Chi fini fici Miccichè?


Impossibile essere autonomisti o anche soltanto difendere la Sicilia dentro i partiti italiani!

E’ di questi giorni la polemica per i tributi di ogni tipo che l’Italia trae dalle fonti energetiche siciliane e che non restituirà mai, se non in minima parte: la gran parte di deputati e senatori del PDL non muove un dito, perché altrimenti perde il posto, lo stesso MPA non può ottenere se non briciole (ma meglio di niente) perché è minoranza (seppur rilevante) nella sua stessa Sicilia e piccolo movimento d’opinione nel sud continentale.

Ne vogliamo la prova?

Prendiamo dal blog di Micciché un post di circa un anno fa (20 luglio 2007) che sembrava scritto dal più sfegatato separatista, e che è stato archiviato insieme ad ogni velleità di “rivoluzione siciliana” (termine, fra
l’altro, preso a prestito da “L’Altra Sicilia” che lo aveva coniato).

Non se ne fanno rivoluzioni siciliane da Arcore.
Ricordiamolo bene.

Ufficio stampa
L’ALTRA SICILIA – Antudo



Buona lettura
come monito per distinguere in futuro le imitazioni dagli originali…

Direte voi…perchè questo sguardo?
Per capirlo vi invito a seguirmi in questo breve viaggio attraverso il risorgimento Siciliano…
Dopo il triste periodo spagnolo del 18° secolo (quello reso famoso dal terrore dell’inquisizione) la Sicilia vive una breve stagione sotto l’egida della Gran Bretagna.
Nel 1812 nasce una nuova costituzione sorretta da lord William Beutinck.Nel marzo del 1848 torna ad essere indipendente con la nascita della Repubblica Siciliana e Ruggero Settimo diventa capo del Governo.

Quello è il periodo della rivoluzione contro i Borboni. Gli inglesi si innamorarono dell’isola, nascono tanti matrimoni tra famiglie (i Witaker Woodhouse con i Florio tra queste) e gli stessi, avendo ancora forti interessi nell’isola, consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia (sic!).
I Savoia preparano allora una spedizione che affidano ad un avventuriero senza scrupoli (ladro di cavalli nell’America del Sud, arrestato più volte e obbligato a tenere i capelli lunghi per nascondere la mancanza dell’orecchio destro che gli era stato tagliato come punizione per le sue ruberie).

Si chiamava Giuseppe Garibaldi e l’unica persona seria che, conoscendo il personaggio, si oppose a tale spedizione si chiamava Camillo Benso conte di Cavour.
Garibaldi, insieme ad un altro grande filibustiere di nome Nino Bixio, ne combinò di tutti i colori compiendo atrocità e massacri in tutta l’isola fino a quando nel 1860 i siciliani furono costretti a votare per la cosiddetta “unità d’Italia”.
Votò solo il 15% dei cittadini e le urne furono consegnate ai garibaldini per il controllo degli scrutini: 432.053 voti ”si” contro 667 “no”.

Giuseppe Mazzini e Massimo D’Azeglio rimasero disgustati dal metodo.

Nel 1862 iniziano i moti rivoluzionari indipendentisti ed il governo piemontese instaura il primo stato d’assedio (è in quest’ anno che, dopo processo sommario, viene fucilata in piazza, dal Generale piemontese Pietro Quintino, una certa Angela Romano accusata di simpatizzare con i rivoltosi indipendentisti. Aveva 9 – nove – anni).
Dopo la protesta inglese della Camera dei Lord dell’ 8 maggio del ‘63, in cui si denunciano le infamità dei piemontesi, inizia una vera e propria caccia al siciliano e con un secondo stato d’assedio le famiglie dei renitenti vengono torturate, fucilate e molti bruciati vivi.
Guidava l’operazione il criminale piemontese Generale Giuseppe Govone che alla Camera (allora con sede a Torino) giustificò il brutale operato dicendo: “tutto ciò si rende necessario per fare uscire la Sicilia dalla barbaria nell’utile percorso verso la civiltà”.

Spero che tutti si rendano conto dell’enormità: un Piemontese che vuole fare entrare la Sicilia nel mondo civile!
Nel 1871 il magistrato Diego Tajani denunciò il patto scellerato che il Governo aveva stretto con la Maffia (allora con 2 “f”) e mise sotto inchiesta il prefetto garibaldino Generale Medici.
Il Governo Italiano, sempre molto attento sui problemi siciliani, costrinse Tajani alle dimissioni.Nel 1869 il deputato Filippo Turati, proprio lui il socialista, chiede alla Camera libertà per il popolo siciliano e paragona l’oppressione piemontese (o italiana, se suona meglio) a quella zarista.…eccetera, eccetera compresa una lettera di Napoleone III a Vittorio Emanuele in cui si legge, tra l’altro “…gli orrori commessi in Sicilia in così poco tempo dagli agenti di Sua Maestà non sono paragonabili a quanti commessi in cento anni dai Borboni”.
Tutto questo nei libri di Storia.

Per un motivo o per un altro, ma quasi sempre per fatti relativi all’economia e alla giustizia, dal 400 a.C. in poi, il popolo siciliano ha avuto bisogno di ribellarsi e da allora, se escludiamo i primi 4 secoli dopo Cristo, ciò è avvenuto sempre, senza soluzione di continuità e con avversari di ogni tipo anche forti e potenti.

Ci siamo ribellati quando abbiamo creduto di subire un torto, quando abbiamo capito che rubavano i soldi nostri, la libertà nostra o la nostra dignità.Siamo così per carattere.

Non ricordo in Sicilia una sola scuola o via o piazza dedicata a Federico II ma tante, veramente troppe dedicate a delinquenti come Garibaldi.

Ma quando ci sveglieremo?
Arriverà, prima o poi, il momento in cui la nostra storia la scriveremo noi? o continueremo ad aspettare che qualche altro tipo di Piemontese ci imponga qualche nuovo “eroe”?

Gianfranco Micciché
Articolo pubblicato sul blog di Gianfranco Miccichè il 20.07.2007