A proposito di Sicilia, Italia ed Europa

Bruxelles, 22 maggio 2006


Tutti plaudono all’uscita del nuovo Presidente della Repubblica sull’ineluttabilità del destino europeo dell’Italia.

Vogliamo parlarne anche noi?

Nella sostanza non ci sentiamo di emendare in nessun punto specifico il discorso del Presidente. Con ogni probabilità ha ragione: l’Italia da sola ha fatto il suo tempo. Fuori dall’Europa non ha alcun destino, anche se va aggiunto che bisognerebbe concedere una lunga pausa di riflessione a queste istituzioni europee prima di rilanciare sulla Costituzione Europea.

L’euroentusiasmo dell’élites si può rivelare un boomerang se non tiene conto del fatto che proprio questa costituzione è stata sonoramente bocciata dai popoli, quando è stato concesso loro di esprimere un parere.

E’ fastidioso questo rilancio cieco e antidemocratico di un progetto federalista; si ha la sensazione che gli eurocrati e le oligarchie finanziarie nazionali ed europee abbiano già deciso tutto e si tratta solo, con l’adeguato battage informativo, di farlo digerire a popoli “bovini”.

No, Signor Presidente, se Europa sarà e se sarà nell’interesse dell’Italia, deve essere una Europa dei popoli e non solo dei capitali. Per far questo bisognerebbe anzitutto capire che tipo d’integrazione si progetta, quali istituzioni, quale idea, quali confini e così via. Non si può dire “si va avanti” e basta. Il disagio degli “euroscettici” non è di pura reazione retrograda, è un disagio vero che va ascoltato. E va ascoltato proprio nell’interesse dell’Europa che altrimenti sarebbe destinata ad un misero naufragio.

E poi l’Europa può ben essere – come dice il Presidente – l’unico destino per l’Italia, ma – ce lo si perdoni – non è detto che sia altrettanto vero per la Sicilia. E lo andiamo ad argomentare meglio.

L’Europa deve essere a geometria variabile, non può essere semplicemente una federazione omogenea come prospettano alcuni.

E’ giusto che la Turchia o la Croazia entrino (in un certo senso) in Europa, ma in “quale” Europa?

Quella dell’attuale “Comunità” (che non è stata mai sciolta, anzi è l’unica cosa che funziona sotto la fragile cornice dell’ “Unione”) ci sta bene, ma in un’unica vera confederazione politica forse no, forse è ancora troppo presto.

Unire Lapponi e Siciliani, Curdi e Irlandesi, Portoghesi e Gitani sotto un’unico “stato” oggi sarebbe come unire messicani e canadesi, algerini e sudafricani, libanesi e filippini, su basi puramente geografiche: un guazzabuglio destinato a fallire!

Si consolidi nei confini attuali l’integrazione economica ed il coordinamento in politica estera e si pensi ad una integrazione politica stretta solo per un’area centrale o “carolingia”: la Francia, il Benelux, la Germania, l’Austria, l’Italia, forse i paesi iberici.

Questa creatura sì che avrebbe voce autorevole e farebbe da contrappeso agli USA, le soluzioni alternative sembrano invece risibili.

E, in questa eventuale creatura, avrebbe senso la partecipazione della Sicilia?

Crediamo fortemente di no: noi siamo un’Europa ultra-periferica, anzi già Euromediterraneo che – a differenza della Pianura Padana, o anche di Roma, o persino di Napoli – non ha nessuna possibilità di reale integrazione con il centro Europa.

Siamo, con le debite proporzioni, come la Scandinavia e la Gran Bretagna, e – come loro – interessati solo fino ad un certo punto a questo processo di integrazione. Anzi, di più, non essendo stato, subiamo tutte le conseguenze negative del far parte di questa comunità senza averne nessun vantaggio. Tanto vale uscirne (come ha fatto la Groenlandia o le Isole Faer Oer della Danimarca) o contrattare un regime speciale (la cosiddetta “Zona Franca”).

Cosa ci sarebbe di male in tutto ciò?

Una Sicilia “border line” dell’Europa e piattaforma di incontri e di scambi fra i vari paesi dell’area mediterranea non contrasterebbe minimamente con legami sempre più stretti dell’Italia con l’Europa.

Ma perché mai i fratelli “Italici” (in altro comunicato ci è piaciuto chiamare così gli Italiani della Penisola e del Continente) sono sempre insofferenti contro qualsiasi eccezione per la Sicilia quando l’omologazione normativa al resto d’Italia ha sempre creato povertà, marginalità e disagio?

Ma a chi nuoce una Sicilia libera e ricca al centro del Mediterraneo?

ANTUDO!