Forum della Pace di Parigi e manifesto sull’informazione

Un pugno di intellettuali di fama mondiale, tra i quali l’emblematico Joseph E. Stiglitz ,premio Nobel per l’economia ed euroscettico notorio, reclama in un manifesto denominato “Dichiarazione internazionale sull’informazione e la democrazia”, regole democratiche sull’informazione e sulla libertà d’opinione.

Joseph E. Stiglitz, Shirin Ebadi, Mario Vargas Llosa, Abdou Diouf, l’avvocato cinese Teng Biao, il pachistano Night Dad, il giornalista turco Can Dündar e Francis Fukuyama intendono presentare le loro rivendicazioni al Forum per la Pace che si tiene in questo fine settimana a Parigi, alla presenza dei più importanti dirigenti del pianeta.

Organizzato dalla Fondazione Korber, dalla Fondazione Mo Ibrahim, dall’Istituto francese per le relazioni internazionali, dall’Istituto Montaigne e dal Ministero francese degli affari esteri e degli affari europei, è stato inserito dal presidente Macron a conclusione delle manifestazioni che hanno ricordato la fine della prima guerra mondiale. Non è né un vertice né una semplice conferenza, riunisce tutti gli attori della governance mondiale: stati, organizzazioni internazionali, enti locali, Ong, fondazioni, industrie, giornalisti, sindacati, gruppi religiosi, e vuol dimostrare come sia ancora possibile una migliore organizzazione del pianeta.

Tralasciando l’occasione scelta e le prevedibili ambiguità dell’iniziativa, coordinata da un’organizzazione corporativa ma “politicamente corretta” come Reporter Senza Frontiere, il Forum presenta le sue contraddizioni per la presenza di presidenti africani certamente di non specchiata democraticità, vedi l’invito non ritirato all’Arabia Saudita sulla questione delle vendite di armi che la Francia utilizza infischiandosene degli accordi internazionali che riguardano i massacri nello Yemen.

Domenica poi, Angela Merkel sosterrà il “simbolico” discorso inaugurale del Forum della Villette, seguita dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.
Un bel “parterre”, impegnato a celebrare il multipolarismo in salsa francese. Peccato che quel populista di Trump abbia voluto rompere l’incantesimo comunicando che non parteciperà all’evento perché non ritiene sia l’occasione giusta per rilanciare il multilateralismo, in un momento di ritorno dei nazionalismi e di scelta, da parte degli Usa, del bilateralismo come via diplomatica.

Tornando al manifesto sull’informazione, il testo, dovutamente arricchito, potrebbe offrire lo spunto per discutere seriamente delle tematiche mondiali dell’informazione, ma affronta l’argomento trattando soltanto la questione della libertà dei giornalisti senza considerare che la libertà di informazione e di opinione non è certamente appannaggio dei soli giornalisti soprattutto quando la critica è rivolta solo ad alcuni Paesi, ovviamente ai Visegrad, senza accennare alle democrazie occidentali che invece restano arroccate nella propaganda, nella censura, nella caccia alle streghe e nella stigmatizzazione parziale.

Certo, contestare oggi la legittimità del giornalismo vorrebbe dire giocare col fuoco perché libertà, concordia civile e pace sono oggi minacciate dal controllo che la politica intende esercitare sui giornali e sui media, trascurando la disinformazione massiccia esistente nelle reti, la fragilizzazione economica del giornalismo di qualità e gli attacchi violenti contro i giornalisti.
Al di là della critica del controllo politico sulla libertà di stampa, sarebbe opportuno attenzionare anche il peso reale dei finanziatori, solitamente legati ai responsabili politici che dettano le regole, che creano mode e valori, elaborano i dati doxa e sono ardenti apostoli della mondializzazione.

Con la scusa poi del fenomeno delle fake news – sicuramente una realtà multipolare – gli intellettuali si scagliano contro la disinformazione delle reti, senza tenere conto che, pur non volendo contestare le loro recriminazioni, la digitalizzazione rimane ancora oggi la sola occasione possibile di contro-informazione.

A questo punto il documento non sembra voler considerare che garantire la pluralità dell’informazione, definire le modalità di finanziamento della stampa, strutturare la formazione dei giornalisti, impedire la strumentalizzazione dei titoli essenziali da parte dell’oligarchia finanziaria, sia una priorità assoluta.
Certo, aver messo dentro anche Stiglitz dà una patina di multipolarità al documento, che rimane un momento di discussione a corollario di una celebrazione del multilateralismo e che spetterà ai sedicenti democratici sostenere e – ancor meglio- doverosamente emendare.

Eugenio Preta