Lo statuto speciale della Regione Siciliana: un’autonomia tradita? Ecco il saggio di Massimo Costa

L’Autonomia della Sicilia e il Federalismo fiscale sono temi che tengono banco, oggi come non mai, nel dibattito politico siciliano ed italiano. Quando si parla di questi argomenti gli animi si accendono, la ragione lascia il passo all’emozione e pare sempre piú difficile distinguere l’istituzione che dovrebbe essere la casa comune di tutti i cittadini dalla politica che per sua natura è “partitica”, cioè espressione di visioni e di interessi particolari.

In questo quadro si inserisce il saggio appena pubblicato da Massimo Costa, economista “vocato” ai temi dell’Autonomia Siciliana, in cui si raccolgono, si ampliano, si integrano e si sistematizzano taluni “interventi” e “discorsi” già altrove pubblicati; saggio che appare davvero innovativo per piú di un profilo.

Intanto, qualunque idea si abbia dell’Autonomia Speciale siciliana, esso ha il merito di riportare la sua conoscenza al significato letterale del dettato stesso, al di là di quelle che sono state le attuazioni (pure riportate, sia pure con qualche “disprezzo” evidente da parte dell’autore) sperimentate dalla collettività. Si parla spesso di qualcosa che non si conosce fino in fondo.
Il testo consente ai cittadini siciliani una piena fruizione che è condizione essenziale per essere buoni cittadini. Si condivida o no il giudizio storico e politico che traspare da queste pagine, esse sono un contributo alla conoscenza della “piccola costituzione” che regola – anzi dovrebbe regolare – la vita pubblica della Sicilia.

E infatti – secondo punto qualificante – la “sorpresa” nel leggere queste pagine sta proprio nel fatto che non si parla, se non per incidente, della modalità riduttive (e distorte) della vita pubblica siciliana contingente, ma di un modello di autonomia che è sostanzialmente restato sulla carta, ma nello stesso tempo che resta in perenne attesa di una applicazione in quanto sempre formalmente legittimo. Vi è quasi dell’incredibile nello scoprire che questa Autonomia, applicata alla lettera, sarebbe addirittura la “negazione dello spreco”, con l’accollo di quasi tutti i servizi pubblici da parte della Regione e degli enti pubblici territoriali.
Si scopre, e sembra incredibile, l’ignoranza in cui sono stati tenuti i diretti interessati, i cittadini, che la Sicilia è (o meglio “sarebbe”) uno stato semi-sovrano appena confederato con la Repubblica Italiana, capace di creare un proprio ordinamento tributario, di partecipare all’emissione della moneta comune, in cui persino l’amministrazione periferica dello Stato (quella residua) sarebbe organizzata e disciplinata dallo Stato-Regione (ragion per cui il Presidente siederebbe nel Consiglio dei Ministri, non come rappresentante della Regione, ma come “Ministro della Repubblica per gli affari dello Stato italiano in Sicilia”).

Altro contributo certamente inedito è quello del “combinato disposto” dello Statuto con la recente riforma del Titolo V della Costituzione e con il Trattato di Parigi sulla smilitarizzazione dell’Isola, altra “lettera morta” teoricamente ancora vigente. Il quadro che ne deriva può essere esaltante per alcuni o deprimente per altri: in ogni caso una quasi-indipendenza che, davvero, sembrerebbe essere in grado di attivare circuiti di sviluppo autopropulsivi senza bisogno di elemosine o dipendenze di alcun tipo dall’esterno ma che non ha bisogno di intaccare i confini politici della Repubblica.

Il testo è volutamente divulgativo, quasi pensato per le scuole, ma questo aiuta la comprensione per il cittadino medio. Potrà forse urtare le sensibilità piú accorte del “costituzionalista” di mestiere o del fine politologo, ma – conoscendo le modalità in cui l’autore si esprime su altre fonti – pare che questo tono sia stato proprio voluto per contenere i costi dell’edizione e facilitarne la massima diffusione.
Traspare anche, quasi trattenuta a forza, qua e là repressa, qua e là esplosa, la passione civica dell’autore medesimo. Forse una “menda” in un commento a un “pezzo di costituzione”, ma che ci ricorda come si possa ancora avere un attaccamento viscerale e incondizionato alla nostra Sicilia che – sarà anche minoritario – ma che non può mai essere condannato di fronte a particolarismi e scetticismi che non sembrano andare da nessuna parte.

L’economista si disvela tutto nel “nostro” Titolo V, quello destinato all’economia ed alle finanze; è lí che si pongono le basi per un federalismo fiscale che nulla deve attendere (e in teoria temere) da Calderoli & Co.
Secondo l’Autore, poi, questo ordinamento ha tentato di funzionare legittimamente sino al 1957 (anno di soppressione de facto, mai de jure, dell’Alta Corte per la Regione Siciliana); da allora in poi formalmente la Sicilia vivrebbe in una continua illegalità incostituzionale che farebbe da sfondo, forse, ad altre piú note e gravi forme di illegalità. Con tutto ciò, tuttavia, l’autore non indulge mai all’apologia di questo o quel partito.

Partiti regionali o “nazionali” avrebbero sempre il diritto e il dovere di vivere sanamente questo confederalismo secondo le piú diverse impostazioni di cultura e di ideologia politica; solo la subalternità e l’inazione sono aspramente ed evidentemente condannate, addirittura come “tradimento”, della nostra piccola patria; tradimento in cambio di un “fiume” di assistenzialismo che peraltro oggi avrebbe definitivamente fatto il suo tempo. La Sicilia irrequieta sarebbe cosí stata “narcotizzata” per tanti anni e, ora, quando la propria capacità autopropulsiva (e quindi le minacce all’integrità nazionale) sarebbe completamente esaurita, abbandonata al proprio destino? umiliata?

Rispetto a questa “piega” l’autore sembra dirci che non è mai troppo tardi per ricominciare a vivere, ad avere dignità a programmare il proprio futuro da soggetti e non piú da meri oggetti della vita politica. Basterebbe volerlo, ma non si può volere ciò che non si sa; ecco perché bisognerebbe prima saperlo e a questo principale compito civico pare dedicato il testo, in un certo senso unico nel suo genere, quali che siano poi le ricette che matureranno da questa rinnovata consapevolezza.

Per chi ama l’Autonomia Siciliana (ma anche per chi la “odia” in fondo), per chi crede che sia un compenso minimo, talvolta addirittura insufficiente, per il secolare anelito di libertà dei Siciliani, libertà certo oggi non ancora appagata, è un libro che non può mancare. Ma anche per chi professionalmente insegna storia o educazione civica o diritto ed economia nelle scuole, per chi segue la politica nazionale e regionale, per chi è semplicemente appassionato di cose siciliane.

Lo Statuto Speciale della Regione Siciliana: Un’Autonomia tradita?
di Massimo Costa
Herbita editrice, 144 pp.

Fonte: www.siciliainformazioni.com

***

LO STATUTO TRADITO

Commento storico, giuridico ed economico allo Statuto Speciale letto come Costituzione e patto confederativo tra Sicilia e Italia e disamina della sua inapplicazione.

Si dice che le “premesse” siano storicamente fatte per essere saltate.
Per evitare che anche questa faccia la stessa fine, essa sarà limitata all’essenziale, a quanto serve, cioè, per una migliore e completa fruizione del testo.

Il saggio nasce dall’insoddisfazione per una pubblicistica sullo Statuto
siciliano troppo approssimativa, ora retorica, ora riduttiva, ora addirittura
volgarmente denigratoria, mai pienamente consapevole dell’enorme portata
di questo documento.

La Sicilia, questo è il senso profondo dello scritto,
se vuole, se nessuno glielo impedisce con la forza
dall’esterno o dall’interno, ha in sé gli strumenti
istituzionali per risolvere ogni proprio problema.
Certo le istituzioni sono soltanto una cornice; il
dipinto poi può esservi tracciato all’interno secondo
le piú diverse ispirazioni.
Il senso dello scritto non è quello della
ricostruzione storica degli eventi che portarono
all’elaborazione del testo attualmente vigente. Lo scritto non è quindi
orientato al passato, alla mera conservazione, ma rilegge il passato in
un’ottica chiaramente programmatoria perciò orientata, al contrario, proprio
al futuro, e con buona pace di chi – come il nostro grande Sciascia –
vorrebbe assente questo tempo dal nostro orizzonte mentale.

E tuttavia il commento non può che prendere le mosse dal testo storico del
1946, perché piú organico, perché piú fedele allo spirito originario dello
Statuto, perché il suo impianto è ancora praticamente intatto nonostante
alcuni piccoli emendamenti, non tutti e del tutto opportuni.

Si renderà conto
– in ogni caso – delle parti emendate e della differenza, formale e
sostanziale, tra il testo originario e quello attualmente vigente.

Lo spirito di fondo è: prima conosciamo e applichiamo, poi, se sarà il caso,
emendiamo, ma sempre in senso evolutivo.

Il quadro che ne risulta è quello di un’Autonomia eccezionale, riconosciuta,
forse anche subíta, dallo Stato italiano, ma non mai da questo istituita;
un’Autonomia eccezionale frutto di una negoziazione bilaterale tra due
Popoli originariamente sovrani che istituiscono tra di loro un patto
confederale. Sul tema si tornerà appresso ma, se non si puntualizza questo
sulla soglia, si rischia di fraintendere tutto ciò che
segue.
Il testo di legge è riportato in corsivo, mentre i
nostri commenti inframmezzati allo stesso sono
riportati in carattere normale. La lettura può
anche essere ricorsiva: chi fosse interessato alla
parte piú rivoluzionaria dello Statuto, quella
relativa al “federalismo fiscale”, altrove evocato,
qui già realtà, purtroppo non del tutto operante,
salti pure – ad esempio – agli artt. 36 et ss.,
magari dando una scorsa preventiva all’art. 20.

Se qualche errore, formale o sostanziale, fosse fatto, se ne chiede scusa
preventivamente al lettore che speriamo benevolo nei nostri confronti, con
l’auspicio che, in ogni caso, a fine lettura questi si senta civicamente e
culturalmente un po’ piú ricco di prima. Se cosí sarà la fatica dell’autore
non sarà stata del tutto vana.

L’ALTRA SICILIA