Una valle contro un Impero

Non è più di moda lottare per un nobile ideale, non fa chic, fa tanto bacchettone e fuori-posto in questo tempo solo di gossip, di statisti da “corriere dei piccoli”, di una società livellata verso il basso nelle sue mode, nei suoi intellettuali, nei suoi politicanti e nei suoi media, con la conseguenza della bancarotta e del fallimento di Stati e famiglie che noi tutti abbiamo sotto gli occhi.

La lotta per l’indipendenza di un popolo passa ancora oggi attraverso il filtro americano e, soltanto se questo filtro la giudica in linea con i suoi interessi economici, allora questa lotta diventa legittima, giusta e degna di rispetto.

E’ successo in Tunisia e in Egitto, ma non riesce pero’ a spuntarla in Libia dove, nonostante la vergogna di bombardamenti indiscriminati di francesi, britannici & Co sotto l’egida di un imbroglio che si chiama Nato, un dittatore vero, ma capace di strappare al deserto immense distese di sabbia e trasformarle in territori coltivabili per i suoi connazionali, capace di concedere gratis a questi stessi cittadini case, benzina ed elettricità, lotta per la sovranità minacciata e per non abbandonare il suo Paese ad imprecisate forze tribali di liberazione.

E’ la prova provata che l’Occidente ha iniziato il suo crepuscolo; le istituzioni prive di democrazia cui ha tentato di delegare legalità e progresso si sono rivelate fasulle; l’Europa, priva di una coesione politica e troppo precipitosa nel cancellare gli stati nazione, è diventata semplicemente un’immensa ed appetitosa area di libero scambio dove, grazie ad un terzomondismo senza ragioni, le merci e il terrorismo circolano senza controlli; è difficile oggi distinguere il bene e il male e soltanto le Piccole Patrie, a questo punto, potranno fermare la sua caduta verso una decadenza annunciata già dall’11 settembre del 2001, continuata nella guerra in Iraq, nei bombardamenti di Sarajevo e nelle forze di “mantenimento di pace” in Afghanistan.

Qui, un uomo solo aveva combattuto contro le truppe sovietiche per la liberazione del suo Paese prima e in seguito per l’autodeterminazione della sua vallata, il Punshir. Aveva scacciato gli sciuravi, nonostante l’iniziale ostruzionismo americano e per due volte era riuscito a liberare Kabul, nell’89 e nel ’92 ma, incompreso dagli occidentali, si era ritirato nella sua vallata. Quell’uomo si chiamava Ahmed Shah Massoud.

Ricorre oggi il decimo anniversario del suo assassinio per mano di due sicari magrebini con passaporto belga, il 9 settembre del 2001, stranamente qualche giorno prima dell’attentato (?) alle torri gemelle. Ancora oggi non si è dipanata la matassa dei dubbi, resta pero’ da sottolineare che la lotta di Massoud era stata la lotta per l’autodeterminazione del suo popolo e per l’indipendenza del Punshir, in modo da poter costruire in loco un avvenire di libertà e di progresso senza aspettare l’occidente, incapace di comprendere le ragioni di uno scontro tribale ancora in atto e abile soltanto a riconfermare come Presidente Kharzai, l’unico afghano che dell’Afghanistan non conosce usi e costumi, avendo trascorso la sua vita tra Stati Uniti ed Inghilterra e non avendo mai vissuto le esigenze e i bisogni del suo popolo.

Massoud, nella primavera del 2001 era venuto in Europa per sensibilizzare i piccoli statisti europei della necessità di aiutare la sua lotta in Afghanistan al fine di bloccare i talebani che volevano instaurare una repubblica islamica crudele e oscurantista: lui, islamico, cercava di avvertire l’occidente dei pericoli di un integralismo islamico gretto e fondamentalista.

Ma l’occidente aveva fatto finta di non capire, anzi non lo aveva neanche preso in considerazione, com’era successo quel venerdì’ 7 aprile 2001 quando era stato in visita al parlamento europeo a Strasburgo e democristiani e socialisti avevano rifiutato di incontrarlo, al contrario di quanto fece il gruppo dei Verdi e il gruppo UEN.

Massoud aveva chiesto aiuto all’Europa, forse poco al corrente di quanto questa Europa obbedisse ai dictat americani ed al “political correct” di questa Assemblea dei popoli europei che per mano dei suoi gruppi maggiori e più rappresentativi si era ostinata a non voler incontrare il capo del Punshir, considerato capo militare di un’ emisfero dove la guerra e la battaglia erano pertanto la ragione della sopravvivenza di ideali di libertà e indipendenza.

Non era venuto a chiedere soldi né materiali bellici, Massoud era venuto per evangelizzare l’Europa e per mostrarle chiaramente i pericoli della crociata talebana che non era confinata nel Punshir o nel solo Afghanistan, ma che si allargava a macchia di leopardo in Pakistan ma anche nel medio oriente africano, Yemen, Somalia, Stati del golfo. Ma l’Europa non volle ascoltarlo. Lo guardavamo negli occhi e leggevamo la pena di quest’uomo che sentiva di non essere preso in considerazione e che si ostinava a chiedere ascolto.

I suoi occhi velati di immensa dolcezza divennero umidi di tristezza quando ci strinse la mano per salutarci alla fine di quell’incontro, consapevole forse di aver speso la sua ultima carta nel gioco del destino che, dopo qualche mese, il 9 settembre di quello stesso anno, lo aspettava nel tradimento di una morte annunciata.

La morte di quell’uomo che ha lottato per l’indipendenza e per la libertà è diventata sacra e necessita oggi di essere ricordata non solo a Bazarak, sua città natale, o nel cimitero di Sarreka, diventato oggi il suo sudario, ma anche in quell’Occidente che aveva finto di non voler capire le ragioni del suo grido di aiuto e di allarme.

Ufficio stampa
L’ALTRA SICILIA – Antudo