Il rapporto delle attività 2016 della Corte Penale Internazionale

Si definisce “Statuto di Roma” il Trattato internazionale che ha deciso l’istituzione, nel 1988 proprio a Roma, della Corte Penale Internazionale (Cpi), entrata in vigore nel 2002.

Dal 2016, 124 dei 196 paesi membri dell’ONU hanno ratificato lo Statuto di Roma e accettano le prerogative della CPI, 32 Stati, tra i quali Russia e Stati Uniti hanno firmato lo statuto ma non lo hanno ancora ratificato, altri come l’India e la Cina hanno addirittura rifiutato ogni coinvolgimento.

A differenza del Tribunale Penale Internazionale che è primato rispetto alle giurisdizioni nazionali, la Corte Penale è stata concepita per completare i sistemi giudiziari nazionali e può intervenire solo se questi non lo fanno. Il suo principio giuridico principale rimane “ne bis in idem”, insieme alla non retroattività delle sue operazioni d’inchiesta. La Corte, però, oggi vive un momento di pressione. Infatti, dopo la pubblicazione dell’ultimo Rapporto sulle attività condotte dalla Corte Penale nel 2016, la Russia ha comunicato la sua intenzione di ritirarsi dal Trattato, tacciando la CPI di inefficacia e di parzialità nella scelta delle inchieste: in pratica i russi la giudicano come una vera e propria giustizia “a gettone”. Le autorità russe prendono a paradigma il recente caso dell’Ucraina, paese che non ha firmato lo statuto di Roma (e che non riconosce quindi la CPI) ma il cui attuale governo, originato peraltro da un vero colpo di Stato, ricorre oggi proprio alla CPI contro la Russia.

I russi accusano la CPI di indagare solo i cecchini della piazza Maidan o i fatti del Donbass e della Crimea, trascurando invece l’incendio di Odessa dove 50 persone sono state bruciate vive o il blocco dell’erogazione di gas e di acqua in Crimea in pieno inverno, azione giudicata dai russi un vero e proprio crimine contro l’umanità, operata peraltro da quegli attivisti tartari che non soltanto non vengono inquisiti, ma che si costituiscono addirittura parte civile.

Tra le sentenza storiche della CPI sembra esemplare quella che ha condannato, dopo ben undici processi il leader serbo Milosevic, deceduto in carcere in condizioni sospette, ma oggi assolto per i crimini contestati proprio dalla stessa Corte che l’aveva precedentemente condannato.

In conseguenza del ritiro della Russia e della volontà di Cina e India di non partecipare allo Statuto, la legittimità della Corte che si prefigurava come un organismo con competenze internazionali, resta confinata solo all’occidente, tanto più che anche stati africani come il Burundi, il Sudafrica e la Guinea si sono ritirati, stanchi di vedere trattata l’Africa solo come ufficio di collegamento esterno, a vantaggio della sede di New York, accusata non solo di svolgere compiti di coordinamento, ma anche di istruzione e di inchiesta.

Ritorniamo così a quanto scritto recentemente a proposito della vacuità degli acronimi nell’universo di organismi e istituzioni e alla confusione del cittadino: oggi la CPI ma anche ONU, FMI ed altri organismi, creati inizialmente per scopi umanitari e di solidarietà tra le Nazioni, hanno assunto ruoli di supporto dei tentativi americani di bipolarità.

Ma un mondo veramente libero deve essere innanzitutto un mondo multipolare ed i popoli, stanchi di vedere stravolti i valori dell’umanesimo, della giustizia, del diritto, vogliono oggi riappropriarsi della loro autodeterminazione e vedono proprio nella multipolarità una condizione irrinunciabile di esistenza e indipendenza.

Indubbiamente gli Sati Uniti sono una grande Nazione ma, parafrasando Churchill, diremmo che se gli altri paesi sono pronti ad imparare da questo grande popolo, questo Paese non è assolutamente disposto a prendere lezioni dagli altri. Oggi, a distanza di quattordici anni dal suo insediamento, constatiamo la crisi della Corte penale che stravolgendo gli scopi per cui era stata prevista, appare ancora un organo supplementare di pressione e di oppressione degli Stati Nazione e dei popoli sovrani.

Eugenio Preta