quello del clima politico non solo del momento in cui avvenne la strage, ma anche di quello immediatamente precedente.

All’epoca soffiava impetuoso il vento dell’indipendentismo siciliano capeggiato da Andrea Finocchiaro Aprile e da Antonio Varvaro e sorretto dalla formazione guerrigliera dell’EVIS (Esercito Volontario per L’Indipendenza Siciliana) messa su nella Sicilia Orientale dal professore universitario Antonio Canepa, ucciso il 17 Giugno 1945 a Randazzo assieme ad altri due giovani guerriglieri, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, in un altro oscuro agguato su cui vi pesa ancora il segreto di Stato.

Sia il Varvaro che il Canepa erano due uomini dalle idee dichiaratamente di sinistra.
Per attuire e poi definitivamente debellare il separatismo siciliano incalzante, il Governo Italiano del tempo, formato e sostenuto anche da uomini della sinistra socialcomunista e da democristiani e liberali, adottarono diverse strategie, rivelatesi efficaci e proficue. Tra queste ritengo che la più efficace sia stata quella attuata la notte del 1° Ottobre 1945 consistente nell’arresto realizzato con le modalità di un vero e proprio rapimento di Finocchiaro Aprile e di Varvaro, nonché di Francesco Restuccia ritenuto erroneamente comandante dell’EVIS. In tal modo si operò la decapitazione del movimento indipendentista e se ne dispose la chiusura delle sue sedi con conseguente scompiglio della sua organizzazione.

I predetti per sei mesi vennero tenuti prigionieri nell’Isola di Ponza e poi vennero rilasciati senza subire inspiegalbimente alcun processo. Si sconosce se durante la prigionia i predetti avessero ricevuto visite di esponenti della politica nazionale ed internazionale, se fossero stati o meno indotti ad adottare una linea morbida ovvero ad accettare un tacito compromesso.
A pag. 202 delle “Memorie del Duca di Carcaci” (Ed. Flaccovio – Palermo) leggiamo che l’ambasciata inglese a Roma “riferisce una intervista di Aldisio nella quale egli dichiarava che, in seguito all’arresto del leader, il Movimento separatista era in trasformazione verso idee autonomistiche e federaliste”.

Il mio sospetto del compromesso maturato durante la detta prigionia trova perciò un obiettivo riscontro, avvalorato dalle ripetute successive esplicite dichiarazioni di Finocchiaro Aprile, secondo cui l’autonomia costituiva un primo passo da fare verso la futura indipendenza, che veniva così accantonata ed allontanata sine die nel tempo.

Il 15 Maggio 1946 e cioè prima ancora del referendum istituzionale e dell’elezione dell’assemblea costituente con cui si doveva stabilire l’assetto interno dell’Italia post-bellica, con molta accortezza e perspicacia venne emanato l’ardito statuto autonomistico siciliano con cui in teoria si veniva a creare una specie di Stato federato, ma con la segreta intesa che doveva restare scritto sulla carta, per come i fatti di oltre un cinquantennio ci confermano.
I fatti anzidetti e l’emanazione dello Statuto fecero regredire sino alla sua scomparsa il bubbone indipendentista spuntato con virulenza sul corpo dello Stato Italico.

Nonostante le cure chirurgiche (eccidio di Randazzo, prigionia dei capi indipendentisti, chiusura delle sedi del Movimento ecc.) e le cure mediche (emanazione dello Statuto), il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano) il 2 Giugno del 1946 riuscì a fare eleggere all’assemblea costituente quattro deputati, ridotti, poi, a tre per la defezione di Varvaro.
Tutto questo succinto preambolo ci aiuta a capire in un certo senso la problematica che ruota attorno alla strage di Portella delle Ginestre, consistente nel palleggiamento della responsabilità da destra a sinistra e viceversa, servendosi reciprocamente come organo strumentale di lancio del bandito Giuliano e del separatismo già giunto all’orlo del collasso.

È un fatto storicamente certo che tra la fine del 1946 ed i primi del 1947 il n° 2 dell’indipendentismo siciliano, Varvaro, venne definitivamente attratto nell’orbita d’influenza della sinistra italiana, all’epoca monopolizzata dai socialcomunisti filosovietici e non si sa bene se coscientemente o inconsapevolmente strumentalizzato da altri, al 3° congresso del MIS tenutosi a Taormina il 31.01.1947, il Varvaro operó una scissione, dando vita al Movimento Indipendentista Siciliano Democratico Repubblicano (M.I.S.D.R.), che si presentò alla prova elettorale del 20 Aprile 1947 per l’elezione della prima Assemblea Regionale. Questa scissione, sicuramente fomentata dalle sinistre, unita alle cure chirurgiche e mediche anzidette approntate dai partiti italiani, ebbe l’effetto di ridurre il bubbone separatista ad una insignificante piccola crisi. I partiti italiani avevano così vinto la battaglia unitaria contro l’indipendentismo.

Nel libro sopra indicato scritto dalla famiglia Giuliano-Sciortino, leggiamo che Turiddu Giuliano appoggiò il Movimento creato dal Varvaro, che in passato era stato avvocato difensore dello stesso e che nel Febbraio 1947 aveva inviato un messaggio al bandito con cui “lo invitava a prendere contatti con alcuni esponenti del PCI” di cui Girolamo Li Causi era il personaggio di maggiore spicco.

A pag. 234 del detto libro si legge che al fine di rimuovere dubbi e perplessità Varvaro combinó un incontro tra Li Causi e Turiddu, che avvenne a villa Surisi alla periferia di Borgetto, di cui era proprietario un nipote di Varvaro. In quell’incontro si convenne ad ogni costo l’elezione di Varvaro ed a tal fine il Li Causi assunse l’impegno di far votare nella sua zona d’influenza per il M.I.S.D.R. E la stessa cosa avrebbe fatto Giuliano nella zona da lui controllata. Sempre nel detto libro leggiamo che successivamente ci furono altri due incontri tra Li Causi e Turiddu in località Lo Zucco ed a Palermo.

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I risultati elettorali, però, furono totalmente negativi: né Varvaro né alcun altro del M.I.S.D.R. venne eletto.
Gli autori del libro così continuano il racconto: “Avevamo subito una batosta sia morale che materiale. Li Causi ci aveva ingannati e Varvaro questo doveva saperlo fin dall’inizio”. Turiddu convocó a Sagana il Varvaro il quale “manifestó chiaramente la sua rassegnazione ed il proponimento di sciogliere il neo partito e di inserirsi in un partito di sinistra. Cosa che effettivamente fece, qualche mese più tardi, iscrivendosi al P.C.I.”.

Giuliano cacció in malo modo il Varvaro e meditó la vendetta contro Li Causi che lo aveva tradito facendogli perdere “soldi e credibilità”.
Quindi Giuliano mandó al Li Causi alcune lettere con Gaetano Pantuso, che rimasero senza risposta. “Questo comportamento di Li Causi lo aveva esasperato” e il 28 Aprile con lo stesso mezzo gli mandó l’ultimo messaggio con cui “gli dava appuntamento a Portella delle Ginestre dov’egli ogni I° Maggio soleva recarsi per fare il comizio ai contadini.

“Gaetano Pantuso aveva consegnato il messaggio direttamente all’interessato, ma quella stessa sera egli era stato avvertito: se fosse andato a Portella poteva rimetterci la vita”.
Giuliano avrebbe dato disposizione ai suoi di partire per Portella e di portare solo i mitra con qualche caricatore di riserva e qualche moschetto mod. 91, ma Giuseppe Passatempo volle includere nell’armamentoanche una mitragliatrice contro la volontà del suo capo. Alle sette del mattino del I° Maggio giunsero a Portella e si fermarono ai piedi della collina “Pizzuta”. Verso le dieci si erano radunati circa tremila persone e si udivano canti e vocii festosi. Verso le ore 10,30 circa sale un oratore sulla famosa “Pietra di Barbato” da dove si soleva tenere il comizio ed incomincia a parlare.

Giuliano scrutava la zona con il binocolo, ma poiché il punto di osservazione era alle spalle dell’oratore, non poteva vederli in viso e credendo che si trattasse di Li Causi ordinò ai suoi di sparare in aria. In circa tre minuti i suoi uomini vuotarono due caricatori a testa senza che la gente si scomponessescambiando le raffiche per spari di mortaretti. Quindi Turiddu impartì l’ordine di sparare all’altezza di venti metri alto dalla testa delle persone per provocare lo scompiglio della folla e potere così scendere a valle per prelevare il Li Causi. Alle nuove raffiche tutti si volsero a guardare la collina da dove provenivano gli spari ed anhe l’oratore si volse. Turiddu a questo punto vide con il binocolo che l’oratore non era Li Causi ed ordinò immediatamente di cessare il fuoco e di tornare a Sagana. “Ma Giuseppe Passatempo si precipito’ verso la mitragliatrice dicendo: Ce ne dobbiamo andare così senza far prendere un pò di spavento a quelli là sotto? E assieme a Salvatore Ferreri (detto Fra Diavolo) cominciarono a sparare.
“Turiddu urlò disperatamente con quanto fiato aveva in gola: Disgraziati. Che cosa avete fatto?… Li massacrò di pugni e calci…….. Boia! Pregate Iddio che nessuno si sia fatto male!… La pagherete cara”.

Gli autori del libro a questo punto si domandano: “Fu una disgrazia? Fu il frutto della mania omicida di una mente malata? Oppure Giuseppe Passatempo, o tutte due, furono pagati per compiere il nefando gesto? Chi poteva avere interesse? Un politico? Un mafioso? “Quando due giorni dopo arrivarono a Sagana i giornali che riportarono la notizia della strage, Giuliano si avventò su Passatempo e gli rifilò due sonori ceffoni, strappò la pagina del giornale e gliela infilò in bocca poi fece denudare il Passatempo ed il Ferreri, li fece legare a due alberi d’ulivo e li fece frustare con trenta colpi a testa, lasciandoli, poi, così legati per due giorni e indi li cacciò via. Infine gli autori del libro evidenziano che dalla perizia balistica fatta seguire dalla magistratura, risultò che i proiettili che causarono i morti ed i feriti provenivano tutti dalla medesima arma: una mitragliatrice Breda. Quell’arma che Giuseppe Passatempo aveva voluto portare ad ogni costo in quella disgraziata spedizione”. Precisarono, inoltre, che se gli 800 colpi sparati fossero stati diretti tutti sulla popolazione, i morti non sarebbero stati due, ma almeno cinquecento.

Questa è la “verità” della strage secondo la famiglia Giuliano-Sciortino, rivelata a suo tempo da Turiddu alla sorella Marianna. Indubbiamente questa è una verità di parte con cui si cerca di scagionare di responsabilità diretta il Giuliano e di scaricare la responsabilità non si sa bene se dolosa o colposa, su Passatempo e Ferreri, componenti della banda Giuliano e al contempo quest’ultimo confidente dell’ispettore di polizia Messana da cui ebbe anche un lasciapassare per circolare liberamente, nonostante pendessero sul suo capo numerosi mandati di cattura ed una condanna definitiva all’ergastolo. Per inciso ricordo che il Ferreri nel Giugno 1949 in una oscura ed inquietante operazione nei pressi di Alcamo venne catturato dai Carabinieri e portato in caserma gli venne spenta la voce per sempre con un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo. Tale fatto venne giustificato con la tesi della legittima difesa, che anni dopo la commissione antimafia definì “profondamente sconcertante”. Come si vede si brancola in tutto e per tutto in mezzo ai misteri più fitti e sanguinari. In ogni caso una certa responsabilità della strage di Portella per cosi dire preterintenzionale, è comunque da ascriversi a carico di Turiddu Giulianu.

Una cosa, però, appare certa: la superiore versione è immune da vizi logici, non appare fantasiosa, è possibile perché raccordabile con dati di fatto certi, obiettivi, provati e verificabili per come in seguito preciserò. D’altra parte mi domando: dove sta la prova che Giuliano in persona sia stato spinto a commettere la strage degli agrari o dei mafiosi per come è luogo comune? Fatti storici obiettivi escludono anzi tali ipotesi.

Senza voler fare illazioni maliziose e lanciare calunniose accuse contro chicchessia, nell’esaminare i fatti del caso certi ed incontrovertibili, balzano subito all’attenzione dell’esaminatore, scevro da preconcetti e da passioni politiche, alcune considerazioni che non si possono sottacere e sottovalutare.
In primo luogo lascia perplessi la scissione dell’indipendentismo operata da Varvaro ed il suo successivo passaggio al P.C.I., che gli assicurò, poi, sino alla morte un seggio di deputato a Sala d’Ercole. Si è trattato di un’altra operazione chirurgica concordata con la sinistra unitaria per debellare l’indipendentismo siciliano? Ovvero il Varvaro si lasciò inconsapevolmente strumentalizzare? Il dubbio sorge spontaneo e mi auguro per il buon nome di Varvaro, che gli storici possano sfatare questo sospetto.

Altro fatto certo è che nella campagna elettorale del 20 Aprile 1947 la famiglia Giuliano con in testa la sorella di Turiddu, Marianna, appoggiò apertamente il partito sinistrorso di Varvaro, tanto che quest’ultima assieme alla sig.ra Jolanda, moglie di Varvaro, andarono in giro per i paesi a fare propaganda elettorale e il M.S.I.D.R. nella sola Montelepre conseguì l’alto numero di voti, 1521. Se poi si tiene conto che nel governo romano vi erano all’epoca anche i socialcomunisti (Togliatti era Ministro della Giustizia) appare chiaro che l’intendimento di Giuliano era quello di ottenere o una amnistia che azzerasse le sue responsabilità ovvero un salvacondotto per sé e per i suoi collaboratori più intimi per espatriare.

Turiddu credette di trovare in Varvaro il suo referente diretto che potesse tramite un influente pezzo grosso della sinistra siciliana, che viene individuato nella persona di Girolamo Li Causi, ottenere da Roma quanto agognato.
L’insuccesso elettorale di Varvaro fece crollare il sogno di Giuliano e questo, sentendosi tradito, organizzò la spedizione punitiva di Portella delle Ginestre in cui non è escluso che degli infiltrati e confidenti (Salvatore Ferreri v. op. cit. pag. 245) combinarono la strage, così come sopra esposto.

Altro fatto che mi induce a credere alla versione data dalla famiglia Giuliano e la inspiegabile diserzione per quell’anno del Li Causi dalla manifestazione di Portella e l’assenza di un dirigente qualificato e di primo piano della sinistra. Le perplessità ed i dubbi aumentano allorquando successivamente si è saputo che quel I° Maggio a Portella la Camera del Lavoro di Palermo aveva disegnato come oratore ufficiale il giovane attivista Francesco Renda, oggi prestigioso docente universitario di Storia, il quale (quannu si dici chi lu davulu è pizzutu!) non arrivò in tempo nemmeno lui a Portella per un asserito guasto alla motocicletta che lo trasportava, verificatosi ad Altofonte. In quella importante manifestazione, venutasi a trovare allo sbando per l’assenza degli oratori designati prese la parola di sua iniziativa, dopo l’estenuante inutile attesa, il calzolaio Giacomo Schirò, segretario della sezione del P.S.I. di San Giuseppe Jato, scambiato da Giuliano per Li Causi al momento dell’inizio degli spari secondo la versione anzidetta.

La tesi ufficiale che venne portata avanti e che ancora oggi si sostiene è quella secondo cui Giuliano a Portella agì sotto la spinta di forze agrarie e monarchiche, che con la strage vollero vendicarsi della sconfitta elettorale subita e dare un segnale di forza alla sinistra. Questa ipotesi non regge perché priva di ogni elemento di prova e di ogni connessione logica dei fatti.
Giuliano nella campagna elettorale aveva sostenuto un partito di sinistra (il M.S.I.D.R.) ed è inconcepibile oltre che materialmente impossibile che nell’arco di tempo di appena otto giorni circa egli avesse potuto mutare orientamento ed allacciare rapporti con la destra agraria e reazionaria, la quale nulla gli poteva promettere perché nelle elezioni era stata pesantemente sconfitta, mentre la sinistra socialcomunista aveva non solo vinto conseguendo 29 seggi all’Assemblea Regionale, ma aveva anche suoi qualificati esponenti nel governo centrale di Roma, che avrebbero potuto aiutarlo secondo la sua illusoria aspettativa.

Si è trattato, perciò di un tentativo di una eclatante vendetta diretta contro una determinata persona ritenuta verosimilmente autrice di un cocente sgarro, sfociato in una strage o perché la conduzione dell’azione sfuggi`di mano a chi la comandava (Giuliano) ovvero perché voluta da infiltrati e confidenti (Ferreri? Passatempo?).

Il prof. On. Giuseppe Montalbano, personaggio di primo piano della sinistra siciliana, oscillante dalle posizioni filosovietiche alle posizioni indipendentiste assunte nella sua vecchiaia, accusò allora della strage i monarchici e precisamente il principe Gianfranco Alliata, Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso, che lo querelarono per calunnia. Il Montalbano fu assolto, ma gli accusati non vennero condannati: quindi i dubbi rimangono.

Altra fanfaluca corsa sulla bocca e sulla penna di tanti è quella secondo cui Giuliano agì personalmente sotto la spinta della mafia. Al riguardo non esiste alcun straccio di prova, ma solo supposizioni soggettive, di estrazione riguardante la passione politica, e perciò irrilevanti.

Un’ultima inquietante considerazione: Su particolari atti dell’eccidio di Randazzo del 17 Giugno 1945, della strage di Portella delle Ginestre e della morte di Giuliano vi è apposto il segreto di Stato. “È chiaro che non si è trattato di fatti limpidi e per tutti innocui come si vuol far credere. Di sotto c’è qualcosa di grosso che oggi è bene che non si sappia. Perciò ai posteri l’ardua sentenza.

Dott. Salvatore Riggio Scaduto