Il vento Usa sul continente sudamericano

Il vento della riconquista politica degli Usa soffia forte sul sud del continente americano con l’affermazione in Brasile di Jair Bolsonaro, candidato delle lobby evangeliche nord-americane e, in Venezuela con la destabilizzazione programmata del regime di Nicolás Maduro.

I due protagonisti delle cronache del momento, Juan Guaidó, presidente venezuelano autoproclamato e Bolsonaro, presidente eletto, appartengono al laboratorio americano che immagina ed attua il cambiamento dei regimi. Due personaggi che hanno fatto irruzione sulla scena mediatica mondiale richiamando allettanti confronti con i populismi ed i sovranismi tanto temuti in Europa, similitudini troppo affrettate, perché entrambi rappresentano la svolta dei nuovi “Chicago Boys” di seconda generazione, clonati nelle dottrine dell’ultra-liberalismo e non hanno quindi nulla di populista né di sovranista.

Il motore della riconquista politica, da parte degli Usa, passa necessariamente dal sostegno incondizionato ai cambiamenti di regime in atto nei due maggiori Paesi sudamericani, come espresso dal presidente Trump. La riconquista economica prende il via dalla necessità di dover assolutamente mettere le mani – con la benedizione delle grandi imprese petrolifere – sulle risorse venezuelane per poter quantificare la forza del petrolio di scisto, al momento difficilmente utilizzabile, di cui gli americani sono diventati i principali produttori.

A distanza di oltre due secoli, Donald Trump, si rivela quindi come il fedele e convinto assertore e continuatore di quel cartello della supremazia americana nel mondo, rappresentato dalla dottrina Monroe, che aveva fondato la diplomazia esteriore degli Usa sul principio de “l’America agli americani”, quasi un augurio che riporta inesorabilmente il ritorno di quella dottrina come paradigma affascinante per i sovranisti europei in cerca di una voce europea indipendente e sovrana.

Secondo la dottrina del presidente Monroe, l’America del nord e quella del sud avrebbero dovuto fare blocco di fronte alla colonizzazione europea, considerando ogni intervento europeo negli affari del continente americano, come una minaccia per la loro sicurezza e per la pace.

Come contropartita gli Usa non sarebbero mai più intervenuti negli affari europei. Una teoria apparsa sempre avulsa dalla pratica reale, tale da tradurre ben presto la dottrina Monroe nella celebre prassi staliniana: ”quello che è mio è mio e quello che è tuo è negoziabile”.

In seguito al congresso di Vienna del 1815 che riorganizzava l’Europa dopo la sconfitta di Napoleone, in obbedienza ai principii della teoria Monroe, le potenze della Santa alleanza avevano rinunciato ad ogni possibile intervento in America del sud, nel momento stesso che la Russia firmava con gli Usa un trattato per il quale avrebbe rinunciato ad ogni rivendicazione sulla parte sud dell’Alaska al prezzo equivalente a 120 milioni di dollari attuali.

Nonostante le premesse, all’indomani della seconda guerra mondiale gli Usa, che detenevano più di due terzi dello stock di oro mondiale, in cerca di nuovi mercati ed approfittando della loro egemonia militare, vararono una nuova dottrina Monroe, quel Piano Marshall che permise loro di allargare la loro egemonia economica, geopolitica e culturale anche sul contente europeo.

Sotto le spoglie di gendarmi del mondo o di Impero indulgente, a partire dalla guerra fredda, per i loro interessi geostrategici gli Usa strumentalizzarono il diritto di ingerenza umanitaria e l’imperativo della lotta contro l’asse del male ed il terrorismo come l’estrinsecazione più machiavellica proprio di quella dottrina Monroe. Così si spiega oggi il ritorno della filosofia Monroe in Venezuela, in Brasile, nel resto dell’America del sud e laddove ogni richiesta di indipendenza energetica, agricola e di sovranità geopolitica continentale devono essere ostacolate sia per “ingegneria elettorale” o peggio “manu militari”.

Gli Stati Uniti non sono mai stati un Paese isolazionista e l’isolazionismo affisso oggi come paradigma della presidenza Trump “Fai l’America di nuovo grande” è la dimostrazione lampante dell’esplicazione della potenza americana che avverrà sempre e solo a spese di altri popoli e delle nazioni sovrane.

Eugenio Preta