Unità, divisione monetaria o cosa? Ma a che serve l’Europa?

Questa volta – lo giuro – non eleggerò la Sicilia ad oggetto principale dei miei interventi. Mi voglio sforzare a parlare d’Italia, questo medio-grande stato di cui, nel bene e nel male, facciamo parte da 150 anni e passa. Sulla prima ho già detto abbastanza e tornerò nel prossimo futuro: ho detto e ripeto che la sua Autonomia, prima che nella Costituzione, è nel suo diritto naturale, e che va difesa davanti a tutti e con coraggio, anche davanti al “tabú” dell’Unione Europea. Ma di questo, appunto, oggi non parliamo.

Parliamo di Europa in quanto tale, quindi, e parliamone a viso aperto, senza la coltre di fumosa retorica che avvolge da sempre questo termine, al quale il nostro Capo dello Stato, da molti ritenuto un gentiluomo puro, estremo difensore delle istituzioni repubblicane nate dalla Resistenza, sembra sin troppo affezionato.

Confesso subito di avere cambiato idea in questi dieci anni di euro. Ebbene sí, in questo almeno mi sento un pentito. Dieci anni fa salutai ingenuamente l’avvento della moneta unica come di quelle istituzioni europee che ci avrebbero potuto salvare tanto dal malaffare o dal centralismo italico, quanto ancorarci ad istituzioni di grande civiltà giuridica e solidità economica. Mi sbagliavo, lo ammetto, o credo sinceramente di essermi sbagliato, esattamente come si continuano a sbagliare anche tanti amici che conosco e che ancora sono prigionieri di questa ingenuità. Del resto si dice che “solo gli stupidi non cambiano mai idea”, e non vorrei trovarmi in questa infelice compagnia.

A dieci anni di distanza, possiamo dire che nessuno degli auspici con i quali fu salutato l’avvio della moneta unica si è avverato, anzi che stiamo assistendo ad un vero e proprio incubo.

L’Europa in sé, pur con alcuni limiti strutturali, sarebbe una grande risorsa. Una grande area del globo ha avuto (non so se ha ancora) la possibilità di creare una nuova superpotenza, sufficientemente autonoma da tutte le altre, che contribuisca a costruire un mondo equilibrato e multipolare. Credo però che le scelte fatte in questi ultimi decenni dalle élite al potere abbiano vanificato per sempre questa possibilità. E di questo non resta che prendere atto e seppellire un cadavere ormai in stato avanzato di decomposizione.

I motivi del “dissenso” o dello “scetticismo” nei confronti delle dodici stelle sono innumerevoli. Si potrebbe fare un articolo per ognuno di essi. Qui vorrei limitarmi, si fa per dire, a quello che viene riconosciuto come il principale risultato tangibile dell’Unione Europea: l’euro.

Ebbene, così come è stato pensato, non solo non può funzionare, ma è destinato, prima di morire, di portare con sé alla morte la maggior parte delle economie europee, a partire ovviamente dalle piú deboli.

Perché l’euro “delendum est”? Non è un bene che l’Europa disponga di una valuta unica e forte? In astratto non esiste un vantaggio, sempre e comunque, dall’unione monetaria di due o piú territori fra di loro. Si può anche affermare quanto segue: se un sistema economico è omogeneo, con facilità di spostamento al suo interno dei fattori della produzione (essenzialmente capitale e lavoro), allora la divisione monetaria è un male, che rallenta inutilmente le transazioni interne e non fa sfruttare le economie di scala; se invece un sistema economico è disomogeneo, con aree dotate di maggiore e minore produttività degli investimenti, e con difficoltà nello spostamento dei fattori, la moneta unica consente soltanto una piú rapida accumulazione di redditi e capitali nella parte piú ricca del sistema, a detrimento di quella povera, che diventa ancora piú povera.

Se ci pensiamo è ciò che è successo con l’unità d’Italia. Non c’era una Questione Meridionale prima del 1860, ma soltanto un processo di industrializzazione che nel Mezzogiorno era partito in ritardo rispetto ad “alcune” zone del Centro-Nord (essenzialmente la sola Lombardia) e che si alimentava della differenza istituzionale e monetaria per finanziare la propria crescita. All’indomani dell’Unità l’area del Centro-Nord, abbattendo le frontiere interne, divenne un’area omogenea e piú ampia rispetto a quella meridionale, con un vantaggio, in termini di rappresentanza politica, che presto si tradusse in termini anche economici. Laddove sarebbe servito un lungo periodo di armonizzazione delle economie si introdussero di colpo le legislazioni piemontesi, furono abbattute le dogane interne e fu estesa la circolazione della lira (il cui valore aureo intrinseco era piú modesto di quello del Ducato napoletano) alle regioni meridionali.

L’unione monetaria per il Mezzogiorno fu lo strumento principale della creazione e del consolidamento della Questione meridionale. La moneta unica, in quel caso, “creò” un paese polarizzato, dal quale, in sostanza, non siamo potuti piú uscire. La definitiva scomparsa degli istituti pubblici di emissione meridionale del Paese, circa cinquant’anni dopo, dopo una lunga storia di soggezione che comunque ne aveva progressivamente ridimensionato l’originario primato, avrebbe completato l’opera.

Abbiamo quindi sotto gli occhi la dimostrazione scientifica, l’esperimento galileiano, che dimostra come l’unione monetaria tra sistemi economici disomogenei non crea sviluppo ma consente soltanto un’accumulazione polarizzata di capitale di alcune regioni a discapito di altre.

Perché dovrebbe essere diverso con l’Europa?

Eppure con l’unione monetaria europea è ancor peggio. Infatti l’Italietta nordista e razzista ha cooptato a sé le classi parassitarie e collaborazioniste del Mezzogiorno (salvo poi usarle come “capro espiatorio” presso gli stessi meridionali, vedasi l’ultima uscita di Mieli, “vecchia” di 150 anni almeno, sulla necessità di “commissariare” il Sud, col plauso di tanti siculi e meridionali beoti). Questa cooptazione ha, per cosí dire, limitato i danni. L’Italia, nonostante tutti i propri difetti genetici, è stata costretta, almeno in piccola parte, a redistribuire un po’ di redditi attraverso stipendi pubblici, commesse, e in genere una finanza centralizzata, la quale, sebbene finalizzata strutturalmente al semicolonialismo settentrionale, doveva, almeno nella facciata, trattare tutti i cittadini come aventi pari dignità. La redistribuzione di elemosine da un lato, unitamente agli sprechi “garantiti” a favore delle “pagliette” locali, e la relativa facilità di spostamento dei lavoratori (in fondo, dal Quattrocento circa, la lingua ufficiale del Regno di Napoli era l’italiano) consentivano al sistema di tenere, sia pure al prezzo di un lento e continuo degrado del Mezzogiorno, depauperato poco per volta di ogni risorsa sociale, umana, naturale, finanche culturale.

Tutto questo in Europa non è neanche possibile. Abbiamo una moneta unica, sí, ma sistemi fiscali a compartimenti stagni. Non esistono, in pratica, trasferimenti tributari degni di nota che consentano perequazioni dagli stati o regioni piú ricche a quelle piú povere. E i piú ricchi, tedeschi in testa, non vogliono saperne neanche lontanamente di una qualche riforma federale in tal senso. Attenzione! Si parla di unione fiscale in queste settimane, ma nel senso sbagliato di uniformare le aliquote e gli ordinamenti (mossa inutile in presenza di sistemi economici diversi) e di punire gli “abusi”, ma nessuno affronta il problema di una vera unione federale che raccolga almeno un tipo di tributi in tutta Europa per distribuirlo in funzione dei bisogni come si farebbe in una vera nazione unica.

Nessuno ne parla, anzi si va nel verso opposto anche all’interno degli stati. Il federalismo consiste, almeno nel passato approccio leghista, nel tenersi ognuno le proprie risorse, e quindi nell’acuire le differenze regionali anziché ridurle. Se avessero ragionato cosí in Germania dopo il 1990, adesso si troverebbero ad affrontare una gigantesca Questione Orientale, paragonabile alla nostra Questione Meridionale. Ma lí, almeno quando parlano di Germania, per fortuna loro hanno avuto un approccio completamente diverso.

Tenere la moneta unica con le finanze separate in sistemi economici disomogenei è una cosa che NON SI PUO’ FARE! Vorrei pregare i miei amici e colleghi macroeconomisti a intervenire pubblicamente per dire ancor piú chiaramente che le cose stanno in questi termini. E che l’omogeneizzazione fiscale, in queste condizioni, cioè senza introdurre i vasi comunicanti all’interno dell’Unione, non fa che esasperare il disagio e le differenze.

Ma c’è di piú. La moneta, infatti, non solo è errato che sia unica se non è unico il sistema economico e se non ci sono trasferimenti fiscali compensativi. È anche errato che sia affidata all’emissione dei privati, anziché del pubblico. Non voglio fare il nazionalista: sia anche la BCE ad emettere la nuova moneta da immettere periodicamente nel sistema. Ma la immetta la BCE, non una banca commerciale qualunque! Oggi, con i vari accordi di Basilea, l’Eurosistema (cioè il concerto della BCE con le altre banche centrali) decidono (forse) il quantum di moneta da immettere nel sistema, ma poi lo fanno immettere dalle banche private.

La recente vicenda dell’immissione di liquidità alle banche (all’1 % di interesse) affinché queste lo prestino poi agli stati al 7, 8, 9 %, la dice lunga sul costo sociale e sulla sostenibilità di questa struttura. A parte il fatto che il sistema è cosí malato che, neanche così le banche immettono nuovo denaro nel sistema, perché a quanto pare, una volta ottenuto il prestito dalla BCE, lo hanno depositato quasi tutto infruttuoso nella BCE stessa. Ma, per quel poco che immettono, dove mai c’è scritto che le banche, anziché prestare il denaro che ricevono in deposito, lo creano direttamente dal nulla, peraltro poi investendolo in rovinose avventure speculative?

La rovinosa dittatura della speculazione nel linguaggio europeo, politicamente corretto, diventa chissà come sinonimo di “democrazia”, di “indipendenza delle autorità monetarie”. Parole ormai completamente prive di senso. L’Ungheria oggi è sotto i bombardamenti NATO (bombardamenti finanziari, s’intende, fa sempre parte del club del primo mondo, mica è una Libia qualsiasi), non perché “fascistoide”. L’ha detto chiaramente al TG Mentana l’altra sera: è l’indipendenza della Banca Centrale che ha fatto saltare sulla sedia tutto il mondo occidentale.

Qual è il crimine commesso dal Governo ungherese? Avere posto, nientepopodimeno, la banca centrale sotto il controllo del governo. Ma che fa scherziamo? Ma chi c…. crede di essere questo governo che gode della fiducia dei due terzi degli ungheresi? Le banche centrali, attraverso tante partecipazioni incrociate ai piú sconosciute, devono essere indipendenti, sí, dai poteri politici, ma assolutamente dipendenti, tutte, dalla Federal Reserve, e, dietro di essa, dalla ristrettissima cerchia di una ventina di famiglie plurimiliardarie che controllano le principali banche d’affari globali, nonché le agenzie di rating famigerate, e per mezzo di queste i famosi “mercati”, che tanto anonimi non sembrano poi cosí tanto.

Ahinoi! Questa fine ha fatto l’Europa! Questa è l’Europa che dovremmo difendere. E come sono cambiati i tempi. Nel 1936 Mussolini pubblicizzò (in gran parte) la Banca d’Italia, pagando fior di miliardi agli eredi del Conte Bombrini ed altri accoliti che “fecero” l’Unità d’Italia (altro che Mazzini e Garibaldi) a suon di milioni, per farli uscire dal capitale dell’istituto di emissione. Ma quella era una dittatura. È vero. Ma è anche vero che l’Italia uscita dalla Resistenza neanche si sognava di “riprivatizzare” l’Istituto di Emissione. E negli stessi anni, almeno nella facciata, i laburisti in Inghilterra facevano la stessa cosa che Orban ha fatto oggi in Ungheria. Ma erano altri tempi.

Dai primi anni Ottanta la Banca d’Italia non può piú finanziare il debito pubblico (perché lo Stato si deve consegnare direttamente, incaprettato mani e piedi, allo strozzinaggio internazionale) e dai primi anni ’90, silenziosamente, la Banca d’Italia è tornata con un capitale a maggioranza privato. Ma in Ungheria non lo sanno che dal 1990/92 nel mondo comandano ormai soltanto le banche, e che l’Unione Europea è uno dei loro piú docili strumenti?

Ecco, mi fermo qua. Questa Europa, fatta cosí non mi piace. Non mi pare né eticamente, né economicamente sostenibile. E quelli che la rappresentano stanno tradendo l’Italia, il patto fatto in decenni di politica con imprenditori e lavoratori, per onorare invece fino all’ultimo centesimo i bond fittizi creati a beneficio degli speculatori e usurai internazionali.

Non è Alto Tradimento questo?

Massimo Costa