Dissesto dei Comuni Siciliani: si avverano le peggiori previsioni

Palermo, 09 settembre 2005

L’Altra Sicilia, di fronte al dissesto finanziario in cui stanno sprofondando quasi tutte le amministrazioni locali della Sicilia, rileva come fossero state vere – purtroppo – le previsioni e gli allarmi lanciati da tempo anche da parte nostra.

Perché i Comuni sono in rosso?

Perché la Regione non è più in grado di aiutarli?

Per un semplice motivo: la gestione della finanza pubblica nell’era del cuffarismo (e del "lombardismo" potremmo aggiungere) è stata clientelare ed assistenziale in modo folle e non in linea con la progressiva carenza di risorse del settore pubblico.

In altre parole, dal 1989 è cambiato il mondo ma nessuno lo ha detto agli inquilini di Palazzo d’Orléans, che non conoscono ad evidenza altro modo di mantenere il potere se non quello di promettere "posti" in cambio di voti.

Abbiamo sempre denunciato, fino alle recenti improvvide sanatorie, che l’arruolamento nel pubblico impiego di masse di "clientes" avrebbe condotto forse un giorno all’impossibilità di pagare gli stipendi ai dipendenti comunali, al blocco dei servizi alla collettività, alla paralisi dell’economia, la quale a sua volta comporta minori entrate per gli enti pubblici.

La Sicilia di oggi letteralmente sta affondando…

Vorremmo esserci sbagliati ma la realtà è ancora peggiore delle previsioni…

E qual è la risposta di fronte a tutto questo da parte dei partiti italiani che malgovernano la Sicilia o di quelli dei finti autonomisti che li spalleggiano?

Nessuna! Semplicemente si naviga a vista con rivendicazioni partitiche amene, quale ad esempio quella, da parte di Forza Italia, della Presidenza dell’Assemblea Regionale Siciliana per la prossima legislatura. E’ vero! Già il buon Lo Porto il suo danno l’ha fatto per consertigli di farne ancora. Ora finalmente la "scomparsa" dell’unico vero Statuto di Autonomia (quello "sacro", del 1946, scritto col sangue di martiri siciliani) è sancito anche nel sito dell’Assemblea. Andate a leggerlo e scoprire che "quì" (proprio così, con l’accento sulla i) si possono leggere i testi coordinati.

E l’opposizione, questi altri bei partiti italiani, cosa fanno? Nulla, pure loro. Attendono, da bravi centralisti e servi del colonialismo italiano, che l’Autonomia Siciliana affondi da sola nel malgoverno della destra.

Ma, attenti Siciliani!, non saranno un Bianco o un D’Antoni o un Capodicasa qualunque a salvarci dal declino. Potranno solo dare la mazzata finale alla Sicilia, con la benedizione di un Prodi o di chi, da Roma, dirà loro cosa devono fare. Il neodirigente della CGIL siciliana, altro funzionario di un’altra struttura asservita alla Penisola, dice che la Fiat sarà uno dei suoi primi impegni. Ma non ha nemmeno idea di quello che deve fare. Come può il sindacato difendere l’insediamento industriale in Sicilia senza contratti d’area differenziati rispetto al Continente che tengano conto della disperazione e della devastazione produttiva che insiste sulla Nostra Terra?

Come vuoi difenderla, Tripi, l’industria siciliana, senza defiscalizzazione degli idrocarburi e federalismo fiscale che i tuoi "danti causa" vedono come fumo negli occhi. Tra poco il tuo sindacato sarà solo un sindacato di pensionati! Già è un sindacato che ha più della metà degli iscritti fra chi non partecipa più all’attività produttiva.

Ma veniamo al punto principale, agli enti locali. Che fare per salvarli?

Ormai la situazione appare irreparabile. La questione finanziaria siciliana è diventata una questione nazionale ed è a Roma che deve risolversi (e se lo diciamo noi…). L’Italia deve decidere se vuole fare sprofondare la Sicilia nel Mediterraneo o se vuole farsi carico del disagio che in gran parte essa stessa ha creato in circa duecento anni di colonialismo interno.

Se l’Italia vuol fare la sua parte, si assuma a esaurimento il carico esistente del precariato. La Sicilia, però, dovrà essere altrettanto virtuosa e dovrà sgravarsi per sempre dalla tentazione di crearne di nuovo.

La spesa corrente deve essere drasticamente ridotta e riqualificata a favore, in ordine di priorità, di:
-spese in conto capitale, di sostegno alla ricerca ed in generale per l’incremento della produttività del sistema economico;
-generalizzata riduzione del carico fiscale e parafiscale a carico di chi investe e produce nel territorio siciliano;
-spese per la riduzione del disagio sociale in cui non ci sia più "aristocrazia dei poveri" ma venga dato a ciascuno secondo il grado di effettivo bisogno e non in funzione delle conoscenze politiche;
-spese per gli interventi ed i servizi alla collettività, in ordine ad una maggiore vivibilità del territorio e della società.

La chiave di tutto ciò è però il drastico abbattimento degli organici, soprattutto di quelli non stabilizzati, e la qualificazione di quelli rimasti (turn-over in cui si preferisce l’assunzione di quadri e professionisti, rispetto a "salariati" e impiegati d’ordine, retribuzione adeguata e legata in gran parte al salario variabile, formazione continua, investimento in tecnologie, controlli di efficienza e di efficacia sulla spesa pubblica).

Se invece l’Italia non vuol fare la sua parte, o la vuole fare a condizione che "ci prostriamo" al suo volere, va bene lo stesso: la Sicilia può far da sola. Ma in tal caso ci dovremo appropriare "immediatamente" di tutte le risorse e le prerogative che ci spettano, dagli idrocarburi, alla potestà tributaria e così via, e non dovremo riconoscere alcuna sentenza di Corte Costituzionale, in quanto non competente, che limiti questi nostri diritti. La Sicilia ha diritto di sopravvivere, è naturalmente ricca, è diventata povera per il saccheggio sistematico che la Penisola opera nei suoi confronti con la complicità di una classe politica di sciacalli e di vili. Liberiamoci di questi, dei saccheggi e moralizziamo la vita pubblica le nostre "pòleis" rifioriranno; altro che la squallida lotta di Scapagnini per sanare qualche precario ai danni di Cammarata, vogliamo che tornino i Catanesi ed i Palermitani emigrati (quasi sempre ad altissima professionalità ed espulsi da una patria matrigna) per le opportunità che offrono le loro città natìe.

Possono sembrare toni troppo accesi i nostri, può sembrare troppo forte il richiamo ad una svolta che sia anche una rivolta morale!
Ma, in realtà, a ben vedere siamo noi i pragmatici, i realistici, perché l’alternativa, questa sì, ci pare un pressapochismo avventurista che fatalmente consegnerà la nostra Piccola Patria a disordini ed a drammi sociali peggiori.

Viva la Trinacria! Viva il Vespro! Viva la Sicilia

Massimo Costa, L’Altra Sicilia – Palermo