Il futuro della Gran Bretagna
“Rischiamo di diventare un’isola di stranieri”: non è una dichiarazione di Nigel Farage ma sono le parole dello stesso primo ministro britannico, Keir Starmer, durante una conferenza stampa intitolata “Assicurare il futuro della Gran Bretagna”. Membro del Labour Party (a sinistra, tutta!), Starmer aveva brillato, negli ultimi mesi, per una xenofilia galoppante.
Il cambio di rotta è così grande che si è preso cura di ripeterlo su tutti i toni: “Ripristiniamo il buon senso e il controllo dei nostri confini”, “Mettiamo fine all’esperienza delle frontiere aperte della Gran Bretagna”, “Ripariamo il sistema e ripristiniamo il controllo delle frontiere.
È essenzialmente sull’immigrazione da lavoro che Keir Starmer intende pesare. Fa la constatazione che “i conservatori hanno messo in atto un sistema di immigrazione che si basava su una manodopera straniera a basso costo invece di investire nei lavoratori britannici” Che “per troppo tempo, le aziende sono state attivamente incoraggiate ad assumere lavoratori meno pagati, piuttosto che investire nel proprio personale”. Keir Starmer intende oggi far giocare la preferenza nazionale. La tassa pagata dai datori di lavoro che impiegano lavoratori stranieri aumenterà per incoraggiare “le aziende a creare opportunità e progressione di carriera per i lavoratori britannici”.
Congiuntamente sarà incoraggiata un’immigrazione di qualità: “Il nostro sistema attuale non è sufficientemente selettivo […]. Alziamo la soglia di competenza a livello di laurea per assicurarci di attrarre persone in grado di far crescere la nostra economia. “Questo passerà anche attraverso l’apprendimento della lingua: “Se vuoi vivere nel Regno Unito, devi parlare inglese. È di buon senso.
Gli annunci di Keir Starmer non si limitano all’immigrazione di lavoro. Il turismo medico? Finito. “Stiamo definitivamente chiudendo la strada dei visti di cura. I visti, ora elettronici, faciliteranno “il compito degli agenti dell’immigrazione di rintracciare e prendere misure contro coloro che cercano di rimanere qui illegalmente”. E per concludere: “L’installazione nel Regno Unito è un privilegio, non un diritto. »
Un programma possibile perché, grazie alla Brexit, Starmer ha le mani libere di fronte all’Unione europea. Una tabella di marcia degna di Marine Le Pen, di Georgia Meloni, di Viktor Orbán o… di Donald Trump. Quest’ultimo forse non è estraneo a questa flessione. Ricordiamo che, fin dalla sua elezione, Trump aveva negoziato un controllo rigoroso del confine degli Stati Uniti con il Canada e il Messico in cambio di un ammorbidimento dei dazi doganali. Si dà il caso che l’8 maggio sia stato firmato un accordo commerciale Regno Unito-Stati Uniti.
Forse è questo il clic di cui aveva bisogno Keir Starmer per lanciare, finalmente, la politica anti-migrazione per la quale è stato eletto, quasi un anno fa. Questo primo anno è stato segnato dall’attentato di Southport (tre bambine accoltellate a morte a luglio), che è stata l’occasione, non di un inasprimento del tono nei confronti dei migranti, ma di una severa repressione nei confronti dei cittadini britannici “di origine”, picchiati durante le manifestazioni e imprigionati, a volte per semplici post sui social network. Allo stesso modo, Starmer ha respinto con tutte le sue forze l’idea di un’indagine nazionale sulle bande pakistane responsabili di migliaia di stupri .
Eccoci al momento di una ripresa in mano. Starmer si impegna per una “bassa migrazione netta”, con un calo degli ingressi legali e illegali. Se vuole andare fino in fondo al ragionamento, dovrà poi gestire i migranti già installati e questo corollario invasivo: un’islamizzazione galoppante della società e dei costumi che, tra l’altro ha votato laburista determinandone il successo. . C’è del lavoro da fare affinché la Gran Bretagna non diventi “un’isola di stranieri”. Passo dopo passo!
Eugenio Preta