L’ISTRUZIONE PUBBLICA SICILIANA CHE VOGLIAMO

Palermo, 18 Gennaio 2005

La recente pubblicazione della bozza di decreto legislativo per la scuola secondaria nonché i recenti diversi interventi (di questa maggioranza e di quella della precedente legislatura) in tema di Scuola e Università danno lo spunto a L’Altra Sicilia per sollecitare un dibattito sul tema della Scuola Siciliana.


Partiamo dal dato costituzionale (cioè dello Statuto di Autonomia Speciale). La Sicilia ha potestà esclusiva in materia di istruzione elementare (oggi, più propriamente “primaria”); la stessa può legiferare liberamente “entro i limiti dei principii ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato” sull’istruzione media e universitaria.

Che vuol dire ciò?

Vuol dire che sull’istruzione primaria la Sicilia ha il solo obbligo di rispettare il dettato costituzionale e per il resto può legiferare come un vero e proprio Stato sovrano.

Ma anche sull’istruzione secondaria e sull’università deve tener conto ben poco della legislazione nazionale (in pratica non violare i princìpi generali, cioè la struttura complessiva del sistema scolastico ed universitario e non varare norme in esplicita controtendenza con gli interessi generali dell’Italia).

Su questo secondo ambito non si ritiene corretto che tali principi ed interessi siano esplicitati unilateralmente per legge dal Parlamento Italiano: in tal modo lo stesso potrebbe dare una regolamentazione così dettagliata da vanificare l’Autonomia Siciliana.

Più corretto sarebbe fare precedere leggi (nazionali) ad hoc che statuiscano tali principi da veri e propri accordi (seppure in posizione asimmetrica) tra il Parlamento Nazionale e l’Assemblea Regionale. In mancanza di tali accordi e di tali leggi ad hoc tali principi dovrebbero essere tratti induttivamente dalla giurisprudenza costituzionale (quella legittima dell’ Alta Corte o, purtroppo, anche quella “di parte” e illegittima della Corte Costituzionale che oggi funziona).

Per fare qualche esempio concreto: se la legislazione nazionale prevede che l’istruzione media sia distinta tra “Istruzione e Formazione Professionale” da un lato e “Licei” dall’altro, che l’istruzione universitaria sia strutturata per “crediti formativi” (il c.d. Nuovo Ordinamento), la Sicilia non potrebbe sottrarsi a queste previsioni, ma sarebbe libera nel modificare i programmi (senza snaturarli) dei singoli percorsi dei licei ovvero nel definire le normative concorsuali universitarie o le classi di lauree di base e specialistiche e così via.

Questo sistema, attualmente quasi del tutto inattivo per “ignavia” della c.d. classe dirigente siciliana (non solo di quella politica), il quale delinea la possibilità di dar vita ad un sistema formativo quasi del tutto autonomo da quello italiano, è peraltro in qualche parte criticabile per incoerenza interna.

Gli “interessi generali” sono una categoria ambigua e potenzialmente pericolosa per la Nostra Autonomia che sarebbe meglio non venisse citata nello Statuto e piuttosto bisognerebbe fare riferimento ai “principi fondamentali” e basta come in genere per le altre Regioni.

La distinzione tra istruzione elementare e successiva non è razionale; sembra quasi che lo Stato ci voglia lasciare le cose meno qualificanti (ma non per questo meno importanti). Per contro, anche sull’istruzione elementare, non sarebbe male che le “norme generali” (tipo la struttura fondamentale, la durata dei corsi, il diritto allo studio e pochissimo altro) fossero di competenza del Parlamento nazionale.

Sarebbe stato più logico lasciare al Parlamento la potestà sulle “norme generali” e su tutto il resto potestà esclusiva alla Regione (si può discettare se anche l’Università debba rientrare in questa o solo l’istruzione ma in ogni caso, tranne i “principi fondamentali” anch’essa dovrebbe essere regionalizzata per dare compiutezza all’Autonomia).

Ad ogni modo, seppur perfettibile, quest’Autonomia c’è e sembra non sappiamo che farcene.

Cosa dovrebbe allora fare la Regione per dar vita ad un sistema scolastico efficiente e funzionale alle esigenze della società siciliana?

Intanto prendere coscienza che una buona Scuola è alla base di una buona società e della conservazione del patrimonio culturale ed identitario di un popolo. Già questo sarebbe un passo avanti perché consentirebbe, finalmente, di avere una strategia per la scuola e di non considerarsi più terminale passivo di interventi legislativi romani.

In secondo luogo si dovrebbe stimolare la partecipazione di tutti gli addetti ai lavori (insegnanti, studenti, ricercatori e docenti universitari, associazioni, accademie,…) per l’elaborazione di un “libro bianco” della Formazione Siciliana. Uno studio propedeutico delle esigenze della scuola siciliana varrebbe molto di più di mille interventi centralistici.

In terzo luogo prendere sì a modello come base la legislazione nazionale ma farne una sorta di “benchmarking” per modificarla secondo le nostre esigenze (di più nella scuola primaria e materna e nella istruzione e formazione professionale, non fosse altro perché lì abbiamo le mani più libere, ma – come possiamo – anche sulla scuola secondaria e addirittura nell’università e nell’alta formazione in genere).

In che direzione dobbiamo dirigere dunque la “nostra” Scuola? Con la dovuta modestia che impone un tema specialistico come questo, suggeriamo:

– mantenimento della centralità del servizio pubblico;

– maggiore controllo sulla qualità dell’insegnamento, il che significa distinzione “reale” tra le scuole private paritarie che assicurano una preparazione e garanzie paragonabili a quelle pubbliche e le altre che non possono dare tali garanzie;

– progressiva abolizione del “valore legale dei titoli di studio” nell’ambito dell’ordinamento pubblico siciliano per evitare il “turpe” mercato che ne deriva e stimolare la crescita di scuole private che si fanno concorrenza per la qualità;

– dotazione infrastrutturale, informatica ed organizzativa adeguata alle esigenze di una scuola moderna;

– selezione, aggiornamento e promozione del corpo insegnante rafforzando il ruolo delle scuole di specializzazione per l’insegnamento e superando progressivamente il precariato più o meno storico;

– adeguamento delle retribuzioni ai livelli medi europei, facendo in tal senso una forte scelta politica;

– centralità della formazione culturale generale della persona e del cittadino ad ogni livello;

– sperimentazione nei percorsi curricolari liceali che rafforzi la cultura interdisciplinare e di preparazione all’università (ad esempio con un unico forte “liceo classico” con comuni e solidi insegnamenti di lingue classiche, matematica, storia e filosofia, distinto poi in indirizzi che valorizzino ora la letteratura e l’artre, ora le lingue, ora le scienze naturali, ora le scienze sociali);

– maggiore trasparenza ed obiettività nei concorsi universitari;

– verifica periodica del raccordo tra la formazione proposta e gli sbocchi occupazionali, imponendo un criterio della programmazione continua ad ogni livello, in particolare nei settori maggiormente professionalizzanti;

– scelta politica di fondo a favore della ricerca scientifica e tecnologica, tanto di base quanto applicata.

Ma fin qui si tratta di obiettivi per i quali si potrebbe sperare anche in una buona legislazione nazionale o avere, legittimamente, idee diverse anche fra noi Sicilianisti per la nostra scuola.

Fin qui l’Autonomia (della Regione come, nei limiti dell’ordinamento, delle singole istituzioni scolastiche) è “solo” uno strumento per snellire la burocrazia derivante dal centralismo e per dotare la Sicilia di una scuola che risponda più dinamicamente alle sfide del XXI secolo.

Il campo, invece, dove l’Autonomia Siciliana non può essere confusa con quella di altre Regioni è quello dell’identità e della cultura siciliana.
Nella scuola primaria, ad esempio, potrebbe essere introdotta in maniera generalizzata la “Lingua Siciliana” per poi farla proseguire, progressivamente, nelle scuole di ogni ordine e grado.

Così spazio particolare potrebbe e dovrebbe essere dato alla Storia della Sicilia come storia del Popolo-Nazione di Sicilia e come storia dello Stato di Sicilia nelle sue differenti fasi storiche. Parimenti la “Cultura Siciliana” (Letteratura, Arte, Musica, Teatro,…) vi dovrebbe trovare spazio e così pure il Diritto Siciliano e l’educazione civica ai valori dell’Autonomia: Lo Statuto, quanto meno, dovrebbe essere conosciuto da tutti i cittadini siciliani.

Altro capitolo importantissimo è quello della formazione di una classe dirigente siciliana di tecnocrati, intellettuali e studiosi. Oggi in Sicilia, per fare carriera, un ricercatore deve “leccare i piedi” a qualche potente barone universitario “nazionale” o trasferirsi altrove e continunando così non si andrà certo molto lontano.

Si dovrebbero regionalizzare i concorsi, cogliendo l’occasione anche per renderli più seri (apertura alla dimensione internazionale e introduzione di sani meccanismi di competizione fra gli atenei): il risultato comunque dovrebbe essere quello di creare un’università dinamica, competitiva e soprattutto non più subalterna o timorosa del “Continente”.

In ogni caso non bisogna dimenticare che un Popolo senza una sua Scuola e una sua Università non è un Popolo e non può avere nessuna Autonomia degna del nome.

Le nostre idee sono certo solo prime proposte e comunque perfettibili, l’importante è però che le parole d’ordine siano le seguenti:

– autonomia dalla Penisola;

– valorizzazione dell’identità;

– eccellenza dell’alta formazione;

– efficacia ed equità dell’istruzione di massa;

– scelta politica di fondo a favore della ricerca e della formazione.

Massimo Costa –


L’Altra Sicilia- Palermo