Fermate le bocce

Sono passati solo due mesi da quando Monti è salito al Colle e ha presentato al suo Pigmalione la lettera di dimissioni, iniziando così la sua campagna elettorale alla ricerca di un vero mandato parlamentare che lo avrebbe legittimato ad eseguire gli ordini delle banche europee e delle varie lobbies finanziarie

Due mesi, ed oggi, all’indomani dei risultati delle elezioni politiche, sembra sia passato più di un secolo con il vento che ha spazzato i palazzi della politica e sembra aver mutato il sentire della gente, solo parzialmente pero’, perché ancora vecchie mummie sembrano essere rimaste, intontite si’, ma sempre sul campo.

Certo sarebbe stato troppo chiedere ai cittadini, afflitti nel loro quotidiano e impoveriti nelle loro possibilità di sussistenza, operare il taglio netto di quel mondo politico che pur aveva dato inequivocabilmente segnali di incapacità e di egoismi personali, altro che governo della cosa pubblica…

Ma accontentiamoci, nel senso che almeno tutti i giochi di potere si sono fermati, mandati al macero insieme ai vecchi protagonisti che ora faranno i conti con gente che degli inciuci del Palazzo non ne vuole sapere e vorrà invece iniziare per davvero il discorso sulla città e sui suoi bisogni.

La sconfitta di Monti è stata la sconfitta innanzitutto della gente comune sui tecnici saccenti ed arroganti. Tutto obbediva al disegno “teutonico” dell’UE di imporre ulteriore austerità fiscale ad un’economia boccheggiante come quella italiana. Per far questo necessitava ancora dei servigi di Monti, che tanto bene aveva operato in soli 12 mesi, dopo averlo consacrato nuovamente presidente del consiglio, con sommo gaudio della Merkel, di Barroso e dell’inutile Schultz.

In definitiva sembrava la vendetta di un’Europa triste e protestante che odia il sud e specialmente la troppo allegra Italia, per la sua abilità nel venir fuori da ogni situazione difficile finanche rivolgendo a proprio vantaggio difficoltà che altrove erano vissute tragicamente e con grande apprensione. Ma anche di un’Europa che in fondo amava questo Paese, croce e delizia di austeri fustigatori e trepidi amanti, e che con Monti, – richiamato a guidare il Paese ed eseguire il taglio delle spese, l’aumento delle tasse, e ancora docile ad accettare quella sessione di bilancio europea e quel fiscal compact, il pareggio di bilancio che castra la sovranità degli Stati e avanza senza più’ opposizione nella costruzione in senso federale dell’Unione – avrebbe avuto carta bianca.

Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi… Monti non solo ha perso le elezioni interne, ma ha ottenuto il risultato di mettere in stato di allerta il cittadino sull’austerità iniqua che l’Europa aveva imposto e brigava di continuare ad imporre agli Stati nazione. L’austerità eseguita da Monti su input dei poteri forti europei ha ottenuto la riprovevole conseguenza di scatenare una profonda crisi economica di tutto il vecchio Continente perché l’imperativo di ridurre la spesa pubblica senza l’attuazione di necessarie politiche di crescita si è rivelato una specie di suicidio collettivo che ha riportato l’economia europea in stato di grave recessione, ed ha aumentato un sempre crescente tasso di disoccupazione, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.

Così, “Omnes tulit punctum…,” come recitava il titolo originario della divina commedia dell’Alighieri, anche il bravo Professore ha ottenuto il suo duplice scopo !
Da una parte ha suonato la sveglia al cittadino, non solo in relazione all’atteggiamento da tenere nei confronti della sfera europea , ma anche sul piano interno dove, ed era pure troppo prevedibile, è riuscito a sciogliere lo tsunami di Beppe Grillo ma anche a determinare la rinascita di un maestro della comunicazione come Silvio Berlusconi, che finalmente trovava nuovi spunti elettorali di impatto politico che gli hanno consentito una rimonta vincente.

Dall’altra parte è rimasto il coito interrotto del PD e del povero Bersani destinato ad essere un perdente anche quando vince, l’inutilità della sinistra ecologica, l’imbroglio di Giannino e l’arroganza di Ingroia, mentre si ridimensiona pesantemente il troppo valutato Casini e scompare miseramente Fini.

Una triste parabola quella di un uomo che “voleva farsi re”, ma che ha collezionato una serie di errori di valutazione politica e di arroganza personale che lo hanno portato, è vero, alle più alte cariche delle Istituzioni, alla soddisfazione di mere aspirazioni personali che, per la gente perbene non varrebbero il prezzo del tradimento di ideali e di valori, e che sono servite a cancellare un mondo che prima di essere componente politica, era stato comunità umana, unione di speranze, comunità di fede.

eugenio preta