La presa di posizione del Vaticano sui flussi migratori

Nel prossimo mese di gennaio 2018, si terrà la 104° giornata mondiale del migrante e del rifugiato. L’atteso messaggio del Vaticano, tramite Bergoglio, non si è certo fatto attendere, anzi, con una precisione chirurgica il Pontefice, dopo essere intervenuto nel dibattito nazionale sullo “ius soli”, dichiarandosi a favore della cittadinanza agli stranieri nati in Italia, adesso insiste in modo sempre più deciso sull’accoglienza dei rifugiati e dei migranti sottolineando, ancor più, che l’accoglienza deve sempre venire anteposta alla stessa sicurezza nazionale.

Secondo la tradizione, l’apostolo Pietro, successore di Cristo e primo vescovo di Roma, e di cui ogni Pontefice diviene l’erede succedendogli sul soglio papale, è morto crocifisso proprio a testa in giù, ritenendosi indegno di morire come Gesù Cristo. Nonostante ciò, mai finora abbiamo assistito ai comportamenti di un pontefice che procedesse veramente a testa in giù, come Papa Francesco ultimo romano pontefice che ci ha servito la complicata Curia romana. Bergoglio infatti procede a testa in giù, derogando allegramente dal suo dovere di proteggere i cattolici e compiacendo invece i loro carnefici che si nascondono numerosi anche tra quei migranti che gli stanno tanto a cuore.

Il messaggio che farà da prodromo alla giornata mondiale del 14 gennaio ci spiega tutta la sua filosofia in materia. Anzi, ancora di più, Bergoglio aggiunge del suo richiamando ad un’accoglienza appropriata e degna, insistendo anche sulla necessaria semplificazione delle procedure statali per accelerare la concessione dei visti umanitari e per il ricongiungimento familiare.

Bergoglio mette anche in guardia a proposito delle espulsioni collettive ed arbitrarie che non possono costituire una soluzione adeguata per risolvere il problema. Chiede perciò agli Stati di evitare le misure cautelari di detenzione dei minori e chiede subito di premiare l’integrazione invece di quell’assimilazione che condurrebbe i migranti a cancellare o peggio a dimenticare la loro propria identità culturale. E questo sempre per i rifugiati. Ma una parola per i cattolici? Alla faccia del pastore di Cristo che in pratica milita, né più né meno per la fine della nostra Europa storica.

Come giudicare infatti Bergoglio se ripensiamo invece a Benedetto XVI° ancora lucido negli interventi dogmatici? Noi purtroppo rileviamo la cecità o il cinismo di un papa che dimentica i suoi fedeli in difficoltà, così numerosi per il mondo intero da doverlo obbligare a preoccuparsi prioritariamente per loro piuttosto che incitare queste istituzioni europee senza legittimità – fortunatamente ascoltato solo da pochi capi di stato – alla necessità dettata da un mondialismo senza patria la cui affermazione trova fortunatamente ancora un freno proprio nelle identità dei popoli e di qualche Stato nazione.

Ricordando che il cattolicesimo, con la sua matrice greco-romana, rimane la base culturale che l’Europa, in un progetto di costituzione fortunatamente annullato dai popoli era riuscita persino a rinnegare, rimane il sospetto che Bergoglio sia stato eletto per chiudere i conti di una religione due volte millenaria ma moribonda nella sua terra d’origine, l’oriente.

Il discorso di Bergoglio rende ancor di più fragile un cattolicesimo già sconvolto da un anticlericalismo interno senza contrasti, secondo cui la Chiesa sarebbe il male e l’Isam la salvezza. Più segnatamente Bergoglio mette in pericolo la sicurezza dei popoli europei dimenticando che il terrorismo islamico colpisce indiscriminatamente e senza distinzione tutti i miscredenti.

Sembra davvero il tradimento dell’occidente ormai vittima di un islam guerriero che addirittura espone i cadaveri sventrati dei cattolici colpevoli d’associazionismo, o shirk, termine arabo che significa associare un uomo a Dio quando parlano di consustanzialità del Padre e del Figlio e di Spirito Santo. Abbandonati i cristiani d’oriente, i propositi di Bergoglio sembra ripetano una triste cerimonia proprio con il bacio traditore dell’apostolo Giuda nell’ultima cena.

Eugenio Preta