La Libia e i silenzi ipocriti sulla guerra dimenticata [di Giancarlo Perna]


Gli arcobaleni sono scomparsi, il Papa tace. Ma le bombe della Nato cadono sui libici. In un conflitto impari e moralmente inaccettabile. E Gheddafi torna in tv e gioca a scacchi.
Giancarlo Perna il Giornale 13 giugno 2011

Il secolo esatto che separa le due guerre che l’Italia ha fatto alla Libia, scandisce simbolicamente la sciaguratezza di quella che conduciamo attualmente. Nel 1911, seguendo lo spirito del tempo che imponeva alle cosiddette Potenze di mettere in carniere almeno una colonia, ci siamo tolti il capriccio a viso aperto. Abbiamo portato morte e devastazione ma, a nostra volta, siamo stati uccisi e mutilati. Ci fu ­pur nella disparità delle armi – un equilibrio del dolore. Oggi, nel 2011, stiamo invece conducendo una guerra impari: noi distruggiamo mentre i libici subiscono, impossibilitati a reagire. Non rischiamo né un soldato, né un missile sulle nostre città.

C’è in questa asimmetria qualcosa di così moralmente inaccettabile da temere che un dio indignato alla fine ci presenti il conto. Le anime belle la buttano sull’ideologia per condannare la prima guerra ed esaltare quella in corso. Sentiteli. Nel 1911 eravamo biechi colonialisti, solitari ed egoisti. E oggi, invece? Siamo l’esercito liberatore dal sanguinario Gheddafi. Né siamo in Libia di nostra iniziativa. Agiamo su mandato internazionale, assolvendo una sublime missione di pace: salvare vite. È il trionfo dell’altruismo e del disinteresse. Una favola che mette le coscienze a posto, al punto che la guerra sembra dimenticata. Gli arcobaleni sono scomparsi. Il Papa tace. I vari padri Zanotelli dormono sulla Libia e le sue scomode verità e si svegliano solo per raccontarci bugie sulla privatizzazione dell’acqua. Destra e sinistra marciano a braccetto contro Gheddafi e in favore dei rivoltosi.

Il Cav sostiene che bombardare non gli piace, tanto più un vecchio amico, ma lo costringono – dice – le alleanze. Aggiunge – per personalizzare la sua angoscia – che non ci dorme la notte. Napolitano, invece, non ha remore. Ha calzato il kepì e si mostra entusiasta. L’Italia – ripete – non può sottrarsi ai suoi doveri umanitari e internazionali. Come se ci fosse un obbligo superiore a fare la guerra (che la Costituzione ripudia).
Ma dall’alto dell’età, Napolitano parla come se avesse consultato gli antichi testi che regolano i destini del mondo. In realtà, è lo stesso opportunista di sempre. Oltre mezzo secolo fa, nel 1956, approvò con calore l’invasione sovietica in Ungheria, umanitaria anche quella. Allora il suo idolo era l’Urss.

Oggi, con la stessa cecità, affianca l’Occidente guidato dagli Usa. Abituato a obbedire, si regola sul capo di turno, senza ragionare. Come la giri, l’avventura libica è ingiustificata. Gheddafi non è il peggiore tiranno della regione. Da tempo, aveva scelto la legalità internazionale. Se all’Occidente è saltato l’uzzolo di fare fuori i prepotenti, beh, aveva ben altro da scegliere. A due passi da Gheddafi, in Sudan, tanto per dire, c’è Al Bashir, boia del Darfur: trecentomila morti, 2,5 milioni di profughi, accusato di genocidio all’Aia. Per tacere del despota siriano, dell’Iran, dei tiranni arabici. Ma allora, se il pessimo non è il raìs perché è con lui che ce la prendiamo? Perché reagisce a un colpo di Stato? E che altro dovrebbe fare? Ricordiamoci che a Tripoli non ci sono state folle inermi come al Cairo o Tunisi. Ma un movimento secessionista armato con aerei da combattimento, carri armati e missili. Una guerra civile in piena regola. L’Italia e l’Occidente vogliono evitare una carneficina? Si interpongano.

La sola cosa da non fare, è quella che invece è stata fatta: schierarsi con una parte contro l’altra. Affiancando, paradossalmente, i ribelli che hanno scatenato le ostilità. Per di più, senza sapere se le loro intenzioni siano più «democratiche», «pacifiche», «filoccidentali» e se il futuro che promettono sia migliore del passato che Gheddafi ha assicurato.

Nell’ansia interventista, non si è neanche voluto stabilire con chi stia la maggioranza del popolo libico. Per cui, mentre bombardiamo Gheddafi, rischiamo di prendercela col ben accetto per consegnare il Paese a un avventuriero detestato dai più. L’Italia è nella posizione più incresciosa. Il Cav aveva per primo stretto rapporti con Gheddafi, imitato poi da molti (Sarkozy si fece finanziare dal raìs la campagna elettorale). La coalizione – in barba al compito di proteggere i civili – gli ha invece ucciso un figlio, tre nipoti, una nuora e innumerevoli dignitari rimasti sotto le macerie del palazzo di governo. L’Italia in Libia era il figlio dell’oca bianca. Aveva il petrolio, stipulava affari. Quando il galletto francese scelse la guerra, seguito da Cameron che lo aveva aiutato a prepararla armando i ribelli dietro le quinte, e dal vago Obama,l’Italia anziché unirsi, avrebbe dovuto imporre l’altolà.

Questo è il discorso che avremmo amato udire dal Cav: «Signori, la guerra che fate a Gheddafi per il petrolio è in realtà un’aggressione all’Italia che in Libia ha una posizione privilegiata. Annientando il raìs che ci favorisce per sostituirlo con un regime che favorisca voi, è noi che volete scalzare. Non fatelo. Ne va della nostra amicizia». Altro che unirsi alla combriccola Nato con la speranza, abbattuto il tiranno, di spartire il bottino. Il quale, per quel che riguarda noi, sarà sempre una parte infinitesima di quello che già avevamo. Non è andata così e da quattro mesi siamo invischiati in una situazione odiosa. Il Cav ha perso l’occasione di differenziarsi da D’Alema che, dodici anni fa, ci infilò in Kosovo in una guerra altrettanto discutibile. A sua difesa, va detto che è stato lasciato solo. Non lo ha aiutato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha fatto lo yankee; non l’opposizione cattolica, da tempo senza bussola; non quella degli ex comunisti, riciclati in zeloti dell’occidentalismo; non la stampa, specie tv, che non ci ha fatto capire niente, tifando per i ribelli, detti «i ragazzi», contro i legittimisti, detti «i miliziani». Due gli insegnamenti del pastrocchio libico. Il primo è generale: il diritto internazionale non esiste, conta la forza. L’altro è diretto ai despoti che dalla vicenda di Gheddafi saranno indotti a incarognirsi. Se le disgrazie sono piombate sul raìs per essersi addolcito, consentendo alla dissidenza interna di alzare la testa, si guarderanno dal commettere lo stesso sbaglio, moltiplicando il terrore. Insomma, siamo all’opera per peggiorare il mondo.

Giancarlo Perna

fonte: www.ilgiornale.it/esteri/