Buttanissima Sicilia ovvero…

Buttanissima Sicilia, ovvero lo sparare alle spalle all’ex pianista, maramaldeggiare (in numerosa e talvolta poco onorata compagnia) contro il pianista attuale che sembra, a detta di lorsignori, steccare tutte le note, inoltre – poiché ogni vero intellettuale che si rispetti deve pur dirla una minchiata pur che sia controcorrente – spennellare ecumenica solidarietà ad un carcerato smagrito, ed infine impantanarsi nelle paludi melmose dell’anti-antimafia dove strisciano animalazzi gonfi di fiele ed umori aciduli.
Intendiamoci, neanche a me piacciono i “professionisti dell’antimafia” – ma mi chiedo se siano migliori i “dilettanti dell’antimafia”- ma proprio non riescono a starmi simpatici i professionisti della mafia sia questa criminale che politica.

Comincia bene l’autore del pamphlet (solo in parte un organico saggio perché vi si trovano anche articoli già scritti e appiccicati postumi), ed accettabile è la sua tirata contro l’autonomismo, la sua genesi compromissoria e mafiosa e la sua quasi immediata degenerazione; condivisibile il suo sfogo e la sua amarezza contro le brutture e le devastazioni cementizie ed urbanistiche che hanno violentato la nostra terra.
Un’invettiva, non originale ad onor del vero, che coinvolge popolo e classi dirigenti, e che condividiamo appieno.

Pur se lo stile, lo stile scrittorio comincia a dar sui nervi, talmente richieda attenzione superflua, affatichi e “mortifichi” chi legge, per l’ignoranza dei tanti testi e libri e riferimenti acculturati che l’autore da sfoggio di conoscere (vezzo elitario che lo accomuna a tanti intellettuali organici).
Stile “costruito”, talvolta artificiale e che nonostante si richiami a presunte antiche cadenze, sembra ideato apposta per creare disagio ai “normali” fruitori dei suoi scritti (quasi a voler sottendere “io sò io e voi nun siete un c….).
Il buon Montanelli rileggeva a voce alta quanto messo giù su carta per aver conferma che le parole stampate avessero significati e sonorità quanto più possibile comprensibili ai suoi lettori.
E capisco l’ambizione di uno stile distintivo alla Camilleri (che anche questo comincia a rompere i cosiddetti cabbasisi: ultimo suo libro godibile “La concessione del telefono”), ma quando la lettura si fa fatica ed indotta “umiliazione”, l’originalità stilistica diviene artifizio intellettualistico.

Chiusa parentesi, e riprendiamo il filo del libro, sempre che un filo logico ci sia.
Un filo logico-politico intendo.

Infatti l’autore prima irride la parabola lombardiana ed infierisce sul non-più-potente Raffaele Lombardo (con Mastro don Gesualdo lo equipara), il quale, ad onor del vero, viene messo all’angolo anche da quei professionisti dell’antimafia che in un primo momento gli furono alleati in funzione antiberlusconiana, ed una volta utilizzato lo abbandonano al suo destino (l’autore da buon “garantista” lo da già per condannato); poi smitizza l’ultimo “cavallo di razza” e assurto a simbolo dell’antimafia (non del tutto privo di schizzi di merda, a detta dello stesso), Rosario Crocetta, immaginifico e trendly personaggio che da quel di Gela era giunto agli onori dell’europarlamento.

Pertanto, riduce l’esperienza lombardiana a fenomenologia cospiratrice e schizofrenica (Lombardo “tradisce” il centro destra ed anche il suo stesso movimento autonomista poiché “vede nemici dappertutto e di alcun si fida”), ma che per ironia della sorte viene scaricato proprio da quei “professionisti dell’antimafia” così poco simpatici all’autore. Già condannato nell’immaginario popolare prima che in aule di tribunale, seguendo metodologie e tempistiche simili a quelle che hanno condotto in carcere il pre-precedente governatore Salvatore Cuffaro detto Totò.
Ed è proprio nel trattare questi destini per alcuni versi paralleli che l’autore comincia a balbettare, a contraddirsi, poiché da un lato estrinseca “affettuosa” solidarietà umana ad un Cuffaro anch’esso obiettivo primario di procure e di “professionisti dell’antimafia” (ma che tre gradi di giudizio riconoscono colpevole), ed al tempo stesso tira un poco onorevole “calcio dell’asino” al politicamente moribondo Raffaele Lombardo, non ancora condannato in via definitiva dai Tribunali, ma la cui sentenza è già “banniata” proprio da quei “professionisti dell’antimafia” che così poco simpatici gli stanno.

Ma veniamo a Crocetta, a suo parere, fanfarone e vanaglorioso ed inconcludente declamatore.
E lo accusa nientepopòdimeno di “criminalizzare” i problemi e di demandare alle procure invece che alla politica lo loro risoluzione (ritornello in gran voga in questi ultimi tempi in Sicilia, soprattutto sulla bocca di chi per decenni se ne è strafottuto delle regole e della decenza).
Chiarisco subito che non ho alcuna intenzione in tale sede di difendere o giudicare Crocetta e l’operato suo e della sua squadra di governo, pur se ritengo che l’analisi debba essere quanto più possibile articolata, considerando sia il contesto politico assembleare sia la onnipotente e spesso infedele burocrazia regionale.
Ed attaccare l’ondivago Crocetta sulla vicenda Muos farà pure figo, ma si dovrebbe sapere che la responsabilità primaria è di quei governi che hanno subito tale umiliante sudditanza (l’accordo fu deciso dal governo Berlusconi nel 2001 e ratificato dal governo Prodi nel 2006) e che le competenze della Regione siciliana si limitavano a problematiche inerenti la salute ed i campi magnetici, ed eluse con il parere sfavorevole dei Tar siciliani.
E comunque non vi è alcun onore a stare nello schieramento anti-Crocetta, spalla a spalla con tante poco raccomandabili figure (a cominciare proprio da taluni cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, momentaneamente in disaccordo con gli altri cosiddetti “professionisti” pro Governatore): in tale fronte spiccano i Pd ex democristiani (alla Genovese per intenderci), i Pd antirenziani, la variegata ed ondeggiante galassia pseudo centrista (dove per centro vi è da intendere il posto più prossimo al centro della tavola), ed infine i miseri resti di quel potente esercito “che con arroganza e protervia percorse valli e contrade, conquistando tutti i 61 avamposti elettorali, strappandoli con audacia e valore, fino all’ultima preferenza, al nemico di allora”.
E pure i grillini manco loro scherzano, che a volte per voler fare gli originali e gli integralisti a tutti i costi si fanno organici pur se involontari alleati di chi vuole che nulla cambi.
E può darsi che Crocetta, alla fine, risulti davvero un vacuo declamatore ed un arruffapopolo, ma i suoi attuali nemici non hanno alcun titolo per ritenersi a lui migliori, perché corresponsabili primari e secondari del disastro siciliano.
E sappia l’autore che anche da costoro – in Sicilia soprattutto da costoro – il suo libello viene elogiato ed omaggiato.

Antonio Arena