Il Maresciallo Haftar per risolvere la crisi dei flussi migratori

La soluzione della grave vicenda dei migranti passa dalla Libia che, dopo la caduta del colonnello Gheddafi, è diventata il crocevia di centinaia di migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana: una situazione che si aggrava ogni giorno di più e per la quale prima o poi si dovrà cercare una soluzione.

Da molti anni l’Italia è in prima linea nella gestione dei flussi migratori, il ministro Salvini sta cercando di rimediare dopo l’immobilismo sospetto dei precedenti governi, certo attirandosi gli attacchi dei tanti buonisti, ma certamente meritevole per il tentativo di trovare una soluzione logica, ad esempio quella di un centro di accoglienza e l’identificazione dei migranti che dovrebbe avvenire non più in Italia o in territorio comunitario, ma direttamente nel sud della Libia. Se l’Europa ha chiaro il dramma delle migrazioni e cerca una soluzione condivisa, è evidente che, fino ad oggi, ogni sforzo si è dimostrato vano, come avvenuto del resto nell’ultimo Vertice europeo, convocato proprio per la questione dei flussi migratori, ma che alla fine si è risolto con un nulla di fatto e con il solito rinvio, lasciando il problema irrisolto sul campo e in tutta la sua drammaticità.

In effetti, l’eventuale creazione dei centri di accoglienza e di identificazione sul territorio libico, proposta dall’Italia, presuppone un grosso problema di base: l’esistenza di una entità statale stabile, capace di gestire il paese ed abilitata a negoziare ad una sola voce con l’Occidente. Al momento, 181.000 migranti hanno potuto raggiungere le coste italiane – solo nel 2016 – approfittando certamente della disintegrazione del comparto di sicurezza libico, sconvolto – dal dopo Gheddafi – dalle lotte per il predominio che combattono le numerose milizie e le decine di tribù.

Sul piano politico, il territorio è diviso tra il governo d’Unione nazionale, partorito da un accordo dell’ONU nel 2015 stabilito a Tripoli, e un’autorità rivale installata nelle vecchie zone di influenza della tribù “gheddafiana”, nell’est del Paese controllato in massima parte dalle forze del maresciallo Khalifa Haftar. Un imbroglio che impedisce all’occidente di comprendere a dovere la situazione e quindi decidere se sia opportuno se sostenere gli uni a dispetto degli altri. Analizzando minuziosamente i fatti, però, è abbastanza chiaro chi detiene il controllo effettivo del territorio e chi potrebbe mettere in risalto i tanti problemi della Libia, se non addirittura risolverli.

Il 28 giugno scorso, il maresciallo Haftar ha fatto sapere che la città di Derna, ultimo bastione tenuto dagli islamici radicali, era stato liberato. Personalità complessa quella del 74enne Khalifa Haftar, che è riuscito, dopo tre anni di combattimenti, a debellare le milizie islamiche in Cirenaica, specialmente nella città martire di Bengasi. Proclamato Maresciallo dal Parlamento di Tobruk, Haftar, che vuol rammentare il maresciallo egiziano Sissi e addirittura il generale De Gaulle, controlla oggi la metà orientale di quel territorio che comprende soprattutto i giacimenti petroliferi libici, indubbio e unico polmone economico del paese. Una manna finanziaria che gli permette di mantenere truppe fedeli importanti, con fanteria inquadrata, aviazione e persino una piccola forza di Marina. Haftar gode oggi del sostegno dell’Egitto, degli Emirati arabi, dell’Arabia saudita e della Russia.

L’altra metà del territorio libico è invece controllata dal governo di unità nazionale e dal suo presidente Fayez el Sarraj, che può contare solo su forze limitate a qualche migliaio di miliziani, di dubbia fedeltà, tenuto artificialmente in vita politicamente e finanziariamente dalla comunità internazionale. Se l’Europa non fosse distratta da un’informazione parziale e poco obiettiva si sarebbe sicuramente accorta da tempo che sullo scacchiere libico Haftar rappresenta la sola alternativa. Certo, la scelta del “male peggiore”, ma, dal momento che rappresenta la sola parvenza di legittimità, è l’unico che potrebbe impegnarsi almeno a porre un freno all’immigrazione incontrollata.

Al momento, l’unico accordo definito è stato quello negoziato dall’Italia, che ha ottenuto dal Maresciallo, l’autorizzazione di assistere i guardacoste libici nel controllo delle acque territoriali. Probabilmente una forma di collaborazione discutibile, ma fino ad oggi rappresenta un tentativo non riuscito neanche alla missione Sofia patrocinata dall’Unione europea.

Nel prossimo mese di dicembre, la Libia affronterà il momento cruciale delle elezioni presidenziali e legislative. Khalifa Hafatar sin qui rappresenta la sola speranza della Libia di poter uscire dalla tormenta della guerra civile e ritrovare, a sette anni dall’assassinio di Gheddafi, quella stabilità necessaria. Certamente, il maresciallo potrebbe rappresentare per noi occidentali un alleato che per gestire il Paese, dovrebbe utilizzare la sua forte autorità. Haftar rimane forse la sola possibilità per impedire quell’indegno traffico di esseri umani che converge ormai inarrestabile verso le sponde nord del nostro vecchio mediterraneo.

Eugenio Preta