Giuseppe Voza, soprintendente ai beni archeologici dell’isola: ”La mia Sicilia

Intervista a Giuseppe Voza, soprintendente ai beni archeologici
dell’isola: «Dobbiamo aprire ai privati»

Giuseppe Voza è un raro esempio di emigrante al contrario.
Sessantenne, nato a Paestum, è siciliano d’adozione dal 1965, anno in
cui viene assegnato alla soprintendenza alle Antichità della Sicilia
orientale, diventandone prima reggente, poi titolare dal ’79. Nei tre anni precedenti
era stato direttore della zona archeologica e del Museo nazionale di Paestum.

A parte una parentesi come docente di paletnologia all’Università
di Napoli e alcuni studi su Paestum e la pianura del Sele, ha dedicato I’intera
sua vita alla Sicilia e a Siracusa, di cui è l’attuale sopraintendente,
continuatore ideale degli archeologi Paolo Orsi e Luigi Bemabò Brea.
Al suo attivo numerose campagne di scavo nelI’isola ma soprattutto, la creazione
del museo archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa, fra i più
importanti e moderni del mondo.
Voza ne ha curato I’allestimento e ne è stato il primo direttore.

È fresca di stampa I’ultima fatica dello studioso, il
volume Nel segno dell’antico (Arnaldo Lombardi editore), sorta di affascinante
cavalcata archeologica che passa in rassegna cinquemila anni, dall’età
neolitica fino a tutto il periodo dell’affermazione della civiltà greca.
Stentinello, Castelluccio, Thapsos, Pantalica, Megara Hyblaea, Siracusa, Eloro,
Acre, Casmene, sono i siti in cui Voza ha compiuto le ricerche di cui dà
conto nel volume. Il libro dimostra la «responsabilità geografica
della costa sud-orientale della Sicilia « ideale battigia della storia»,
sulla quale si sono distese le onde culturali che portarono all’incivilimento
del Mediterraneo.
Incontriamo I’autore a Ortigia, nella sede della soprintendenza.

Qual è oggi lo stato dei beni culturali in Sicilia
?

« In pratica non c’è un solo metro quadrato siciliano
privo di interesse archeologico. Si tratta di un patrimonio in gran parte ancora
sconosciuto. Di conseguenza il dovere che ci sovrasta è enorme. Come
lo sforzo di conciliare con la tutela del territorio e del suo patrimonio le
esigenze di vita delle comunità modeme. Purtroppo lo Stato, la Regione
e gli enti locali fanno pochissimo per la maggiore ricchezza della Sicilia:
la sua cultura ».

In virtù del suo molto speciale Statuto la Regione
Sicilia ha avocato a sé la diretta gestione dei « beni culturali
». Qual è I’attuale quadro normativo e come si armonizza con quello
nazionale? In particolare, è positivo il decentramento, oppure ci ha
resi più provinciali ?

« Esistono due leggi regionali che disciplinano l’intera
materia : la n. 80 del 1976 e la 116 del 1980. In teoria I’organizzazione e
i modi di gestione s’ispirano alla legge quadro statale. In pratica ci uniformiamo
alle norme statali solo per gli orari e le mostre. Non c’è unità
sostanziale. L’autonomia ha fallito perché invece di decentramento burocratico
è diventata isolamento, separatezza, provincializzazione. Orsi e Brea,
i due studiosi che più hanno fano per la Sicilia (per parlare dei morti),
erano di Rovereto e di Genova. La gestione del patrimonio archeologico e ambientale
non puo essere svincolata da quella nazionale, come invece purtroppo oggi accade.
Che senso ha estaurare un tempio greco a Paestum secondo un criterio e ad Agrigento
o a Metaponto secondo un altro ? Occorrerebbero inoltre criteri univoci nella
selezione e preparazione del personale, continui scambi culturali. Le attuali
soprintendenze hanno poi una divisione e organizzazione legate all’area delle
province, mentre prima delI’autonomia facevano riferimento alle zone con omogeneità
culturali ».

I mosaici di piazza Armerina danneggiati dal vandali,
la Valle dei templi offesa dalla speculazione, le oasi invase dal cemento non
inducono all’ottimismo. Anche se, di recente, sembra esserci una timida riscossa.
Che cosa prevede?

« Le amministrazioni pubbliche si stanno attivando per
migliorare la situazione, ma siamo molto lontani dall’indispensabile potenziamento
dei mezzi e del personale. E non si va a nozze coi fichi secchi o con le belle
parole…».

II Museo « Paolo Orsi » è una creatura
viva, capace di spiegare al vlsitatore le vicende del territorio, di introdurlo
nei segreti della storia. Ma rappresenta
un’eccezione. E tutto il resto ?

« Ci sono voluti vent’anni per realizzare l’ «
Orsi ». Farlo era un dovere rispetto alla massa enorme di reperti che
documentavano la storia di un’area vastissima. Si è cercato di allestire
un museo modemo, svincolato da ogni aspetto ottocentesco e tipologico.
Oggi abbiamo difficoltà enormi a tenerlo aperto. Ci sono gravi carenze
nello staff tecnico-scientifico. Mancano archeologi, restauratori, geometri,
fotografi, custodi. Ogni giorno è una scommessa ».

A Trieste casa Morpurgo, a Madrid il museo Cerralbo,
nella Lapponia svedese il minuscolo museo di Arjeplog. Sono piccoli esempi di
come dovrebbe essere un museo moderno, vivo, di faclle comprensione anche per
i semplici visitatori. Perché In Sicilia nulla esiste di simile e l’lmportante
Museo etnologico Pitrè di Palermo è così vecchio e polveroso,
da sembrare nato già «morto» ?

«Perché manca, in Sicilia e nel resto d’Italia,
una coscienza civica che imponga il rispetto della nostra storia. Ho incontrato
resistenze enormi dovendo effettuare alcuni scavi in piazza Duomo a Siracusa,
perché avrei interrotto la circolazione, danneggiato i commercianti…».

Come si svolge la giomata tipo del soprintendente di
Siracusa ? Lei ha subito anche un’ingiusta carcerazione, per un episodio legato
ad un appalto dal quale è uscito a testa alta. In suo favore si mobilitò
anche Sgarbi che la definì « uno fra i migliori soprintendenti
d’ltalia ». Perdoni l’insolenza chi glielo fa fare ?

« Il sovrintendente fa il ” pompiere “, nel
senso che è costretto a inseguire le scoperte fortuite. Prenda Siracusa:
ovunque si scavi c’è qualcosa da salvaguardare. D’altra parte le esigenze
di una grande città non sono quelle di un centro di 10mila abitanti.
Occorrono strade, fognature, elettricità, infrastrutture. Chi deve attendere
al bene della
collettività fa un lavoro difficile che cozza contro tanti interessi.
Occorre contemperare le esigenze della cultura con quelle dei singoli, ma c’è
una soglia oltre la quale la fermezza dev’essere incrollabile. Non sono un missionario,
ma sento il dovere di chi ha accettato di essere un funzionario dell’Amministrazione
per la difesa del patrimonio
comune che è universale. E sono pronto a correre i rischi che il mio
lavoro comporta ».

Trent’anni fa furono scoperti i mosaici policromi pavimentali
di una villa romana di epoca imperiale, denominata « del Tellaro »,
vicino a Noto. Nel suo
volume lei ne sottolinea importanza e bellezza. Dopo un laborioso restauro sono
ancora custoditi dalla soprintendenza, in attesa della ricollocazione in
«situ». Che tempi prevede per la conclusione della vicenda ?

« Entro I’anno, dopo la gara d’appalto, dovrebbero essere al loro posto.
Ho ricevuto assicurazioni dalla Provincia che si è fatta carico dei finanziamenti
» .

La Regione ha concesso gratuitamente per venticinque
anni al Fondo ambiente italiano (Fai) la Kolymbetra, un vecchio agrumeto nel
cuore della Valle dei templi. I cinque ettari scampati al sacco di Agrigento
sono in parziale abbandono, ma riceveranno adesso le cure di agronomi, botanici
e paesaggisti. Perché I’intervento dei privati, la « sponsorizzazione
» che pure potrebbe sopperire alla cronica mancanza di mezzi e strutture
delle istituzioni, è cosi raro ?

« Sono favorevole all’intervento dei privati. Ovviamente nel rispetto
di alcune regole dettate dal superiore interesse pubblico. In 35 anni, però,
l’offertaa più cospicua che ho ricevuto in Sicilia ammonta a cinque milioni
di lire. Buoni per la birra…».

Felice MODICA


II museo « Paolo Orsi » di Siracusa un fiore all’occhiello per I’ltaliaer
l’Italia. Tutti i siti archeologici della Provincia di Siracusa trovano la loro
storia nel museo «Paolo Orsi». Intestato all’eminente archeologo
roveretano che operò a lungo in Sicilia tra il 1888 e il 1934. Novemila
metri quadrati di superficie espositiva distribuiti su
due elevazioni, più altri 3mila metri quadrati di depositi, laboratori
e seminterrati, ospitano circa 20mila pezzi e ne fanno il più importante
museo dell’Isola e uno dei maggiori del genere al mondo.

II museo si trova all’interno del parco di Villa Landolina, poco distante dall’antico
quartiere siracusano della Neapolis. Esso ricostruisce la storia dell’isola.
dalle origini fino al periodo romano. Vi si trova materiale proveniente da tutta
la Sicilia e d’importazione greca, cipriota e maltese. Straordinarie le testimonianze
della « Civiltà del Castelluccio » (dal secondo millennio
alla fine del XV secolo a.C.), di « Thapsos » (fine XV-XIII secolo
a.C.) e del « Finocchito » (IX-VII a.C.). Nella sezione dedicata
a Siracusa spicca la venere Anadiomene, detta « Venere Landolina »,
dal nome dell’archeologo che la scopri nel 1804.
Altri « gioielli » sono il sarcofago di Adelfia, la statua marmorea
di Kouros (V secolo a.C.) e la statua di peplophoros di marmo pentelico (V secolo
a.C).

Felice MODICA

Redazione, 27/06/2003

735 pensieri su “Giuseppe Voza, soprintendente ai beni archeologici dell’isola: ”La mia Sicilia”

I commenti sono chiusi.