L’obiezione di coscienza e la contraddizione della Corte europea dei diritti dell’uomo

Il quotidiano dei cittadini europei è retto da regole e normative dettate ormai da organismi istituzionali che sono diventati il vero legislatore dell’Unione europea. Ormai siamo governati da sistemi poco trasparenti, che per svolgere il loro compito, si sono circondati da organismi e istituzioni vittime di improvvisazione e di eccessivo progressismo spesso in contraddittorio, che oggi, sarebbe più giusto ridimensionare.

L’esercizio di quelle sovranità una volta esercitate dallo Stato, pare sia passato non solo dagli Stati membri alla Commissione, ma dagli Stati membri agli organismi indipendenti che hanno il compito di organizzare le condizioni generali della politica economica, sociale o giudiziaria secondo criteri che esprimono una loro scelta politica autonoma e soggettiva. In effetti, si sta facendo di tutto per costruire un diritto universale per l’uomo nuovo con decisioni e regolamenti specifici che spesso però si contraddicono, come se “la mano destra non sapesse cosa stia facendo la sinistra”, parafrasando un celebre passo del vangelo di S. Matteo.

Prendiamo l’esempio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che siede a Strasburgo e che nasce dalla Convenzione dei diritti dell’uomo. Di fronte ad una risoluzione che invitava gli Stati membri a limitare il diritto di obiezione di coscienza del medico per garantire l’accesso all’aborto sicuro e legalizzato in tutta Europa, la Corte europea ha opportunamente fatto blocco respingendo la proposta, legittimando proprio il diritto del medico all’obiezione di coscienza.

Il rapporto McCafferty stabiliva anche una sorta di lista di proscrizione dei medici che rifiutano di praticare l’aborto, chiedeva di obbligare le strutture pubbliche a praticare aborti, di istituire elenchi pubblici di obiettori e di creare un efficace meccanismo di denuncia contro gli abusi degli obiettori. Una specie di obbligo alla delazione per colpire i medici obiettori. Se la Corte non si fosse opposta, la proposta McCafferty, dal nome dell’autrice, avrebbe costituito un altro passo verso la definizione del “diritto all’aborto” che costantemente le lobby abortiste cercano di introdurre nel diritto internazionale.

Il giudizio della Corte non appare sempre lineare e spesso si dimostra contraddittorio. Infatti, nel caso di una richiesta avanzata da un “Collettivo per l’infanzia”, un comitato di sindaci e di rappresentanti di enti locali francesi, che denunciava l’imposizione per legge dell’obbligo di sposare persone dello stesso sesso come un attentato alla loro libertà di coscienza, la Corte ha rigettato il ricorso con la motivazione che il mandato di sindaco si debba intendere come rappresentanza diretta dello Stato, esuli quindi dalla sfera personale e escluda l’agire di coscienza, diritto proprio della persona.

Una coscienza troppo libera, a quanto pare, spesso disturba. La richiesta dei sindaci è stata quindi respinta nel tripudio degli attivissimi membri della Lega LGBT e dell’associazione delle famiglie monoparentali che, in più, ha denunciato la presunta omofobia degli autori della richiesta. Questo il paradosso: una Corte che deve basare le sue decisioni sui principi della convenzione europea dei diritti dell’uomo decide, senza un regolare procedimento, che questo diritto all’obiezione di coscienza non esiste. Una specie di prevaricazione del diritto delle persone omosessuali sulla volontà del resto dei cittadini. La conseguenza è che, come ormai succede spesso in Europa, ci sono giudici che si ritengono legislatori usurpando un mandato che non è quello che gli è stato conferito.

Implicitamente deduciamo che, a differenza della sentenza sulla relazione McCafferty, nel caso del Collettivo per l’infanzia, secondo la Corte, la libertà di coscienza non sarebbe più compresa nella sfera dei diritti dell’uomo.

Una grande confusione interpretativa che sembra seguire poco i principi del diritto e troppo le tendenze dei tempi: sarebbe ora che i popoli europei decidessero di togliere ogni legittimità a queste istituzioni, riqualificandole semplicemente come organi consultivi in modo da evitare decisioni che diventerebbero obbligatorie e che potrebbero avere un riflesso negativo sull’esercizio della sovranità specifica degli Stati nazione.

Eugenio Preta