Erdogan, califfo contraddetto

Se fino ad ieri Erdogan aveva sperato che un plebiscito popolare avrebbe accolto la sua proposta di riforma costituzionale , oggi la stentata vittoria lo ricolloca nel limbo delle pie intenzioni, dell’emblematico “ vorrei ma non posso”.

Il progetto di riforma costituzionale infatti, che avrebbe consegnato pieni poteri al nuovo sultano trasformando il Paese che il padre dei turchi, Mustafa Kemal Ataturk aveva voluto laico e moderno, in una repubblica del presidente , ha vinto solo per pochi voti, assestando i valori del “si” al 51,3% .

La risposta dei turchi, l’86% dei quali si è recato alle urne per rispondere al quesito imposto dal loro presidente, ha dimostrato l’interessamento dei cittadini al progetto in esame ed il loro coinvolgimento nel futuro scenario istituzionale che Erdogan stava studiando per loro. Il plebiscito che il presidente turco auspicava pero’ non si è registrato , svelando peraltro profonde fratture interne di una Turchia meno unita di quanto potesse effettivamente sembrare.

Diverse indicazioni servono a suffragare la tesi di una vittoria del sì, certamente stentata , in chiaroscuro. Il primo dato si riferisce alla reazione della numerosissima comunità turca emigrata in Europa: i turchi che vivono all’estero hanno votato massicciamente a favore di Erdogan e della sua proposta svolta autoritaria.

Le cifre parlano chiaro: in Germania i si’ hanno raggiunto il 63,6%, il 67,8% in Olanda ed ancora il 63 % in Francia, dimostrando cosi’ che i turchi piu’ europei non sono sicuramente quelli che vivono in Europa.

In effetti gli emigrati turchi che vivono in occidente provengono in maggior parte dall’Anatolia : sono profondamente islamizzati e legati alla tradizione. Erdogan lo aveva previsto ed aveva favorito il loro supporto con una campagna particolarmente anti-europea del partito del presidente che aveva mandato persino alcuni suoi ministri a tenere comizi elettorali nei territori europei puntando il dito proprio contro gli europei tacciati di islamofobi e nemici della Turchia. Olanda e Francia avevano persino respinto alla frontiera due ministri sorpresi a fare propaganda non autorizzata sul loro territorio. L’appoggio dell’emigrazione turca in Europa ad Erdogan, visti i tempi, appare perciò oltremodo inquietante.

La seconda indicazione deriva dalla parcellizzazione del voto.Il territorio turco appare elettoralmente frammentato: da una parte le grandi metropoli e le città della costa, dall’altro le zone interne del paese. Persino Istanbul, che aveva visto Erdogan sindaco per molti anni, gli ha voltato le spalle bocciando la sua riforma . La stesso risultato si è registrato ad Ankara e ad Izmir. La Turchia piu’ modernista , legata alla laicità ed alla democrazia non ha cambiato la sua faccia ma ha dimostrato insospettate capacità di resistenza se teniamo conto che i partiti a favore della riforma, l’AKP di Erdogan e il suo principale alleato, il partito nazionalista islamico MHP , alla luce dei risultati perdono piu’ del 10% di suffragi proprio ad Ankara e ad Izmir dove , nelle scorse elezioni del novembre 2015 , erano addirittura arrivati in testa.

La terza indicazione proviene dalla tenuta della coalizione. La maggioranza costruita da Erdogan per supportare la riforma sembra essersi scolta come neve al sole.

Se il leader di MHP ha sostenuto con forza il si’, la base del suo partito, e una grande maggioranza dei dirigenti, sembra averlo rifiutato temendo una svolta eccessivamente teocratica di Erdogan, cosi’ come, nelle zone costiere e nella parte occidentale del Paese, gli stessi dirigenti dell’AKP si sono dichiarati apertamente contrari all’ eccessiva concentrazione dei poteri nelle mani di un solo uomo.

Una vittoria in chiaroscuro quindi che ridimensiona i progetti del “rais”, a seguito peraltro di una campagna elettorale definita eccessivamente aggressiva dagli esperti dell’ Osce e ehe lascerà sicuramente tracce in Turchia.

Ora ci si domanda se Erdogan, a fronte della risicata maggioranza ottenuta, riterrà di avere la legittimità necessaria per procedere alla riforma delle istituzioni prevista in profondità e in maniera radicale.

I dubbi restano forti anche se appare riconfortante, per un senso di democrazia generale , constatare che piu’ della metà dei Turchi ha dimostrato di saper ignorare le minacce degli imam piu’ radicali che promettevano l’inferno a chi avesse votato no e la maggioranza dei turchi ha confermato di poter solo ridere dei celebri editorialisti di regime che avevano pubblicato articoli di lode per i partigiani del si’, giornalai che affermavano che votare si’ avrebbe obbedito ad un preciso dovere religioso. Con buona pace di Mustafa Kemal Ataturk,

Eugenio Preta