LE MUSE, LA RABBIA E LO SCIROCCO

Bruxelles, 10 Gennaio 1999

Ritornano dopo qualche mese le nostre pagine di riflessione, di informazione che si picca di essere culturale, forse alle fine riesce ad essere solamente siciliana nei suoi sapori mediterranei…


La pausa, determinata dall’improvviso disamore forse, ma certamente dalla poca voglia di guardarsi dentro, ha attraversato momenti di grande delusione perché lo specchio della situazione italiana riflette immagini confuse e non appare terso né pulito.

Ci siamo detti che quando, come le Muse siciliane” … celebriamo le selve – e Virgilio, per bocca del paziente Don Rizzo ci ritorna in mente – “silvae sint consule dignae”.

Ma sono proprio degne di essere cantate queste “selve”? Onestamente, non possiamo dire di sì.

Che dire, come commentare infatti i comportamenti del Colle, dei pool giudiziari, dei responsabili politici, dei vari comunicatori, dei politologi, dei falsi invalidi, dei falsi pensionati, degli sfruttatori di immagine, degli approfittatori dei mezzi di comunicazione, ecc…?

Questo mensile riporta – come consuetudine – una lirica, una poesia che ha lo scopo di acquietare la nostalgia e trasmettere emozione. Per far ciò ha bisogno di un contesto di equilibrio e un’atmosfera distesa.

Invece tutto l’entusiasmo iniziale sfuma nelle difficoltà di capirci qualcosa, nella rabbia di non riuscire a capire.

Come trovare allora la voglia di riempire le pagine, dove trovare l’ispirazione perlomeno nella scelta della lirica da offrire al lettore? Adesso del tempo è passato dall’ultimo numero che recitava: Ma quando se ne andranno?…

Non se ne sono ancora andati e dovremmo titolare quindi i giorni della rabbia. La nostra rabbia di cittadini traditi, accresciuta dal fatto di vivere lontano dalla realtà che ci sta a cuore, di accusarne ricevuta senza poter essere, in qualche modo, determinanti nelle scelte: potessimo tornare a votare…

No, non come partito preso, piuttosto come la sola possibilità che ci è data per tornare a determinare qualcosa, per sentirci per una volta – l’ennesima – padroni del nostro stesso destino di cittadini. Tornare a votare, presupponendo però prima di tutto una riforma del sistema elettorale, non più equivoca ma segnatamente maggioritaria, che finalmente riesca a esprimere due soli schieramenti: uno che governi e l’altro che faccia opposizione..

A questo punto, parlare di magistrati, politici, dell’uomo del Colle, sarebbe troppo scontato, non riusciremmo a ritrovare le atmosfere per un foglio culturale se ci facessimo prendere la mano nel commento di una situazione italiana che tutti abbiamo sotto gli occhi, purtroppo!

Ed allora giriamo pagina e apriamo la nostra finestra siciliana.

Lasciamo così entrare lo scirocco, il vento nostro, della gente del Sud, che arriva silenzioso sull’isola, annunziato da un calore esasperato, carico dell’eco torrida dei deserti africani, dove il mare ha solo memoria di acqua perduta.

L’aria diventa molle, si appiccica addosso mentre la gente chiude finestre e balconi.

Una volta, per proteggersi dallo scirocco, si costruivano case senza fessure, muri ciechi che scandivano il tempo tutto siciliano dell’attendere.

Raccontava Vitaliano Brancati che, nel languore obbligato, “… solo la fantasia fermenta; i progetti, i sogni, i ricordi si mischiano e aggrovigliano…”

Eccoci a questo punto all’atmosfera magica: nel fermento della fantasia tutto diventa malia, ricerca di identità che partendo da noi stessi troverà dentro noi stessi lo slancio al futuro.

Eugenio Preta