Una donna nominata a capo della Chiesa Anglicana

Per la prima volta nella storia sarà una donna ad essere nominata arcivescovo di Canterbury, massima autorità spirituale della Comunione anglicana e primate d’Inghilterra. Si tratta di Sarah Mullally, sposata e madre di due figli, di professione infermiera (professione che ha lasciato nel 2004 per dedicarsi al ministero), “ordinata” presbitero della chiesa anglicana nel 2002 e vescovo nel 2015 proprio dal suo predecessore, l’allora arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, dimessosi lo scorso anno in seguito ad accuse di copertura di uno scandalo legato alla pedofilia.

La chiesa anglicana non ha perso l’occasione di mostrare al mondo la propria decadenza in nome di una presunta libertà dello spirito, che assoggetta la chiesa alle decisioni politiche e allo spirito del tempo.

Una emancipazione sui generis che ha portato  la chiesa anglicana a favore della libertà di scelta delle donne relativamente all’aborto, della possibilità del ricorso all’eutanasia come espressione della pietà cristiana, del riconoscimento e benedizione delle coppie omosessuali, purché stabili e unite civilmente, coronamento di un percorso di discernimento triennale, denominato Living in love and faith, guidato proprio dalla Mullally. Per non parlare del divorzio, che è nel suo nativo corredo cromosomico.

Non ci resterebbe che rattristarci della realtà del mondo anglicano, che si ritrova a precipitare verso l’abisso con allegria e soddisfazione. Come sul Titanic. Preoccupa però che anche tra le più alte sfere della gerarchia cattolica si ammicca ad aperture simili, inclusa quella al sacerdozio femminile.

Numerose e pericolose brecce sono state aperte nei vari Sinodi targati Francesco: dalla comunione ai divorziati-risposati che continuano a vivere more uxorio, ormai una realtà in tutte le diocesi, alla riapertura delle discussioni sul celibato sacerdotale, sul diaconato femminile, alle benedizioni alle coppie dello stesso sesso. Nonché la sovversione del senso stesso del Sinodo dei vescovi, con la possibilità conferita ai laici non solo di intervenire, ma anche di votare; una novità anche questa “francescana”, che avvicina spaventosamente i Sinodi della Chiesa cattolica alla struttura tricamerale (House of Bishops, House of Clerics, House of Laity) dei General Synods della chiesa anglicana.

E speriamo che le similitudini finiscano qui.

Eugenio Preta

Lascia un commento