”Vu’ cumprà” e prodezze pretoriane


A
proposito di poveri “vu’cumprà”





LE PRODEZZE “PRETORIANE”


DI UNO STATO (SEDICENTE)
DI DIRITTO




di Carmelo R. Viola




Un poverocristo di “vu’ cumprà” – uno dei tanti straccioni
extracomunitari, di quelli che sono costretti a fare la qualunque per non
morire e, se possibile, mandare qualche soldo ai figli lontani– espone le
proprie “mercanzie” su una coperta in una pubblica piazza di una grande città
del nostro bel Paese. Degli agenti, cosiddetti dell’ordine, lo vedono,
lasciano che il poveretto “apra la sua bottega”, non fanno niente per
impedirglielo. Nel contempo osservano una donna che si avvicina alla merce
esposta, sceglie, contratta e acquista: i pretoriani non fanno niente per
impedirglielo.

Si limitano a fotografare la banalissima scena nient’affatto
straordinaria con un cellulare e subito dopo, con l’aria di chi personifica il
servo che assicura dei ladri al padrone, intervengono e, impugnando carta e
stilo, vergano solennemente un verbale di contravvenzione. Il mercante
malcapitato scoperto si allontana in men che non si dica mentre l’acquirente,
colta con le mani nel sacco, viene multata per  acquisto di
prodotti contraffatti.


        
Traduciamo: la donna non ha effettuato alcun incauto acquisto;
consapevole del valore commerciale dell’oggetto, pubblicamente esposto a fine
di vendita, ha trovato conveniente l’offerta e, probabilmente nient’affatto
benestante, l’ha acquistato. Questo gesto, naturalmente legittimo, le costa
una penale pecuniaria salata.


        
La TV ne ha dato notizia questo 3 aprile come di un successo eccellente
della difesa della legalità grazie all’uso provvidenziale quanto subdolo di
quell’aggeggio diabolico del telefonino supersofisticato multiuso che consente
di riprendere in occulto dei rapporti di mercato della fattispecie e di
punirli con provvedimenti così esemplari da poterli definire deterrenti contro
la delinquenza!


        
La questione – che mi ricorda la vergogna di un bambino multato perché
trovato con un panino imbottito appena comprato senza scontrino fiscale! – non
è per niente semplice e, soprattutto giuridicamente, fa acqua da tutte le
parti. Sappiamo che da qualche tempo nei grandi negozi, controllati con un
sistema televisivo a circuito chiuso, il fatto è portato a conoscenza della
clientela per evitare incresciosi e mortificanti incidenti. Indipendentemente
dalla valenza morale del sistema, si tratta purtuttavia di un rapporto di
lealtà civile. Figuriamoci se un accorgimento similare non sarebbe doveroso in
un miserabile mercato di poveri! Invece no, la cliente è ignara del rischio
che corre nel comprare merce che probabilmente ritiene non rubata, trovandola
alla luce del sole, e semmai lo fosse stata, prima di appiopparle un pizzo di
esclusiva natura fiscale, si sarebbe dovuto dimostrare il dolo contro la buona
fede. Oh! si facesse finta di non sapere quanta merce certamente rubata si
trova esposta alla luce del sole in rinomati mercati di grossi centri urbani!
Ma qui c’è la paura che incute chi non teme il carcere o, peggio, la
criminalità organizzata e, i pretoriani, ben guardinghi, fingono di non vedere
trasgressori sistematici del codice della strada perché noti o supposti boss o
figli di boss.


        
Nel caso in questione, la paura è assente, le vittime sono dei deboli e
l’intervento repressivo è facile, diventa quasi eroico ed ha gli onori della
cronaca. E’ ovvio che la donna ha colto l’occasione di acquistare per qualche
€uro della merce, imitativa di articoli di marca (con la quale ci avrebbe
fatto un figurone), per altro “davanti agli occhi della legge” che avevano
visto, tollerato e consentito l’operazione. Perché mai una persona, disposta a
risparmiare (del resto raccomandato dalla stessa intellighenzia del sistema)
dovrebbe privarsi della possibilità di farlo in un luogo controllato dal
pubblico potere?


        
E c’è qualcosa che va ben oltre l’evento appena descritto. Se un
prodotto di qualità può essere riprodotto magari alla perfezione, nella
sostanza e nella forma,   e comunque venduto per pochi
spiccioli, questo dimostra in maniera inequivocabile la fallacità dei prezzi
molto alti in funzione della marca rinomata ovvero, per dirla in maniera nuda
e cruda, che il vero ladrocinio sta proprio da parte della legalità. Ed è
proprio la legge a prenderne le difese.


        
Prendiamo il caso di un “onesto” imprenditore che si è costruito via
via un paradiso terrestre, trasformandosi da affarista in cerca di successo in
un “padreterno”. Ebbene, io affermo che i beni in esubero posseduti da costui
sono refurtiva: il risultato di una predazione realizzata con modalità
surrogatorie di quelle originarie della giungla. Nessuno può contestare
l’evidenza che quel ben di dio è ricchezza prodotta dai lavoratori, a cui non
è stata distribuita (come vuole la legge cooperativa) e che non è stata
nemmeno devoluta alla collettività (come vuole il socialismo) ma è stata
accumulata da una o più persone, titolari dell’impresa, che si sono arricchite
mentre i produttori reali sono rimasti poveri.


        
Quando un affamato o uno in vena di emulazione, cerca di predare parte
di quella refurtiva, lo Stato, sempre più grottesco tutore di quella
criminalità o predonomia legale detta capitalismo, blocca i beni, cioè la
“preda”, presa di mira da altri predatori.


        
In questo quadro, fotogramma di una civiltà che “implode” minacciando
di ridursi in un cumulo di macerie in un Pianeta sempre meno ospitale e
vivibile, la prodezza pretoriana, che coglie in flagranza una donna che
acquista un bene a molto buon mercato al posto di uno equivalente gravato di
un pizzo esorbitante, viene comunicata ed elogiata come una vittoria
dell’onestà contro il crimine.


        
Mi vien voglia di vomitare sulla faccia di chi so io, e solo per civica
decenza, mi avvicino ad un angolo di strada – cioè al contesto di una nota di
cronaca – per liberarmi di ciò che mi opprime lo stomaco.


 


Carmelo R. Viola – Centro
Studi Biologia Sociale –
csbs@tiscali.it


Sito internet: http://biologiasociale.altervista.org