Goldoni in Catalogna

“Le baruffe chiozzotte” erano le liti e le incomprensioni che caratterizzavano il quotidiano di Chioggia nel ‘700 e che hanno ispirato una fortunata rappresentazione teatrale scritta da Carlo Goldoni. E proprio a questa atmosfera di farsa e di buffonata sembra riportarci il clima surreale che si è acceso a Barcellona, nel giorno della fantomatica dichiarazione di indipendenza.

La repubblica indipendente di Catalogna, infatti, solennemente proclamata mercoledì 10 ottobre tra festanti deputati barbuti e “descamisados” all’interno dell’Aula e da uno strano popolo in tripudio all’esterno, ha vissuto molto meno della rosa di Malherbe, solo 8 secondi, il tempo necessario perché il popolo della ribellione esultasse e Puigdemont, girasse la pagina del leggio chiedendo, tra la delusione di tutti, che gli effetti reali della proclamazione venissero sospesi per consentire un negoziato conciliare con il governo di Madrid. Aggiungendo confusione a confusione, due ore più tardi, alla fine della seduta parlamentare, tutti i deputati secessionisti hanno firmato un documento che interrompeva la sospensione precedente, e, ri-proclamando l’indipendenza, evocava la possibilità di un dialogo con Madrid.

Un gesto apparentemente generoso ma in verità una vera e propria trappola che tutti avevano capito, tutti, tranne i media stranieri che hanno subito aperto le loro prime pagine sull’offerta di dialogo della Catalogna, un dialogo mal interpretato però, perché verteva solo sulle condizioni della resa del governo centrale e della Spagna. Alla luce di tutto ciò, sempre colpevolmente in ritardo, il governo Rajoy si è finalmente deciso a ricorrere alla procedura di sospensione dell’attuale autonomia catalana, applicando l’art. 155 della Costituzione, che prevede innanzitutto l’avvertimento ufficiale alle autorità interessate perché mettano fine alla ribellione e ritornino sotto l’egida della legge spagnola.

Al premier Mariano Rajoy, sicuramente poco coraggioso e assolutamente superato dagli avvenimenti, non restava altro che chiedere al governo secessionista se avesse effettivamente dichiarato o sospeso l’indipendenza. L’ennesimo tentennamento di un governo che, in un momento di gravità estrema, dimostra insieme a poco coraggio, la sua incapacità di adottare le misure necessarie previste.

Al di là però della lungaggine prevedibile delle procedure e del braccio di ferro con Madrid, c’è l’avvertimento dei catalani allo stato Spagnolo, nonostante l’abbandono della quasi totalità delle grandi imprese e delle banche stabilite in Catalogna – anche il calciatore argentino del Barça, Messi, avrebbe dichiarato di essere disposto ad abbandonare la squadra se, in seguito alla secessione, il Barcellona dovesse essere escluso dal campionato spagnolo – e nonostante l’assoluta mancanza di sostegno ottenuta dai rivoltosi da parte delle autorità internazionali.

Certamente le autorità catalane faranno finta di non aver capito il segnale lanciato da Madrid, anche perché se lo facessero, dovrebbero affrontare le ire di quella massa di patrioti che già l’altra sera si era riunita davanti al parlamento manifestando la propria rabbia al grido di “Puigdemont traditore”, trattenuta, questa volta – ma con grande difficoltà – dai caporioni.

A questo punto se i rivoltosi ignorassero l’ultimatum di Madrid, e se i goffi tentativi dello stato centrale di trovare un modo per evitare la crisi dovessero fallire, il tutto, avrebbe esiti cruenti e sfocerebbe in un confronto diretto dai risultati improponibili.

Eugenio Preta