Il business della sofferenza

Esistono tanti tipi di attività commerciali, ma la gestione delle disgrazie altrui, rimane senz’altro la più redditizia, come quella, ad esempio, che interessa gli immigrati clandestini. Per la malavita organizzata è una vera manna: il traffico di esseri umani è molto più redditizio dello spaccio di droga e impegna molto meno risorse. Per le ONG poi è una sorta di jolly che comporta aiuti economici da parte degli Stati e dell’Unione europea, misura di tutto, e serve soprattutto a sensibilizzare un’opinione pubblica acritica, grazie anche a quei media imperanti a senso unico.

Ma le sventure non arrivano mai da sole. C’è, ormai, un’importante “razza” di approfittatori che si aggiunge al gran ballo delle ipocrisie della nostra società contemporanea aperta. Sono gli imbonitori della pubblicità, come potrebbe intendersi in senso lato, la premiata ditta Benetton o, più modestamente, il fotografo Oliviero Toscani, un vero genio che, dopo aver cercato di tradurre in messaggio pubblicitario ogni sventura umana, ha inventato anche il linguaggio antirazzista e umanitario, un settore dove la marca sovversiva “United colors of Benetton” – per riprendere lo slogan della casa – rappresenta il mantra servito fino alla nausea e condito in tutte le salse.
Siamo tempestati dalle campagne pubblicitarie promosse in tutte le grandi piazze delle capitali del mondo libero con immagini – a detta dei veri reporter – poco artistiche, ma di sicuro effetto mediatico perché mostrano, ad esempio, il sacerdote cattolico che arrotola la sigaretta di cannabis al rabbino, o il sieropositivo che abbraccia il siero-negativo o la suora ritratta nelle braccia di una spogliarellista in un’ ammucchiata di pervertiti più o meno fotogenici.

Avevamo creduto che il profeta dei pullover Luciano Benetton e con lui Oliviero Toscani- diventato nel contempo persino Assessore della bellezza a Salemi con Sindaco Sgarbi – ed anche altri comunicatori di grido, avessero finalmente, come si suol dire, attaccato le scarpette al chiodo. Invece niente di tutto ciò, a dimostrazione di come la fama dei pubblicitari sia come il limoncello: contiene indubbie qualità conservanti.

Ed infine, la fantasia di Toscani si è sbizzarrita sui migranti e sui gommoni. Immagini di dolore trasformate in chiassose gite marinare dove vengono ritratti nomadi costretti ad indossare salvagenti per reclamizzare i colori uniti di Benetton. Una vera operazione di marketing, che non fa campagna contro lo sfruttamento e le migrazioni selvagge, non solo forse, ma costringe la stampa soprattutto a parlare dell’azienda trevigiana con un grandissimo ritorno dal punto di vista pubblicitario.

A proposito dell’ immigrazione, del mediterraneo, dei poveri esseri umani che muoiono durante la traversata, quelle foto potrebbero avere un senso se promuovessero, per esempio, una raccolta fondi per costruire un centro di accoglienza o una struttura nel paese di provenienza. Ma il messaggio di Benetton-Toscani non vuole essere questo, ma piuttosto quello di presentare al mondo un prodotto tessile, in un contesto di miseria e di sventura.
Non dimentichiamo che Toscani è stato scaricato da Benetton quando, con un permesso del ministero di Grazia e giustizia, si recò negli Stati Uniti per fotografare i condannati a morte sulla sedia elettrica. Non si sa se gli scatti li fece effettivamente lui o qualcun altro, ma la tecnica usata lascia presupporre siano sue. Alla fine, venne fuori che queste foto furono utilizzate per una campagna pubblicitaria che mandò su tutte le furie l’America che decise poi l’embargo sui prodotti Benetton.

Il problema dell’immagine fotografica è sicuramente un problema etico. Del resto, per tutti i buonisti di Sos Mediterraneo e non solo, la tragedia umana che si consuma nei nostri mari non dovrebbe mai essere utilizzata a fini commerciali. Ma è evidente che i prodotti in oggetto consentono, in un preciso momento storico come quello che stiamo vivendo, un indubbio ritorno di moda e non c’é nulla che dal punto di vista etico e morale possa essere maggiormente contestabile dello sfruttamento delle disgrazie altrui.
E’ come se i brillanti cervelli della comunicazione decidessero di affidare all’ottimo Weinstein di tener un corso di relazioni pubbliche in un collegio di padri gesuiti.

Eugenio Preta