Un disservizio sociale pagato a caro prezzo

Avola, 4 Marzo 2003

Un caso di Malasanità, su cui riflettere; che si tratti del caso dell’Ospedale di Noto, o di un altro Ospedale lontanissimo, cambia poco, se i problemi sono più o meno uguali. Qui non siamo in Afghanistan o in Irak! Qui, pensate un po’, siamo nell’ultima lingua di terra d’Europa, nell’estremo Sud d’Italia, in quel territorio dell’ex Val di Noto, conclamato di recente Patrimonio dell’Umanità.


Un prevalente pensiero in seno all’opinione pubblica afferma che l’offerta di beni e servizi della Pubblica Amministrazione sia insufficiente e scadente rispetto alla domanda dei cittadini, soprattutto in relazione al gettito fiscale dei medesimi contribuenti.

Per onore di verità devo dire che ho motivo di condividere la tesi sostenuta, purtroppo a causa di fatti vissuti presso l’Ospedale Civile Raffaele Trigona di Noto, cittadina sì sede del Barocco siciliano, di recente inserita nel patrimonio dell’UNESCO, ma quanto a gestione dell’ospedale civile non gode della medesima fama.

L’ospedale in questione visto dall’esterno non dà proprio l’impressione della cattiva gestione, anzi, chi vi giunge per la prima volta ha anche la fortuna di trovare un comodo parcheggio per l’auto. Ma la sorpresa, come in ogni cosa, è sempre dentro.

Così, al primo piano, dove è situato il reparto di Ginecologia e Ostetricia, reparto incriminato, il paziente si imbatte in un lungo corridoio arredato da vetuste panche occupate da altri pazienti che attendono il loro turno per entrare forse nell’unico ambulatorio (sempre occupato da qualche medico di turno) disponibile; le pareti si caratterizzano per la loro particolare rovina, sporcizia e funeree nel loro apparire complessivo. La sala operatoria del reparto in questione non è funzionante per via di alcuni lavori di manutenzione (così è stato riferito) e pertanto il personale fruisce di sale operatorie al secondo piano, del reparto di chirurgia, dove le donne in stato di gravidanza che si apprestano a subire l’intervento da parto cesareo vengono “invitate” a raggiungere a piedi, e senza l’ausilio di alcuno del personale paramedico o infermieristico, la sala operatoria, transitando attraverso un corridoio ove parenti, amici e affini di altri pazienti attendono, tra una sigaretta e l’altra, gli esiti operatori di altri interventi. Il tutto nella più totale indifferenza del diritto alla privacy. Ma credo che all’ospedale di Noto il diritto alla privacy sia un optional.

Le stanze di degenza sono fatiscenti, le infrastrutture malfunzionanti e vetuste. Durante le nottate di questo febbraio molti sono stati i pazienti che hanno sofferto il freddo: i termosifoni venivano spenti ad una certa ora della sera perché questa era la disposizione. E le richieste di coperte dei pazienti, soprattutto di quelli che avevano subito poche ore prima un intervento chirurgico, non potevano essere soddisfatte in quanto a dire dal personale infermieristico le coperte “erano contate”.

Benché un avviso all’ingresso del reparto avverta degli orari di visita, non esistono – di fatto – orari di entrata, limiti di permanenza e orari di uscita per le visite ai familiari in degenza; ed è anzi consuetudine portare nella stanza abbondanti colazioni a base di squisiti manicaretti locali, consumate tra gli stessi familiari fino a notte fonda, con caffè e consueta sigaretta finale. Il tutto sotto l’occhio vigile del personale infermieristico che di tutto si preoccupa tranne che di inibire tali comportamenti.
Alle lamentele dei pazienti, il personale invita a presentare denuncia presso la Direzione sanitaria dell’ospedale. Come se la Direzione sanitaria dell’ospedale avesse oltre che la competenza di gestire l’ospedale (e che competenza, e che gestione!) anche quella di ricevere le denunce relative al proprio disservizio. Dopo questa esperienza, uscito dall’ospedale, più precisamente dal reparto di Ginecologia e Ostetricia, mi è venuto il dubbio se fossi o meno uscito da un osteria invece che da un ospedale. E volendo eguagliare l’iniziativa dell’UNESCO, mi sono anche chiesto se non sia il caso di inserire la cittadina barocca anche nell’elenco dell’Organizzazione internazionale WHO (World Health Organization), Organizzazione Mondiale della Sanità che ha anche compiti – tra gli altri – di assistenza in materia sanitaria, a favore dei popoli bisognosi. Magari che non si risolvano i problemi.

Mi sono detto infine che c’è poco da scherzare: la “Malasanità”, non solo quella propriamente concepita come fenomeno di corruttela, ma anche quella in cui il servizio pubblico è concepito (purtroppo) solo come una mera esecuzione di atti, è una problematica di rilievo della società civile, e segnatamente di quella moderna dove tutto, e quindi anche i malati e soprattutto il modo di curarli, acquista importanza solo ed esclusivamente attraverso il mercato, lecito o illecito che sia.
Per non piangere, mi sono fatto una risata.

Dopotutto è Carnevale!

Leonardo Miucci