Finanziaria Pantalone & Meridione

Ragusa, 25 Dicembre 2000

C’è poco da stare allegri perché, anche se moderatamente, questa finanziaria che si appresta ad essere approvata piace all’avvocato Agnelli, e, quando l’Agnelli bela, vuol dire che i suoi amici governativi gli hanno fatto…
il favore.

Si vede che stiamo andando verso le elezioni, e ancora meglio da tutti quei provvedimenti a pioggia, corredati da spot televisivi (proprio quelli che la sinistra cattocomunista rimprovera a Berlusconi) ad hoc, tesi a distribuire poche lire di elemosina alle famiglie indigenti; poche lire di buonismo assistenziale alle imprese che operano in aree depresse; 40 miliardi in più alle “loro” TESTATE POLITICHE.

A loro le “testate”, quindi, e al popolo le “pedate”; perché quello stesso popolo dovrà fare i conti con l’aumento del canone Telecom (oltre il 10%), con l’aumento di quella sorta di disperata speran za, il Superenalotto, e tanti piccoli e grandi aumenti per altrettanti piccoli e grandi balzelli.

Non considerando il fatto che l’Ue ci ha bocciati per il blocco delle tariffe RC-auto che, volpinamente, il minestrello Letta aveva inventato per calmierare un’inflazione oramai fuori controllo.

Cosa faranno quelle sanguisughe assicurative è assai facile da indovinare: Con una mano il governo porge e con l’altra toglie. Zero a zero? Manco per idea! Uno a zero per la sinistra che, rassegnata a perdere le elezioni sta preparando a Berlusconi un bel piatto con dentro una sfilza di buchi di bilancio cui dovrà fare fronte con una robusta manovra correttiva.

E non basta: dovrà fare fronte, more solito, alla canea sindacale che l’allegro irresponsabile Cofferati gli scatenerà contro. Anche perché questa finanziaria distribuisce più di quanto incassa, e ciò in virtù del sempiterno vizio italico di sfoggiare un ottimismo troppo imprudente.

Se, infatti, la crescita prevista con eccessiva fiducia dovesse andare in controtendenza, i conti salteranno tutti e gli italiani saranno chiamati a “donare l’oro” per la Patria!! In tutto questo snocciolamento di cifre, poi, manca del tutto una parte essenziale: i provvedimenti strutturali che non si vedono dai tempi della “Tremonti”.

Manca anche una convinta politica di sviluppo per il Mezzogiorno nonostante i ripetuti appelli lanciati dalla “meridionalista” Udeur che, evidentemente, deve difendere i propri collegi elettorali. Al Sud, si sa, non serve l’assistenzialismo che fa imbufalire, e giustamente, Bossi e soci; serve una seria politica di infrastrutture e di “feroce” lotta alla criminalità. Conditio sine qua non per fare uscire il meridione d’Italia da quello stato di abbandono che si è storicizzato a partire dall’annessione al regno dei Savoia. Un male troppo antico, ma sicuramente curabile, nonostante il Sud sia rappresentato da una classe politica da buttare in blocco.

Giusto per fare qualche esempio, a fronte di una disoccupazione giunta a livelli insostenibili, con grave rischio di ordine pubblico (Palermo docet, grazie ai Lsu presi in giro dal candidato presidente Orlando), quella grande cloaca mangiasoldi che si chiama Regione Siciliana approva leggi che fanno a pugni col buon senso: aumenti di stipendi a sindaci e presidenti di provincia, aumenti del numero di assessori in comuni e provincie, slittamento dei provvedimanti per l’adeguamento pensionistico. ´

I primi due casi sono lo specchio fedele della campagna elettorale prossima ventura: nel 2001 si voterà per il rinnovo dell’Ars e, temendo magari delle clamorose bocciature, cosa successa in passato, lorsignori di Palermo si sono cautelati provvedendo a migliorare gli enti locali. Un posto di riserva, insomma: uno strapuntino al posto della poltrona, ma pur sempre sulla cresta dell’onda.


Sulla cresta dell’onta, invece, naviga l’altro provvedimento.

Il 15 maggio, la autoproclamata “seria ed autorevole” giunta di sinistra retta dal Ds Capodicasa, stabilisce che, a partire dal 2004, tutte le lavoratrici dell’Ars che siano coniugate non andranno più in pensione dopo 19 anni, 6 mesi e 1 giorno di onorato servizio, bensì dopo 20 anni tondi tondi. Ora, è opportuno si sappia che gli stipendi di questi privilegiati sono da nababbi, le liquidazioni da sogno, le pensioni da favola (il 110% dell’ultimo stipendio percepito). Per non tacere sulle promozioni dell’ultimo minuto (di carriera) che assicurano più buonuscita e più vitalizio.

Quando un’intera classe politica, tutta, si capisce, opera in questo modo, ogni speranza, ogni giudizio, ogni critica su ogni finanziaria, locale o nazionale, cade nel vuoto, e chi ha ancora un po’ di buon senso cade in depressione.

Quello che ci aiuta a non naufragare, a noi meridionali, è la suprema “arte dell’arrangiarsi” di cui siamo interpreti eccezionali. Tutto ci scivola addosso come se avessimo sviluppato una sorta di idrorepellenza alle contrarietà.

Allo stesso modo, ci scivola addosso il problema immigrazione e clandestini pur essendo invasi, nel senso buono, si capisce (ma non sempre) da gente proveniente, in massima parte, dall’altra parte del mediterraneo. In questo, forti delle nostre radici storico-culturali, siamo rimasti greci: la sacralità dell’ospite è rimasta inalterata nel tempo, nostante le angherie subite (o forse grazie a queste), e riusciamo a fare integrare al meglio chiunque, sia esso polacco o albanese, cattolico o musulmano (alla faccia del cardinale Biffi).

Fortunatamente, la quasi totalità di questi immigrati lavora, sia pure spesso in nero, onestamente e quelli che delinquono sono un numero fisiologico Tuttavia, se ne farenne volentieri a meno.

Siamo un paese ad alta densità delinquenziale ed è per o meno stupido incrementarla con canagliume varia proveniente da paesi terzi. Il caso Panajot Bita, o come diavolo si chiama, è l’emblema del sistema Italia in tema di immigrazione: un assassino, sfruttatore della prostituzione e chissà cos’altro ancora, che vive indisturbato, “lavora” indisturbato e falsifica indisturbato la sua anagrafe e le sue patenti di guida.

Comincerei subito ad additare i suoi complici: la sinistra pauperista e pseudo-solidale, certo clericalesimo anch’esso pseudo-solidale del tipo Caritas e consimili. Costoro andrebbero cacciati via a mezzo “ostrakon” e interdetti dal rientrare.

Detto questo, possiamo cominciare a trarre un primo bilancio della nuova legge sull’immigrazione che ha scatenato gli animi pugnandi dei nostri solerti parlamentari.

Non c’è dubbio che la Turco-Napolitano sia stata un fallimento, non riconosciuto solo dalla parte politica che l’ha votata. Il bilancio di quella nuova sarà molto simile alla precedente, perché ogni legge tendente a regolare l’ordine pubblico viene inapplicata proprio dallo Stato (il cittadino, vedi l’ultimo caso del finanziere napoletano, se agisce da sé opera meglio). C’è quasi paura a volere prendere certi provvedimenti. Come quello di sparare agli scafisti quando, scaricato il “carico” fanno rotta verso Valona. Uno scafista in meno potrebbe voler dire due curdi in più, in vita.


Inoltre, qualcuno si dovrebbe decidere a sbattere con le spalle al muro, metaforicamente, s’intende, quel discutibile governo albanese e dirgli: “O collabori seriamente, o niente aiuti”. Non fece, Dini, un analogo accordo con la Tunisia anche se il risultato è andato nella direzione opposta a quello delle intenzioni?

Tagliare gli aiuti, a tutti, e rispedire i clandestini chiedendo, piuttosto, il rimborso di tali costose operazioni: costi di cui quasi nessuno parla e che ammontano a miliardi che pagiamo tutti.

Eppoi, siamo seri, tutto quel valzer del primo arresto, della primo rientro, della prima fuga mi sembra più un gioco da settimana enigmistica.


Il problema, quindi, si sposta su un altro fronte:

1) questo è un problema e tutti sono d’accordo.

2) vogliamo risolverlo questo problema?

3) Come? Avanziamo una proposta e discutiamone.

Postuliamo che gli immigrati ci servono per tutte le buone ragioni che sappiamo; sappiamo anche chi ci serve e per fare cosa. Logico pre-determinare il numero e le specifiche lavorative ed avviare un serio programma di ingressi controllati e… venga chi vuole.

Ma a patto che:


a) sia certa la sua identità –

b) sia certa la sua provenienza –

c) non sia un delinquente scampato alla (sue) patrie galere –

d) sia certa la sua collocazione lavorativa –


e) sia realmente capace di svolgere il lavoro per il quale viene –

f) paghi le tasse – g) rispetti tutte le leggi italiane.

A questo punto, attestata la sua idonetà all’ingresso, lo Stato dovrà garantirgli:


a) il lavoro per tutto il periodo di permanenza (in caso di perdita di tale requisito, deve essere rimpatriato subito) –

b) la copertura previdenziale ed assistenziale –

c) uno standard di vita civile (una vera casa, non topaie malsane) –

d) l’istruzione (italiana) per i propri figli –

e) ogni libertà e diritto (escluso quello di voto) di cui gode qualsiasi cittadino.

Nel caso in cui l’immigrato riuscisse a trovare un lavoro stabile e continuativo, e decidesse di restare in Italia, potrebbe richiedere la cittadinanza italiana e diventare cittadino italiano tout court. Non mi pare che questi requisiti, davvero minimi, siano frutto di una mentalità razzista o xenofoba, né che siano di difficile applicazione.

Addirittura, potrebbero trovare largo consenso parlamentare poiché dettati dall’esigenza del buon senso e non dal livore dell’ideologia.

Giovanni Cappello –


L’Altra Sicilia – al servizio della Sicilia e dei Siciliani