SICILIA 2001, ODISSEA NELLO STRAZIO

Ragusa, 12 febbraio 2001

“2001 Odissea nello strazio” mi viene di scrivere
pensando alla nostra povera terra di Sicilia. Perché
di tutte le occasioni mancate, questo 2001 sarà la
ciliegina sulla torta; una torta andata a male,
rancida, che i signori onorevoli di Palermo, tuttavia,
continuano ad addentare come se si trattasse di una
prelibata leccornia.


Questo 2001 sarà un anno da
dimenticare per tutti i siciliani per due motivi su
tutto: voteremo per rinnovare il Parlamento (sigh!)
nazionale e quello, appunto, regionale (doppio
sigh!!).

Parlare di quello nazionale è, oltreché
> superfluo, anche offensivo dal momento che tutti,
dicasi tutti, coloro che sono stati eletti in Sicilia
hanno solamente badato ad occupare uno scranno di
potere pagato anche… decorosamente.

I problemi della gente, dei fessi, cioè, che li
votano, restano irrisolti perché costituiranno merce
di scambio per la campagna elettorale futura. Una
logica semplice, ma redditizia, alla quale non si
sottrae nessuno.

Quelli di Palazzo Reale,
intrisi anche loro di questa (sub)cultura
pauperistica, fanno di più e di peggio: si adoperano
quotidianamente per meglio vessare i cittadini ed
impastoiare la vita e l’economia. Sono quelli che
mantengono in vita quella vergona mondiale che si
chiama precariato e che occupa, si fa per dire, circa
35 mila persone in tutta l’Isola. Gente sottopagata,
spesso sfruttata, molto spesso utilizzata male o non
utilizzata col solo risultato di averla abbrutita e
disabituata al lavoro. Gente che invoca assunzioni
proprio perché abituata ad essere pagata per avere
fatto nulla.


Come si diceva una volta, “è sempre
meglio uno stipendio pubblico; sarà basso, ma è
sicuro”. Qualcuno, ogni tanto, per non farsi irretire
da questo nichilismo galoppante, cerca di inserisi nel
mondo del lavoro non assistito, ma trova subito i
mille ostacoli che una burocrazia folle impone, col
risultato che molti rinunciano scoraggiati. Allora si
cerca l’altra via, la più comoda: si vende la Sicilia
come una puttana.

Sì, proprio come una “di quelle”, e
si cercano offerenti esterni: portare le aziende del
Nord perché investano qui da noi. E perché non fare
sbocciare un’imprenditoria locale posto che abbiamo
cervelli ed iniziative da vendere? Già, sono in molti
a chiederselo; perché? Perché l’erba del vicino è
sempre più verde; perché uno che porta i soldi vuol
dire che già li possiede e gli si deve solamente
sottrarre la grana; perché i nostri giovani, i nostri
disoccupati hanno imparato a vegetare piuttosto che ad
agire.


Perché la nostra classe politica è tutta,
diciamolo francamente, da buttare. Tenere
quell’esercito di 35 mila sottoccupati vuol dire avere un serbatoio di voti certi a cui attingere quando
occorre: basta fare la solita promessa di sempre (“Vi
> sistemeremo, parola di me!!”) e il gioco è fatto.
Ma, quando l’imprenditore decide di scendere ad investire
i suoi soldi, per prima cosa chiede di non dovere
pagare un tributo alla mafia. La quale mafia sembra
essere scomparsa dall’agenda delle priorità del
governo romano nonostante il ministro degli Interni
sia un catanese; anzi, sia quel Bianco che fu salutato
come il sindaco della rinascita di Catania.


Preistoria!! I fatti ed il presente dicono ben altro:
la mafia non è mai morta ed i primi a saperlo sono
proprio coloro che vivono di attività produttive,
ovvero, di quelle attività che la mafia utilizza per
trarre sostentamento economico. Il calo di attenzione
verso il problema principe della Sicilia è tangibile e
nessuno può fare fira di non saperlo. Tutto qui?
Magari!! Dove le mettiamo quelle infrastrutture di cui
si parla tanto, e da anni, e che non abbiamo mai visto
realizzare?

Una Sicilia che vuole crescere
economicamente necessita, con violenta priorità, della
costruzione di porti, aeroporti, autostrade e
quant’altro possa assisterla per esaltare le sue
potenzialità turistiche, agro-zootecniche e culturali
di cui è ricca. Fare venire l’imprenditore del Nord
serve a poco se poi questi si accorge che non può
> esportare velocemente, e quindi entrare nei mercati
subito, in quanto a Ragusa, giusto per fare un
esempio, per la stupida diatriba di politicanti
piccoli piccoli, non si riesce a fare partire un aereo
da un aeroporto che già c’è. Ognuno vuole la sua buona
fetta di gloria, vedere il suo nome inciso sulla
lapide dell’inaugurazione, l’intervista televisiva con
fascia tricolore e suoni di trombe e di fanfare. Ora è
tornato prepotentemente in auge il ponte sullo
Stretto. Bla bla a non finire per un cantiere che,
statene certi, non partità mai.

Allora facciamo un
paio di domande: a chi veramente interessa questo
ponte e perché? Chi, invece, lo sta osteggiando in
tutti i modi e perché? Adesso sembra sia questa la
priorità assoluta (e inutile) da rincorrere, ed è
triste constatare come nessuno ha mai pensato di
smontare tutti gli impianti chimici, che hanno portato
solo inquinamento e disoccupazione, impacchettarli e
spedirli a Roma nelle sedi centrali di CGIL, CISL e
UIL che vollero lo scempio di interi tratti di coste
bellissime paesaggisticamente. Indi risanare, ove è
ancora possibile, e sostituire quei mostri di acciaio
e fumi con alberghi e campeggi.


L’industria chimica è
stata un malaffare totale perché, oltre
all’inquinamento ed alla disoccupazione, la Sicilia ha
subito la beffa dello sfruttamento dei pozzi
petroliferi senza avere nulla in cambio: ovvero,
ottenendo unicamente qualche prebenda, qualche
assunzione o qualche altro minuscolo benefit da parte
dei quei politicanti piccoli piccoli che hanno
trattato coi pescecani del settore. Come unico
risarcimento, paghiamo la benzina tanto quanto altre regioni che non producono petrolio, non lo raffinano e
non ne patiscono le conseguenze negative.

Allora, che
ci stanno a fare 90 incapaci nel Parlamento più
inutile del mondo ?


A farsi gli affari loro; a
incassare stipendi che non hanno eguali in altre
regioni italiane; a spossare i loro stessi elettori
con la loro esistenza; a mantenere una schier infinita di impiegati che costa la quasi totalità del
bilancio regionale. I dipendenti della Regione Sicilia
sono i più numerosi ed i più pagati in Italia, godono
di privilegi (come andare in pensione a 40 anni di età
o portarsi, come pensione, il 110% dell’ultimo
stipendio) che stridono violentemente con la
situazione economica generale. Pur tuttavia,
quest’anno si apprestano a cercare di nuovo il voto
alla stessa gente che maltrattano da sempre: da quando
la nefasta autonomia concesse privilegi che hanno
usato unicamente per le loro cause personali. E i
siciliani, pazientemente, come quelli curnuti e
mazziati, risponderanno tacitamente alla chiamata alle
urne perché “…l’onorevole Tizio mi ha promesso che
sistema mio figlio”. Prima di andare a fare loro
questo gradito regalo, occorrerebbe che ogni siciliano
leggesse quel capolavoro di letteratura e storia che è
“Il Gattopardo”. Poi, con l’animo pregno di quelle
pagine, saprà decidere meglio sul da farsi. Se, cioè,
è più utile mandare qualche somaro a dilapidare i
soldi della collettività, o piuttosto lasciarli tutti
a casa.

Qualcuno di questi forse dovrà pure inventarsi
un altro lavoro, ma non sarà la fine del mondo: con le
pensioni che hanno, e le buonuscite che percepiscono,
un vestito nuovo alla settimana se lo possonopermettere.

Con tante grazie (o alla faccia) del
popolo siciliano.

Giovanni Cappello –


L’Altra Sicilia – Ragusa