Le buone ragioni del Parlamento Siciliano

Sul sito Sicilia Informazioni qualche tempo fa è stato pubblicato un sondaggio on line, proditoriamente qualche giorno dopo lo scandalo di Acierno che usava la carta di credito della Fondazione Federico II per viaggi alle Maldive o giochi al casinò, dal titolo “Se abolissero il Parlamento regionale ti dispereresti?”
Con una domanda del genere è ovvio che ci sia stata una valanga di “no”. La cosa sorprendente è però l’affezione che ormai circonda il tema dello Statuto siciliano, e quindi sorprende quel 15% di “sì” che, con le sole ragioni del cuore, hanno risposto che sì, si disperebbero per la perdita di questa storica istituzione siciliana.

Il Direttore della rivista on line, dott. Parlagreco, ha poi tirato le somme, non tanto dei risultati, quanto dei commenti, equamente distribuiti fra detrattori e sostenitori dell’autonomia speciale. Ed è stato tutto sommato equilibrato anche se si vede che il suo cuore batte per l’unionismo puro e semplice della Sicilia con l’Italia. In particolare ha criticato una domanda in cui si poneva il quesito “perché non abolire il Parlamento italiano”, ribadendo che quello non era eliminabile mentre per la Sicilia il Parlamento è sì un grande fatto di democrazia ma che bisogna meritarselo e che, forse, la Sicilia non si merita.

A questa obiezione risponde il Prof. Massimo Costa con una lettera che lo stesso Parlagreco ha ritenuto di dover pubblicare, presumiamo per la sua lucidità, e che ci piace riportare per intero ai nostri lettori:

***

Gentile Direttore,

la sua risposta alla domanda “perché non abolire il Parlamento italiano” è formalmente ineccepibile, ma non credo che il lettore l’abbia posta in modo così ingenuo e letterale.

Credo abbia inteso una cosa più profonda. E cioè che un Parlamento con nove secoli di storia, in una Regione che è quasi una nazione (per alcuni lo è, senza alcuna riserva, come per il compianto storico Massimo Ganci), con dimensioni, posizioni e tutto per i quali “urge” una legislazione ad hoc, non ha molto meno i crismi della originarietà rispetto a quello statale.

Qualunque disfunzione del Parlamento statale (e oggi la crisi di legittimità di quello statale è ben più grave di quella nostra dove, anche con battaglie di retroguardia, si sente ancora un “corpo vivo”, forse malato, ma vivo) noi non la combatteremmo mai con l’abolizione del Parlamento statale. Ebbene, la soluzione al quesito è tutta là. Se noi pensiamo al Parlamento siciliano come ad una cosa contingente, octroyée, allora si può dire che è un lusso, che se ne può fare a meno, etc. Se si considera il compenso ad un Popolo che ha diritto per mille ragioni storiche, economiche e geografiche all’autogoverno, anche per esso qualunque disfunzione non può mai essere cavalcata per una battaglia anti-democratica e centralista, esattamente come per il Parlamento italiano. Credo fosse questo il senso della domanda (che non ho posto io) e credo sia giusto, come per l’Europa e l’Italia porre la questione nei giusti binari e cioè quella di porre la democrazia al servizio dei cittadini e non mai i cittadini a servizio della casta dei politici e chiedersi come questo possa farsi. Nè più, né meno.

Peraltro i guasti della politica siciliana sono in piccolissima parte dovuti al suo Parlamento e non per ragioni di fatto ma strutturali. Non dimentichiamo che molte funzioni legislative sono oggi spostate a Bruxelles (piaccia o no, ma è altra questione) e in gran parte il nostro Parlamento deve recepire direttive pensate altrove. Non ha tutti questi margini di manovra che ci si fa credere. Per altra parte le sue funzioni coincidono con quelle degli altri parlamentini regionali (anche se quelli sono chiamati “Consigli”), a meno che qualcuno non pensi di abolire pure quelli e tornare ai prefetti. Ma mi pare contrario a tutto lo spirito ed ai principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, come ben sa ispirata al decentramento ed all’autonomia più ampia. E in quell’autonomia è assolutamente normale che le regioni più periferiche, come quelle insulari, o quelle alloglotte, abbiano condizioni di autonomia ancora più ampia dell’ordinario. Non è lo Statuto, ma la Costituzione che ispirano quel regime di autonomie; a meno che non si voglia pensare ad una repubblica non più regionale e decentrata, ma mi pare una cosa, soprattutto oggi, davvero fuori dal mondo.

Insomma la dignità di “Parlamento” per la nostra assemblea legislativa ha un valore in gran parte ideale, e per esso si richiama alla nostra tradizione statuale e giuridica tutt’altro che disprezzabile. Ha anche conseguenze pratiche – lo so – ma queste sono secondarie e, in ogni caso, saranno positive o negative in funzione della classe politica che saremo capaci di esprimere e del reale grado di autonomia che questa sarà in grado di avere nei confronti dei “referenti nazionali”. Ci pensi. Le stagioni migliori di questo sessantennio sono state quelle in cui qualcuno, raramente, ha tentato di allentare le catene; quando invece si è stati “unitari in modo ossessionato”, per citare Gramsci, sono state tenebre. E per affermare questo non c’è bisogno di essere separatisti. Confrontiamo le presidenze di Alessi, Milazzo, Nicolosi, e fermiamoci qui giacché non mi piace parlare di cronaca, con quelle più centraliste di La Loggia, o D’Angelo o …fermiamoci anche qui alle soglie della cronaca. E diamo poi un giudizio storico sereno.

Insomma non è che chiamandolo “consiglio” cambia tutto, anche perché le amplissime funzioni parlamentari sono state quasi sempre lasciate sulla carta. E quando sono state usate non hanno fatto certo cattiva figura. Finora il nostro Parlamento si è comportato quasi sempre da “Consiglio”. E’ questo il male. Pensiamoci.

Il paragone con la Francia, poi, non mi pare del tutto appropriato. Certo che la Francia è una grande democrazia; non altrettanto che sia la migliore possibile. Anche la Francia, infine, ha dato un parlamentino ai Corsi: ci sarà pure un motivo. Nel resto del grande “esagono” ha cancellato ogni tradizione autonoma: occitani, savoiardi, brettoni, baschi e alsaziani praticamente non esistono più. E non esiste altro che Parigi. Ma è anche vero che la Francia ha saputo dare unità, in termini di dignità, di opportunità, di livelli di sviluppo economico, a tutto il paese. L’Italia, geograficamente più accidentata, piena di confini interni naturali, non è stata in grado di fare altrettanto.

Anche il centralismo bisogna meritarselo. E l’Italia con noi non se l’è certo meritato.

Insomma la democrazia, in Sicilia come ovunque, è forse la più inefficiente delle forme di governo. Ma ancora ne attendiamo una migliore.

Saluti.

Massimo Costa