Il valzer delle poltrone. Ursula von der Leyen presidente dell’esecutivo europeo

Bruxelles appare spesso un grande bazar, un mercato complesso, soprattutto quando si barattano gli incarichi e le responsabilità apicali. Nell’elezione del nuovo presidente della Commissione che avrebbe sostituito il “decotto” Juncker, si doveva rispettare la scelta degli elettori dando rilevanza al centro destra e al PPE e alla coalizione di centro sinistra e di liberali che, nonostante la batosta elettorale subita, governeranno l’UE per i prossimi 5 anni.

Ma l’aria di Bruxelles trasforma ogni piccola vittoria settoriale in grande trionfo nazionale e ogni sconfitta – pur sonora – come la tacita accettazione delle regole imposte da una burocrazia nominata e non eletta. E se i francesi alla fine possono vantare di essere riusciti ad imporre una francese (Lagarde) alla testa della BCE, i veri vincitori restano sempre e comunque i tedeschi che, come preannunciato in anticipo, hanno operato per avere il capo dell’esecutivo. I socialisti poi, escono frustrati dalla bocciatura di Timmermans, ma non possono lamentarsi degli incarichi ottenuti con lo spagnolo Borrell, ex presidente socialista del PE, oggi nominato alla testa della politica estera che era della Mogherini e con Sassoli eletto addirittura presidente dell’Assemblea parlamentare.

Oggi però è l’Europa centrale che sembra uscire come la vera sconfitta del valzer delle poltrone (anche se ancora si aspettano i commissari), perché non riceve alcun incarico, forse per colpa di Orban che ha fatto capitolare la candidatura di Timmermans o per la solita ira dei burocrati contro i polacchi che rifiutano di allinearsi al verbo mondialista e multicuralista di Bruxelles. In definitiva scelte, quelle della politica europea, che si dimostrano controproducenti, perché finiscono col dare nuovo slancio alle rivendicazioni anti-europee dei Paesi dell’Europa centro orientale.

L’Europa ha dimostrato ancora una volta di continuare ad essere l’istituzione che ricicla gli sconfitti delle elezioni interne offendo loro le glorie di una nuova carriera. E’ successo con il polacco Tusk, con il lussemburghese Juncker e oggi si ripete con Ursula von der Leyen giudicata in patria come il peggiore rappresentante dell’esecutivo della cancelliera Merkel.

Ursula von der Leyen viene quindi eletta per pochi voti alla testa dell’Esecutivo europeo, dimostrando come la sua elezione sia soltanto un ”deal“, semplicemente un accordo che non tiene assolutamente conto delle sfide che attendono la risposta dell’Europa anzi, al contrario, segna la vittoria dello “statu quo” nel momento in cui un rilancio delle politiche europee appare necessario e urgente.

Gli europei avrebbero immaginato azioni concrete, ad esempio per tutelare gli sbalzi climatici: la candidata ha presentato il solito catalogo pieno di buone intenzioni manifestando chiaramente le linee guida della prossima presidenza. Del resto le problematiche della biodiversità o la riforma della PAC non sono state neanche sfiorate dal discorso di Ursula von der Leyen che ha solo sottolineato la sua visione liberista, sostenendo gli accordi Mercosur che assassinano le produzioni agricole dell’Europa del sud, soprattutto ed implicitamente incoraggiando le autorità che laggiù operano per la deforestazione, e per il lavoro minorile senza protezioni sociali. Ma la signora von der Leyen, come i suoi sponsor del Consiglio, si è premurata solo a dichiararsi muraglia contro il fascismo, anche se poi ha accettato anche i voti sospetti “fascisti” per essere eletta. Non una grande coalizione, ma una maggioranza di salvezza europea.

La signora tedesca se l’è cavata ”last minute” con un discorso in cui ha infilato le proposte per il salario minimo, per gli investimenti Erasmus, per i migranti, per il libero mercato e le cautele ambientali: le solite buone intenzioni che poi avranno bisogno di essere tradotte in politiche reali. Con una presidente indebolita già nella serata della sua elezione e un PE ridotto semplicemente a cassa di risonanza delle scelte dei capi di governo, le contraddizioni europee sembrano essere in costante aumento. Provano del resto la fragilità del modello perseguito e dimostrano chiaramente l’ottusità di una classe politica riunitasi ormai in casta interscambiabile, con buona pace della futura costruzione europea.

Eugenio Preta