Ancora flottiglie, ma i governi chiedono il rimborso delle spese di rimpatrio

In un gesto di dovuta fermezza di fronte all’irresponsabilità degli attivisti filo-palestinesi, il Portogallo e la Svizzera chiedono il rimborso delle spese di rimpatrio sostenute per riportare a casa i partecipanti alla flottiglia umanitaria intercettata da Israele.

In Portogallo, quattro attivisti, tra cui la deputata di estrema sinistra Mariana Mortágua, sono stati arrestati durante l’operazione della flottiglia Global Sumud, volta a rompere il blocco marittimo imposto da Israele. Il Ministero degli Affari Esteri portoghese ha annunciato che questi cittadini dovranno rimborsare integralmente i costi del loro ritorno a Lisbona, una misura giustificata dalla legislazione consolare che pone la responsabilità delle iniziative personali sugli individui stessi.

In Svizzera, la situazione è ancora più paradigmatica: diciannove cittadini elvetici hanno partecipato a questa spedizione, nonostante i ripetuti avvertimenti del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Già il 24 settembre, una lettera indirizzata all’organizzazione Waves of Freedom Switzerland (WOFA) sottolineava i “rischi significativi per la vita e l’integrità fisica” dei partecipanti, nonché i limiti delle capacità di assistenza svizzera in caso di crisi.

Il 2 ottobre, il DFAE ha ribadito questi avvertimenti agli avvocati degli attivisti. Tuttavia, queste voci della ragione sono state ignorate e la flottiglia è stata intercettata dalle forze navali israeliane nelle acque internazionali, causando l’arresto di 171 persone in totale.

L’intercettazione della flottiglia Global Sumud da parte di Israele, avvenuta la scorsa settimana, non è un evento isolato ma l’ennesimo episodio di una serie di azioni militanti che flirtano con la provocazione. In Portogallo, i quattro attivisti – Mariana Mortágua, Sofia Aparício, Miguel Duarte e Diogo Chaves – sono stati trattati come qualsiasi cittadino ordinario dai servizi consolari: è stata inviata loro una lettera con il dettaglio delle spese di rimpatrio, accompagnata da un modulo di rimborso. L’importo esatto rimane confidenziale, ma il principio è implacabile: in assenza di emergenza o calamità naturale, lo Stato non copre le spese legate a iniziative volontarie e non ufficiali.

Lato svizzero, nove attivisti sono rientrati attraverso la Turchia, mentre gli altri dieci sono stati espulsi in Giordania, dove l’ambasciata svizzera ad Amman ha dovuto organizzare il loro alloggio e il loro rimpatrio, previsto per l’8 ottobre scorso. In totale, 600 ore di lavoro sono state necessarie ai servizi consolari per garantire il loro rimpatrio. Ore che il contribuente svizzero non dovrà finanziare.

Le reazioni degli attivisti non si sono fatte attendere. Mariana Mortágua, eletta del Blocco di sinistra, ha promesso di pagare il conto portoghese “per dimostrare l’assenza di spina dorsale dei ministri”, accusando il governo di tacita complicità con Israele. Tuttavia, il Ministero degli Affari Esteri portoghese sostiene che la flottiglia riguardava una “iniziativa personale” e non una missione diplomatica, che il contribuente portoghese non deve finanziare.

Da parte sua, Waves of Freedom Switzerland definisce la decisione svizzera “disonorevole”, invitando le autorità a riconsiderare questa “richiesta di finanziamento del rimpatrio”.

L’organizzazione denuncia le “violazioni dei diritti umani” da parte di Israele, nel momento stesso in cui l’amministrazione Trump è riuscita a mettere davanti al tavolo delle trattative Hamas e il governo di Netanyahu.

Eugenio Preta

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