U TEMPU CA PASSA di Enza Doria. Quando la memoria diventa letteratura

Recensione di Alphonse Doria

Proprio ieri ho trovato sul tavolo con la posta il libro “U Tempu ca Passa – Sprazzi di Luce e di Memoria” di Enza Doria (Edito Yuocamprint Self-Publishing, Tricase – Lecce, Giugno 2013). Avevo espresso apertamente il desiderio di poterlo leggere, essendo venuto a conoscenza della sua esistenza tramite la recensione di Daniela Domenici, così prontamente Enza (mia zia) me lo ha inviato.

Bene, devo dire che la sorpresa è stata crescente pagina dopo pagina.

E’ scritto in un suo siciliano molto attinente alla parlata siculianese con flessioni girgintane, non preoccupandosi di inserire qualche parola italiana quando questa le stava e rendeva agile il messaggio.
La lingua soprattutto deve essere efficace e quando è viva come la nostra ha le sue giuste mutazioni. Quindi ho trovato un linguaggio rapido ed efficace senza quella retorica stantia e a volte veramente inutile, senza artifici di nessun genere.

Allora ecco che si può parlare di letteratura, perché passa così com’è il messaggio con tutti i suoi colori, odori ed emozioni. U tempu ca passa, nel mio modo di vedere, è una antologia da dove la lettura scorre dai cuntura (racconti), ai ricordi, alle ricette, ai proverbi ed agli scioglilingua, tutto tra versi e prosa, a volte riuscendo a mescolarsi, in quell’uso della lingua siciliana malleabile e melodiosa. Il protagonista a primo acchito sembra “Siculiana”, in realtà è quel luogo della memoria che ogni letterato ha e ben sa che quel posto è solo nella propria mente, come una riserva dove rifugiarsi e sentirsi liberi di essere se stessi.

E’ quel posto dove da bambini si ci va a nascondersi, togliendosi dal campo visivo dei grandi e così sentirsi liberi di scatenare la propria mente con tutta la fantasia possibile. E non è solo questo. Vi si legge quella relazione colma di mistero tra la Terra di Sicilia ed il suo Popolo, ovunque esso sia.

Un Siciliano lontano da un po’ di tempo dalla sua Patria arriva a provare il “mal di Sicilia”, come il “mal d’Africa”. Forse perché la Sicilia è un pezzo che dall’Africa si è staccato, chi lo sa? I visitatori di ogni tempo della nostra Sicilia se ne sono accorti.

Io amo riportare nei miei articoli l’esperienza di Banana Yoshimoto (Giappone) una delle più grandi scrittrici del nostro tempo che arrivata in Sicilia ha avuto questa specifica sensazione: “Le persone che vivevano lì amavano quel posto e ne erano riamate … Avrei voluto fermarmi per sempre in questo mondo dai colori felici”.

Potrei dilungarmi su tanti altri viaggiatori non meno importanti. Enza usa la parola “Sicilia” come un contenitore. Il lettore alla fine del libro scopre dentro questo rapporto unico e misterioso di “madre e figlia”, importante esistenziale ed essenziale, trova gli “sprazzi di luce” che riemergono qua è la, quella luce unica nella nostra Sicilia che da ai colori uno smalto vivo ai fiori, all’azzurro del mare, al nero della terra, al nero dello scialle o della coppola mai tolta dalla testa, ai mille colori del cielo. Ecco che a pagina 23 vi è la suggestiva poesia STA MATRI ADDULURATA, già dal titolo vi è un sincretismo religioso tra la Madre Terra e l’Addulurata che si porta in processione il Venerdì Santo, con il suo manto nero e trafitta dal dolore, come (con) un pugnale nel cuore, mentre cerca l’amato Figlio. In questa poesia non è uno solo, ma
“troppu figli avi spartuti”.

La Madre Terra è addolorata perché i figli sono “spartuti”, separati, staccati, partiti. Ecco allora che in quel “spartuti” vi è la (s)partenza dolorosa dell’emigrato che si stacca dall’abbraccio fisico con i suoi familiari e da quello metafisico con la Terra. E allora ecco che:
“quannu ti vennu a truvariti ripigliano u sciatu di la so mamma,
chidda ca un si scorda mai: SICILIA.”

La parola SICILIA diventa rivelazione, verità, il logos. Enza utilizza il termine “mamma”, e con quale altro si può esprimere l’affetto, l’amore tra il Siciliano e la sua Terra. Noi Siciliani non abbiamo una patria, perché i diversi patri in tutti questi millenni, sono stati solo degli sfruttatori e colonizzatori che hanno violentato la nostra Terra e maltrattato noi figli, permettetemi questo neologismo, si può dire tutt’al più, che abbiamo una “Matria”. Poi a Pagina 24 dove leggiamo: “LU VECCHIU TRAPPITU DI LU PASSU”, vi è l’esperienza di mio zio Pasquale (ora Cavaliere della Repubblica Italiana, mi congratulo) che tornato dopo il successo professionale ed economico di Essen ha investito tramutando un rudere come questo antico frantoio per le olive in un hotel (dove pure io per un breve periodo ho trovato lavoro). A Siculiana non vi era nessun albergo ed era finalmente sorto. Enza scrive:
“Purtaiu l’entusiasmu di l’emigranti ca vozi riturnari ni lu so paisi pi gudirisi lu so suli e la so terra.”

Intanto da notare che il sole e la terra sono un diritto, la ripetizione di “lu so” è molto esplicita. Questa è la Terra dei Siciliani, di tutto il Popolo Siciliano sparso e disperso in lungo e il largo il pianeta e in questi giorni pure in orbita nello spazio (l’astronauta Luca Parmitano il quale nello spazio dallo scorso Maggio da quando ha visto la sua Sicilia sorpreso colpito nel sentimento ha mostrato le fotografie con orgoglio al mondo intero. Giovanni Corrao su Blog Sicilia scrive: “Sicilia: un’isola di luce, come un faro per questo viaggiatore … L’attaccamento dei siciliani alla propria terra non ha eguali, si sa. Lo sa bene Luca Parmitano”).
Sono stati in tanti che hanno voluto investire le proprie risorse economiche ed umane in Sicilia eppure il risultato è stato quasi sempre lo stesso: ripartire, dopo averci messo del proprio. Perché se questi Siciliani hanno avuto tanto successo in altre realtà non possono averlo nella propria Terra? E’ una domanda che merita risposta, almeno abbiamo tutti noi Siciliani l’obbligo di rifletterci seriamente.

Una data importante: l’8 Agosto 1956 MARCINELLE, Enza scrive a Pagina 25:
L’8 e 23 minuti: sona l’allarmi di la morti,
(…)
Nascivu lu stessu jornu di sta disgrazia umana e sempri a sta ricorrenza ricordu e pregu pi st’armuzzi suttirrati vivi.

L’ora e i minuti che hanno segnato la sciagura, sembrano dire che quell’allarme, allo scadere della ricorrenza inizia a suonare! Quel suono forte continuo alla fine della narrazione lo sentiamo tutti ci suscita ansia e angoscia, non rimane che pregare. Il caso vuole che proprio in quel giorno è nata Enza! Ecco allora che la morte e la vita sono aspetti diversi di una stessa verità molto più grande di noi da vivere in intimità e con il proprio sentimento religioso.
Insomma il libro da tantissimi punti di meditazione, nella sua semplicità vi è tanta sapienza.
Nelle ricette ho percepito i sapori, lu ciauru dell’aglio, il suono dell’acqua che bolle e l’olio che frigge. Che fame!
I quadretti delle scene dei personaggi, nella narrazione essenziale ma limpida, sono spettacolari.

Insomma è una antologia che sicuramente rileggerò altre volte. Spero che Enza Doria frughi ancora nella sua riserva mentale per riportare fuori tutto ciò che trova: cuntura, poesie, ricordi, ricette, proverbi e altro, per farne ancora letteratura.