Una grande riforma scolastica
In Ungheria, Viktor Orbán rifonda la scuola sui valori tradizionali: l’autorità, la nazione e le origini tornano a essere i pilastri dell’educazione.
Mentre in Europa , la scuola si sfonda per disfare tutto ciò che ha fatto la sua grandezza – autorità del maestro, trasmissione del sapere, gerarchia delle discipline -, l’Ungheria avanza controcorrente. Discretamente ma inesorabilmente, Viktor Orbán vi dispiega una riforma scolastica di vasta portata, basata non sui capricci pedagogici alla moda ma su una visione chiara: trasmettere un’eredità, plasmare cittadini radicati, ripristinare l’eccellenza.
Dal 2010, data del suo ritorno al potere, il capo del governo ungherese ha riposto l’istruzione al centro del suo progetto di civiltà. L’obiettivo? Ricostruire una scuola patriottica, esigente, rispettosa delle tradizioni e del ruolo strutturante dell’autorità. Una scuola che non confonde l’inclusione con l’abdicazione, né la modernità con la decostruzione.
“Ci vogliono radici per spiegare le ali”
Prima decisione forte: una revisione dei contenuti. La storia dell’Ungheria è insegnata senza senso di colpa né pentimento: il trattato di Trianon, la resistenza al comunismo, l’orgoglio nazionale sono pilastri del racconto educativo. “Ci vogliono radici per spiegare le ali”, amava ripetere il ministro Miklós Kásler.
Nelle scuole ungheresi, l’insegnante non è un “facilitatore” né un animatore della convivenza, ma un maestro – nel senso pieno del termine. Non deve implorare il silenzio, “co-costruire il sapere” con l’alunno o giustificarsi di essere un adulto: insegna. Che lezione possiamo trarne?
Alcune scuole – soprattutto confessionali – hanno persino reintrodotto l’uniforme. Lungi dall’essere un semplice dettaglio di abbigliamento, questa scelta mira a ristabilire un quadro visivo comune, a cancellare i marchi sociali ostentati e a ridare alla scuola la sua funzione di istituzione: una politica educativa
Non sorprende che questa politica educativa sia nel mirino dell’Unione europea e delle ONG progressiste, che la vedono come una deriva autoritaria. L’UE ha criticato in particolare i nuovi libri scolastici, giudicati troppo conservatori, o addirittura “nazionalisti”. Si rimprovera all’Ungheria di insegnare che i sessi non sono intercambiabili, che il cristianesimo ha plasmato l’Europa o che la storia della nazione merita di essere celebrata. Tante provocazioni per una tecnocrazia di Bruxelles che sogna solo una scuola neutrale, degenerata, senza memoria né confini. Tuttavia, non è altro che quello che abbiamo trovato in tutti i manuali di storia, di educazione civica e di francese precedenti agli anni ’60; ciò che è stato la norma per secoli è diventato trasgressivo e rivoluzionario.
Eugenio Preta