Obama, il Brexit e la Regina Elisabetta

La celebrazione del compleanno della Regina Elisabetta rappresenta sempre un grande momento di unità nazionale, nonostante quello che possano pensarne i detrattori – spesso impenitenti repubblicani – che non riescono ad ammettere la dimensione familiare dell’istituto monarchico che tocca nell’animo indistintamente tutti i sudditi di sua maestà.

Oggi la Gran Bretagna, paese sempre ossequioso nei riguardi dei suoi ospiti, si vede trascinata, proprio da un ospite di riguardo, in una polemica politica assolutamente poco opportuna in questo preciso momento storico.

E’ successo che il presidente Obama, in visita di Stato a Londra, abbia tenuto un discorso davanti alla Regina, e ad un “confuso” Cameron, in cui manifestava profonda inquietudine per il referendum del prossimo 23 giugno che potrebbe sancire l’abbandono dell’Unione Europea da parte della Gran Bretagna.
In maniera assolutamente formale, come si conviene ad un ospite scrupoloso, Obama ha tenuto a sottolineare che, pur se riviene per intero ai cittadini britannici la libertà di decidere la permanenza o l’abbandono del Paese dall’Unione Europea, il risultato delle consultazioni, già da ora, riveste un profondo significato per gli Stati Uniti.

Dichiarazione improvvida perché espressa fuori contesto (davanti alla Regina) ma che certo sconfina nelle competenze del diritto interno di un paese, non solo, ma fa scattare l’arma del piagnisteo della riconoscenza, che non deve essere mai dimenticata, quando Obama ricorda le decine di migliaia di americani che riposano nei cimiteri europei per dimostrare la stretta correlazione esistente tra prosperità e sicurezza dei due Paesi e quando, sicuramente cosciente di sollevare un vespaio, continua, avvertendo che la strada che i britannici sceglieranno il prossimo 23 giugno peserà nelle prospettive future delle generazioni americane.

Questa frase, ricordando la relazione speciale che lega Washington e Londra, significa implicitamente che un abbandono dell’Unione verrebbe percepito dagli Stati Uniti come un vero tradimento.
Parole che certamente manifestano l’inquietudine odierna di Obama, che sul punto di abbandonare la casa bianca, vorrebbe poterlo fare in serenità, senza scatenare ulteriormente, le sempre feroci critiche dei neo-conservatori e dell’opposizione repubblicana.

Eppure, non sufficientemente relazionato dai nostri media, Obama ha lasciato trasparire i motivi della sua vera angoscia quando, “en passant ” ha ricordato il valore del partenariato di commercio e investimenti (TTIP), deciso con l’Unione, che ha il compito di far avanzare i valori e gli interessi che sono comuni.

Ecco, a questo punto è opportuno sottolineare quanto il deprecato accordo TTIP stia a cuore ad Obama, tanto che, nel discorso sullo stato dell’Unione del 2013, ne aveva annunciato con entusiasmo il lancio, e tanto che già l’aveva avanzato come linea guida del suo mandato presidenziale nei meeting della campagna elettorale del 2008 .
Affermando la sua convinta intenzione di avviare l’Unione transatlantica, Obama si iscriveva nella linea tracciata da J.F Kennedy, o ancora peggio sulla scia di quel paneuropeismo di Coudenhove-Kalergi, propedeutico all’istituzione di un nuovo governo e di un nuovo ordine mondiale.

Alla fine, desideroso di salvare il soldato Cameron, che da parte sua si trova combattuto tra la voglia di mantenere il suo Paese nell’Unione e le promesse fatte nella campagna elettorale del 2013, quando l’abbandono della Gran Bretagna dell’UE aveva costituito il motivo centrale della sua campagna elettorale, e peraltro ne aveva sancito poi il successo, oggi non sa più cosa dire. Quanto ad Obama, lui vive la contraddizione di un attore che ormai sulla via dell’uscita di scena inciampa nei risvolti del sipario.

Eugenio Preta