Dopo Mortadella, il Salame?

La battuta non è mia; la devo a Marco Silvestri, nostro lettore e amico da Pechino.
Essa colpisce nel segno: tra gli italiani che detestano Prodi, la prospettiva di un governo del Cavaliere-bis non suscita entusiasmi frenetici, anzi.
In un simile governo ci ritroveremo Mastella ministro di qualcosa: dunque qui nessun cambiamento, non ci abbiamo guadagnato niente.
Riavremo Cuffaro, stavolta al Senato (gliel’ha promesso Casini, come compenso: Cuffaro ha fatto crescere l’UDC in Sicilia al 18%, possiamo intuire come).
Emilio Fede resterà «on air» senza decoder, il che è una disgrazia  in se stessa.

Avremo la Brambilla a mostrare l’inguine, capessa del partito-aborto che il Cav s’era immaginato. Riavremo Fini che farà le scarpe all’unico competente della compagnia, Giulio Tremonti.
Riavremo i soliti litigi della cosiddetta coalizione della libertà, le solite sparate da alcoolista anonimo del super-leghista, la stessa ingovernabilità di sempre.
Lo stesso governo semi-democristiano, che è tutto quello che Berlusconi sa fare.

Programma?
Nessuno.
Si sente parlare di Ponte sullo stretto, cose simili.
E che dicono sulle tasse, la disoccupazione, l’economia strangolata dalla recessione globale, i debiti delle famiglie, il costo del lavoro altissimo con paghe bassissime, insomma dei problemi che la gente si aspetta siano affrontati da un governo?
Nulla.
Eppure il programma c’è, ed è stato scritto dagli italiani coi referendum del ‘93.
Allora, il popolo sovrano votò per il sistema maggioritario, a maggioranza schiacciante – 82,7%, dunque senza distinzione tra italiani di destra o di sinistra, ed ebbe il Mattarellum (un trucchetto per lasciar vivere i partiti ex-DC) e poi giù giù fino al Calderolum, detto «la porcata», proporzionale demenziale a cui dobbiamo la proliferazione di partiti di famiglia e di single, e il trionfo del Mastellismo in un solo paese (Ceppaloni).

Il popolo sovrano votò per la responsabilità civile dei magistrati, che pagassero per i loro errori e le loro incurie insensibili alle sofferenze umane che provocano.
La separazione delle carriere fra accusatori e giudicanti veniva come conseguenza: nulla è stato fatto.
Il popolo sovrano votò contro il finanziamento pubblico ai partiti (90,3%), per l’abrogazione delle nomine nella banche pubbliche, per ridimensionare il potere dei sindacati, per abolire le Partecipazioni statali e il ministero del Turismo-spettacolo…
Nell’insieme, quei referendum dicevano che la volontà popolare aveva visto giusto: bisognava ridurre la spesa pubblica e i privilegi della Casta.

Nel ‘94 Berlusconi, portato al governo con un’alluvione di voti, maggioranza mai vista nella storia, poteva dichiarare: eseguirò il programma che il popolo ha dettato.
Lo farò con tutta l’energia e la durezza necessaria (ci vuole, per liberarsi della Casta), perché forte di due potenti legittimità: la volontà popolare espressa nei referendum, e il voto popolare.
Il Cavaliere che fece?
Partecipò a vertici internazionali allo scopo di fare le corna nelle foto-ricordo.
Cercò di salvare Previti dalla magistratura (senza riuscirci).
Mandò via Tremonti perché lo voleva Fini.
Ha accentuato la spesa regionale incontrollata, nel Sud appaltata alle mafie, in Lombardia a CL, in Centro-Italia alla cosca COOP rosse.
Invitò l’«amico Putin» nelle villone sarde.
Telefonò per raccomandare veline o farsele portare a letto.

No, non è bello, quando si è anti-sinistra, anti-Visco e anti-Padoa Schioppa, pensare di essere rappresentati da un simile Salame.
Perché questo è purtroppo il segno di Berlusconi in politica.
Il suo peggior difetto.
Non dico che non abbia pelo sullo stomaco, scaltrezza e assenza di scrupoli, che non sia disonesto.
Dico che nel panorama italiano la disonestà è la norma.
Quel che conta, in politica (che non è la morale) è «a che scopo» si fanno cose discutibili e persino illegali.
Per salvare Emilio Fede dal decoder, e Previti dalla galera, è un po’ poco.
Dico che in confronto a Prodi, D’Alema, Violante, Berlusconi è un Cappuccetto Rosso.
Non ha imparato niente nemmeno da Mortadella, quello sì, il vero esperto del potere.

In questi mesi, zitto zitto e senza che la cosa andasse troppo sui giornali, che cosa ha fatto?
Le nomine.
Ha messo amici suoi ex dipendenti della sua Nomisma e complici-clienti su alcune decine di poltrone che contano nel sottogoverno, negli «enti tecnici», nei centri di clientele e di distribuzione di favori.
Il Salame, dall’opposizione, avrebbe potuto obbiettare almeno una volta, fare almeno una battaglia contro qualche nomina prodiana.
Perché non l’ha fatto?

Qualche lettore ha persino insinuato che Berlusconi sia stato complice del sistema-Prodi.
Io ritengo che la spiegazione sia: perché è un Salame.
Un brianzolo euforico, che non è cresciuto più in alto di Edilnord e di Mediaset.
Sono sicuro che di quelle nomine prodiane non ha mai nemmeno sentito parlare: il che non è strano, se si pensa che – con ogni evidenza – si fa informare dal TG5 e da Emilio Fede, che nel suo telegiornale parla solo di tre argomenti: «Sta arrivando il grande freddo».
«In arrivo l’influenza, copritevi» (intervista al dottore).
«Ecco la bella velina che legge le previsioni del tempo, in modo che io possa palparla un po’».

Ora, un uomo politicamente ambizioso non può avere come amico Emilio Fede, un leccaculo oltretutto mezzo-democristiano.
Finisce che si fa fregare da Prodi.
Il quale lo sta ancora fregando, sotto il suo naso.
In queste settimane di «amministrazione corrente», lo scaltro Mortadella – come pelo sullo stomaco, il cavalier Salame è al confronto un neonato – sta sparando nuove nomine, se nessuno lo ferma.
Oscar Giannino ha fatto un elenco delle poltrone a cui Prodi potrebbe mettere i suoi:
ENI – pseudo-privatizzata, ma controllata dallo Stato (ministero Finanze, Padoa Schioppa), capitale 87 miliardi di euro.
Un prodiano a quella poltrona dà a Mortadella il modo di controllare la politica energetica del Paese, anche se Salame va al governo.
ENEL – Anche questa privatizzata-statale (l’azionista è lo Stato, attraverso vari ministeri), con 44 e passa miliardi di capitale.
Tirrenia – Controllata al 100 % da Fintecna, a sua volta controllata al 100% dallo Stato.
La Tirrenia, dice Giannino, «è stata cocciutamente impedita da CGIL e Rifondazione di quotarsi in Borsa, dove avrebbe potuto reperire le risorse necessarie alla difesa del suo status di gigante mondiale della cantieristica da crociera».
Insomma i sindacal-comunisti vogliono Tirrenia piccola e in asfissia, ma «roba loro».
Finmeccanica, controllata dallo Stato al 34%, 8 e passa miliardi di euro di capitale.
Poste italiane – «privata di Stato» al 65%, immensa greppia clientelare, inefficientemente lanciatasi nel «management di mercato», ma capace potenzialmente di diventare una grande banca oppure «l’attore nazionale, che continua a mancare, della logistica» (Giannino).
RAI – Controllata al 99% dal ministero delle Finanze.
Di questa il Salame si occuperà, perché è il suo campo (così crede), ma solo per lasciarla com’è, un disastro, onde non faccia concorrenza a Mediaset.
In ogni caso, Prodi ci metterà ai vertici un amico suo, e poi sarà dura sloggiarlo: le sinistre e i loro media accuseranno il Salame (giustamente perfino) di conflitto d’interesse.
E mica si tratta solo di vertici.

Ciascuna di queste società controlla decine, «a volte centinaia di altre società, joint-ventures, in Italia e all’estero».
Nel complesso, sono in ballo un migliaio di nomine.
Se Prodi riesce a farle, crea una nuova IRI «privata» e controllata da lui attraverso Nomisma & Co. Un capitale complessivo di 200 miliardi di euro.
Si tenga conto del fatto che attraverso Prodi e Draghi, alla fin dei conti a controllare quel nerbo colossale – tutto quel che resta «dei grandi gruppi italiani» nelle graduatorie internazionali – sarà Goldman Sachs, di cui i due sono dipendenti distaccati.
Si tenga conto che questi gruppi costituiscono «un blocco di potere economico, finanziario, occupazionale» (clientelare) tanto rilevante da contare per un terzo dell’intero valore della Borsa italiana.
Ma soprattutto il futuro governante cavalier Salame dovrebbe tenere presente questo: che senza il controllo di quelle società ed entità, non riuscirà a governare.
Quelli sono organi tecnici essenziali, senza disporre dei quali si possono fare manfrine e teatrini, ma non amministrare.
Il «governo» non consiste nei ministeri, ma nel mettere sotto controllo dei ministeri queste entità essenziali e necessarie.
Qui si vede la differenza fra Prodi e il Cavaliere.

Non mi scrivano i lettori ingenui, dell’onestà dell’uno e della disonestà dell’altro, non facciano la morale che in politica – specie la nostra – non conta niente.
Sono disposto solo a riconoscere questo: che il disonesto Prodi usa la sua disonestà con scaltrezza, e con la competenza che ha acquisito come manovratore semi-secolare dell’IRI.
Che lui, sì, ha un progetto: costituirsi un blocco di potere personale e di rete tale, da farlo «governare» anche se non lo vota nessuno, sotto la coperta della democrazia, nel sottogoverno. Prodi ha realizzato un golpe tale, che il Salame non riesce nemmeno a immaginare.
Lo userà come?
Per Goldman Sachs?
Per fare le scarpe a Veltroni?
O a Berlusconi?
A tutt’e due?
Per tornare al potere domani?
Per gestirlo dietro le quinte?

In ogni caso, non nell’interesse di noi italiani.
Il Salame, ne sono convinto, non ha la competenza né l’intelligenza per affrontare questi temi, e nemmeno ha le cosiddette «palle».
Il carattere, non ce l’ha.
Per questo vuol piacere sempre a tutti.
Per questo si circonda di leccapiedi che lo adulano, da lui pagati: perché non è sicuro, anzi ha il vago sospetto di essere un Salame, e si deve sentir ripetere che non lo è.

Quasi a post-scriptum.
Un esempio di come la sinistra ha governato: un’assurda tassa di Visco è l’IRES, che colpisce più esosamente le aziende che hanno oneri finanziari (debiti con le banche usuraie) superiori del 30% del margine operativo.
Ovviamente, saranno colpite a morte due tipi di imprese: quelle già in difficoltà, magari marginali, che la tassa porterà al fallimento – distruggendo posti di lavoro che comunque si auto-mantenevano, e che diverranno dipendenti dalla pubblica carità.
Colpirà ancor più crudelmente le imprese nuove e in crescita: sono queste che si indebitano molto, proprio perché sono sane e neonate.
Visco le punisce perché investono troppo a credito.
Una tassa sull’indebitamento anziché sui profitti: incredibile, no?
Ma perché fa questo, Visco?
Perché distrugge l’economia reale e privata?
Credete forse che sia anche lui un Salame?

Grave errore: Visco è una bestia, ma sta attuando il suo programma.
Il programma comunista nel vero senso della parola: «sterminare i kulaki», ossia le imprese piccole e private di successo, onde ridurci tutti a dipendenti dello Stato.
Obbligati, magari, a chiedere un salario bussando a Poste Italiane, Tirrenia o ENI.
Ossia alla rete di potere di Prodi.
Meno privato c’è in Italia – a prezzo di miseria non importa – più potere ha il blocco di potere che si chiama sinistra.
Ossia la Casta con le sue varie cosche, fancazzisti a posto fisso, magistrati impuniti, Mastella & Famiglia, clientele parassiti eccetera.
Ecco, già saremmo contenti che il Cav parlasse, una volta sola, dell’IRES.
Che mostrasse una qualche competenza, quando parla di «comunisti», tanto da rivelare quel che i comunisti fanno a nostre spese di contribuenti.
Sappiamo già che non lo farà.
Il che ci vieta di rallegrarci della caduta di Mortadella.

Concludo: in politica, la stupidità è peggio di un delitto.
«C’est pis q’un crime, c’est une betise», disse Talleyrand.
Questo è il vero tradimento: prendere i voti degli elettori, e poi tradirli per stupidità e pochezza.
Ora, minaccia la piazza se non ci danno il voto subito.
Con ciò, è solo è riuscito a farsi trattare, dalla sinistra, come il nuovo Mussolini, ha dato armi alla loro propaganda.
La marcia su Roma del cavalier Salame.
Che tristezza.

Maurizio Blondet
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