Già un anno, Ivan

Chissà dove sarai ora, amico mio, e chissà come sorriderai da lassù volgendo, certo di tanto in tanto, lo sguardo verso quelli che si affannano e si arrabattano senza avere capito alcunché dello svolgersi delle cose, quaggiù.

Un anno di già è passato, ma solo per noi che siamo obbligati a tenere conto del trascorrere del tempo.
Un anno di fatiche, di lotte, di arrabbiature, di qualche sporadico sorriso, di qualche orgoglioso appunto sulla via dell’affermazione delle idee che erano anche le tue e per le quali, lo sappiamo, ti ringraziano ancora oggi nella piccola isola di Ginostra, nonostante quel porticciolo ancora in divenire, ti ringraziano nel tuo eremo svanito di Filicudi quei pochi che l’isola la amano davvero, ti ringraziano nella tua Sicilia, tra le pietre di assolata Furnari o i fiori di madre di Castanea.

Per te un anno di eterno, amico di una vita conclusa, come spesso accade, troppo presto.
E così mentre scelgo dalla mia memoria il meglio dei ricordi, oggi si affollano avvenimenti e situazioni che abbiamo vissuto insieme quando da ragazzi passavamo insieme sere forse inutili a fantasticare di viaggi e avventure ma certamente spensierate ed entusiaste in quelle corse nel cortile, nei giochi della piazza, tra le prime ragazze, e poi nelle “fughe” nei Nord lontani, nelle trasmissioni a radio Alpha Stereo, poi nella svolta esistenziale che ci imponesti, a molti, laggiù in Lussemburgo.

Un anno già dalle luci di quel Natale, santo e triste nelle cupole innevate di San Babila; un anno già dai corridoi del Gemelli, un anno ormai dal tuo sudario e dalla nostra stupida incoscienza.

Si intrecciano poi le storie, qui continua il flusso del tempo negli appuntamenti della vita, sempre tra le banalità del quotidiano, concetti spazio-temporali che non vogliono interessarti, insignificanti ormai di fronte al tuo essere eterno.
Però continui a vivere e specchiarti qui nell’amore e nell’avvenire che hai saputo costruire per i tuoi figli, divenuti grandi nella dignità del dolore: Igor, ingegnere meccanico, come sognavi tu in Spagna e Valeria, architetto a Roma, che , ne sono certo, ti rendono orgoglioso, se da lassù hai ancora un piccolo angolo per orgoglio e altre simili quisquilie materiali.

Ci manchi Ivan, manchi a Francesco Paolo cui elargivi dotti consigli sulle cose siciliane, come quando andasti a fare con lui campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Lipari e insieme ritrovaste parenti ed amici sconosciuti, pur dopo risvegli forzati e aliscafi mancati per un soffio.
Manchi pure a me, tu che dimostravi tanto interesse alla mia educazione e tanto mi stimavi pensando dovessi avere un tutore capace di frenare le mie ire e le mie arrabbiature… e l’episodio della querela a Patti e della vittoria in quel processo, lo devo alla tua amicizia e ancora me lo ricordo.

Certo è difficile pensare che sei dietro l’angolo e che possiamo continuare a chiamarti col tuo nome abituale, come ebbe a scriverci Igor, ricordandoci una lettera di san Gregorio di Ippona.
Resta che se chiamiamo il tuo nome, anche se non puoi rispondere, ritornano i ricordi, il passato che si è fermato a quel 15 gennaio alle ore nove e che ha bloccato impietosamente e troppo presto il racconto del tuo divenire, storie che forse avremmo potuto scrivere insieme ma che un destino indecifrabile ha interrotto, costringendoci alla solitaria decisione.

Dietro lo specchio dell’inverno continua però a trascorrere il tempo e forse i ricordi cominciano a sfocarsi nella nebbia, mentre rimane un sentore di vuoto, la sensazione di aver perduto parte di noi stessi, oggi che avvertiamo, prepotente, la mancanza di un amico vero, sincero e disinteressato, troppo presto salpato, capitano dei nostri cuori, per un porto lontano, al di là del mare e al di là dell’isola stessa delle nostre coscienze.

Eugenio Preta