Ancora sulla rivolta fiscale

Palermo 18 agosto 2007

L’Altra Sicilia torna ancora sulla “millantata” rivolta fiscale di
Bossi che si rivelerà per quel che è: una boutade estiva, per fare parlare
i telegiornali di sé, e nulla più.

Ripetiamo le ragioni per cui forse i Siciliani avrebbero più di altri
il diritto di esercitare una simile sollevazione pacifica, rifiutandosi
di mantenere un sistema Italia usuraio e vessatorio.


Abbiamo detto la volta scorsa dello stupro delle norme statutarie che
ci attribuiscono diritti tributari quasi da stato sovrano e che 61 anni
di governi ascari si sono guardati dall’applicare o dal richiederne
l’applicazione.

Ma la Sicilia è povera. E’ vero, è povera. Ma i Siciliani non sanno
perché.

Pensano che sia colpa loro, glielo inculcano in tutti i modi, e
quindi l’unica soluzione è quella di accontentarsi degli avanzi che
l’Italia, questa potenza in declino, si degnerà di spedire nelle sue colonie
interne.

Vogliamo questa volta tentare di aprire gli occhi su alcuni dei mille
balzelli, occulti, che succhiano sangue dalla nostra terra per mandarlo
al continente.

Ebbene, cari fratelli, vi sarà capitato spesso di non arrivare neanche
a fine mese con il vostro lavoro, eppure “vi siete ammazzati di
lavoro”, …sapete perché “non si ci arriva più”?

Facciamo due conti.

1) Cominciamo dalle assicurazioni obbligatorie sulla RC Auto. Gravate
di tasse e contributi sanitari, non sono veri prezzi ma tariffe
insosteinibili dettate da un cartello di aziende che ha i suoi sostenitori su
entrambi i versanti dei partiti italiani. Le tariffe praticate al sud e
in Sicilia sono discriminatorie. Ci sono (tolleratissime) molte frodi
che … finiamo per pagare noi, con gli interessi! I tentativi della
Regione di attivare un sistema siciliano di aziende assicurative, anni fa,
è stato …fulminato sul nascere. La solita Corte Suprema ha dato la
sua interpretazione …”abrogativa” per dire che in materia la Sicilia
non ha competenza. Figuriamoci! Le assicurazioni, tutte, fondi pensione
compresi, sono balzelli che dall’isola vanno verso il Continente,
aiutati peraltro dalla pubblicità a senso unico dei media italiani.
Siciliani! Tenetevi stretto, almeno finché potete, il vostro TFR. Non vi fate
fregare. Quando costruiremo nostre mutue assicuratrici popolari per
evitare queste tasse occulte? mah!

2)L’ICI e la Tarsu. Tributi comunali, si dirà, che male c’è? Nulla, se
non fosse che colpiscono anche prime case che non siano regge… La
prima casa non produce alcun reddito, spesso è “scuttata” da una vita di
mutui. Ma lo Stato e la Regione tagliano i fondi ai Comuni che non hanno
altra scelta che colpire il diritto all’abitazione. Altro che
fiscalità bizantina! Vogliamo l’Impero Bizantino! Ce la passavamo meglio. Poi
la Tarsu è sproporzionata, assurda, se rapportata al costo dello
smaltimento dei rifiuti urbani, irrazionale, regressiva. Ma tant’è. Dobbiamo
pagarla e basta. E chi non la paga, giù con i pignoramenti…

3)Il Canone Rai, il più assurdo dei tributi. Non legato alla capacità
contributiva (come vorrebbe la Costituzione), dovuto ad una società
privata (roba da feudalesimo), non previsto come tributo erariale dal
nostro Statuto. E’ un vero “pizzo” da pagare annualmente, che serve ai
Siciliani per farsi “italianizzare” dalla TV di Stato, per acquistare meglio
i prodotti padani, per appassionarsi alla politica teatrino o ai
polpettoni sul risorgimento e sulla “fantasia” italiana (fantasia nel
“fotterci” meglio), per fare il lavaggio di cervello ai Siciliani. La TV di
stato che sceglie di non parlare mai di Sicilia e dei suoi eventi
(locali, per definizione)se non per parlare di delitti e di non produrre
niente in Sicilia ma di farci appassionare ad esempio al Palio di Siena.
Puah!

4)Altre tasse occulte le paghiamo sotto forma di “bollette” nei servizi
pubblici essenziali. La luce più cara d’Europa (la borsa energetica di
Palermo) per un paese esportatore netto d’energia. Anche lì dobbiamo
mantenere il monopolista italiano, per non parlare degli immancabili
tributi indiretti sull’energia, a loro volta gravati di IVA (tasse sulle
tasse). Nei telefoni, dove la concorrenza è finta, non va meglio. Le
antiche e floride compagnie elettriche siciliane sono un ricordo per gli
anziani. I tentativi di costituire compagnie telefoniche
siciliane…fulminati sul nascere, ci mancherebbe.
Nel gas e nell’acqua va un po’ meglio, ma…ci stiamo attrezzando. A
proposito, ricordatevi di passare al fornitore italiano che per due anni
vi tratta meglio del fornitore locale (il tempo di farlo chiudere) e
poi vedrete…

5) Le “tasse” non dichiarate come tali più pesanti sono però quelli
degli interessi bancari. Fra i più alti d’Italia e d’Europa. La Sicilia è
un paese dell’Unione Europea di più di 5 milioni di abitanti che, non
partecipando al sistema europeo delle banche centrali, non beneficia di
un centesimo del signoraggio (tributo occulto sulla moneta che usiamo)
e, priva ormai di un sistema bancario proprio, paga interessi usurai a
un sistema italiano di banche che ha interesse solo a raccogliere
risparmio in Sicilia ma a non concedere più nessun credito. Il mercato del
credito non è concorrenziale. Nessuna banca europea può aprire in
Sicilia ma solo quelle italiane “gradite” a Bankitalia, le quali succhiano
sangue al nostro popolo, fanno chiudere con le loro richieste di
procedure fallimentari molte piccole imprese e pignorano case di malcapitati
che non riescono a inseguire i tassi variabili nelle loro dinamiche
impazzite.

6) La rapina per eccellenza è però quella della benzina. Paese
esportatore netto tanto di idrocarburi quanto di derivati, alla Sicilia arriva
un “prodotto finito” pieno di margini che restano nel Continente. Il
più immorale dei quali è l’accisa che finanzia il malgoverno italiano
(nel quale comprendiamo anche gli sprechi dei suoi rappresentanti in
Sicilia, beninteso!). Potremmo pagare la benzina a 50 centesimi e invece…


E con la benzina tutto il costo della vita sale… Strangolando i
bilanci dei più poveri, dei pensionati, che non arrivano a fine mese…

7) Poi ci sono le politiche industriali italiane che, in barba alle
norme europee sulla concorrenza, fanno sì che la Sicilia sia rifornita di
ogni bene o servizio dall’Italia a prezzi più o meno controllati,
persino di quei beni di cui la Sicilia è produttrice di materia prima e che
ci ritornano sotto forma di prodotto finito gravato di profitti
italici. Produciamo grano ma dobbiamo comprare la pasta italiana (fatta col
grano siciliano) nei supermercati italiani venduta da rivenditori
italiani. Produciamo pomodorini, ma l’imprenditore italiano ce li compra, ce
li impacchetta e ce li rivende. E si potrebbe continuare in ogni settore
economico. Ogni tentativo di iniziativa economica che non sia
marginale o subalterno all’economia peninsulare è boicottato da Bruxelles, da
Roma e persino da Palermo in ogni modo.

Risultato: non si produce
niente, si importa tutto, a prezzi proibitivi e qui alligna solo la
disoccupazione, il clientelismo e il sottosviluppo alimentato dai “pietosi”
aiuti del centro.

8) Infine, solo infine, c’è la fiscalità e parafiscalità vera e
propria. La Regione non attua la sua politica autonoma ma trattiene per
sprecare il gettito riscosso in Sicilia. Il reddito prodotto in Sicilia ma
riscosso altrove continua a finanziare Roma e i suoi sprechi in barba
all’art.37 e alle sue norme attuative, mai attuate. L’Italia viola lo
Statuto in mille modi riscuotendo in Sicilia tributi non dovuti e
trasformando il fondo dell’art.38 in un’elemosina definita contrattualmente tra
Italia e Sicilia. La parafiscalità previdenziale va al Continente ad
alimentare altri sprechi con una forbice tra redditi percepiti dal
lavoratore ed erogati dal datore che non ha pari in Europa e forse nel mondo
e di cui – si badi – non un centesimo resta in Sicilia dove non ha sede
alcun istituto previdenziale.

E poi siamo poveri! Cos’altro potrebbero rubarci? La dignità? Già
fatto!


La nozione di esistere? Già fatto?


La lingua e l’identità? Ci stanno riuscendo!


Altro che rivolta fiscale! Qui ci vorrebbe una vera Rivoluzione.

Lasciateci dire, con la celebre canzone siciliana:

Arrivaru li navi,


quantu navi a Palermu,


li pirati sbarcaru


cu li facci di nfernu

N’arrubbaru lu suli, lu suli,


arristamu a lu scuru, chi scuru, Sicilia,


Sicilia chianci!

L’Altra Sicilia, Palermo