Il 50° anniversario del maggio 1968

Ogni epoca ha sempre avuto velleità pseudo-rivoluzionarie che hanno poi affascinato le generazioni future. Spezzata l’era dei Lumi, il romanticismo cercò di recuperare l’anima, poi via via, tornando indietro nel tempo, decadentismo, ermetismo, futurismo, sono stati un gioco di matrioske o di vasi comunicanti che hanno riversato gli uni negli altri le scorie di vittorie e sconfitte sempre rimodellate dal tempo.

Viviamo oggi il cinquantesimo anniversario del periodo che interessa direttamente la nostra gioventù, quella pandemia spettacolare che ha segnato gli avvenimenti moderni e che ha trasformato gli antichi alunni in maestri, i loro eccessi in banali consuetudini condivise: Il maggio ’68.

Nato nelle università francesi e poi esportato in tutto il mondo, figlio di un dopoguerra fatto di aspettative e speranze, inquadrato in un ordine che doveva essere preventivo al disordine, il ’68 ritenne che ormai era tempo del famoso slogan “vietato vietare” e che era il momento giusto di dare avvio a quella rivoluzione sessuale che doveva contrapporsi al bigottismo quotidiano delle relazioni. Il rifiuto di ogni forma di imposizione, l’esigenza di dover chiamare per nome gli insegnanti e i genitori, la necessità di attaccare il potere costituito e di banalizzare le scuole, l’università e quindi il sapere, erano ormai le regole da seguire.

Soffiò un vento di libertà inarrestabile, nella contraddizione di un momento storico in cui eventi tragici vedevano da una parte giovani impegnati nelle occupazioni studentesche e dall’altra ragazzi impazziti pronti al sacrificio in guerre lontane. Basta ricordare quando la legione francese aveva lasciato sconfitta Bien Phu e l’Indocina, e venne sostituita da giovani americani appena ventenni, contingenti di marines estratti a sorte e imbarcati verso il Vietnam, nelle risaie di Dak To e nelle mille battaglie che rappresentarono perfettamente quella generazione sessantottina.

Ovviamente il dopo è stato un susseguirsi di frustrazioni. I delusi, quelli che non conobbero limiti né morale, sono stati quelli che hanno creato bufere e bel tempo in apertura di questo XXI secolo. Sono stati quelli che avevano creduto di poter cambiare il mondo tappezzando i muri delle Università e delle metropoli con manifesti e slogan che esortavano all’autogestione, fregandosene della morale e dell’autorità costituita, esaltando la libertà a discapito dell’ordine, denunziando ogni forma di verticalità e trascendenza come estrinsecazione dei divieti derivati da un’epoca ormai trapassata.

E da questa utopia è nata la società post-sessantottina, oggi classe dirigente condannata a galleggiare tra conflitti permanenti alla continua ricerca di una pace ipocrita che nasconde molto male le ingiustizie generate da una società fragile nelle sue stesse radici.

Quei de-costruttori e profanatori sono ormai al potere e se ne rallegrano. Hanno scritto nelle leggi le loro rivendicazioni di allora e impediscono ogni possibile contestazione. La loro strategia è quella della duplicità: vantano i valori dell’occidente ma incoraggiano il comunitario, invocano l’integrazione ma rinunciano all’assimilazione. Con il pretesto di combattere il razzismo, il sessismo e l’islamofobia propongono e votano testi liberticidi e al suono delle fanfare dei diritti dell’uomo, adottano le norme economiche e societarie del grande mercato mondiale, scavando irrimediabilmente ormai il fossato del futuro nell’atonia delle loro fanfare. Sono gli stessi che si sono impadroniti di ricchezze, ricoprono cariche determinanti nelle società più importanti che rappresentano il vero “potere” e le loro debolezze sono il preludio al naufragio assoluto di questa nostra società.

Il mondo certamente si universalizza, ma pur sempre con i suoi limiti, perché la smania dei beni materiali non darà mai felicità e la società dei consumi può soltanto avvilire l’umanità invece di farla andare avanti serena.

Cinquanta anni dopo siamo entrati nell’epoca degli eredi senza memoria e senza testamento, nell’era di chi non deve difendere più niente e si trova al potere solo per costruire semplicemente la propria fortuna senile. Avevano promesso un domani che avrebbe segnato l’inizio di un mondo nuovo ma, sprezzanti della morale corrente ed apostoli di un grande buio, oggi svelano il triste segreto delle loro rivolte: sono stati più convenzionali delle convenzioni che volevano abbattere.

Eugenio Preta