L’euro ”fallito” alza in Sicilia il vento del separatismo

Era l’unione politica che doveva condurre alla moneta unica, non viceversa. Ora l’UE è in caduta libera e anche i siciliani capiscono che le spinte secessioniste potrebbero portare al ritorno al futuro per la salvezza. Domenica c’è stata a Palermo la prima marcia per l’indipendenza con la partecipazioni anche di delegazioni venete, sarde e catalane.

In Sicilia torna a soffiare il vento del separatismo. Di scena la prima marcia per l’Indipendenza andata in scena domenica a Palermo. Erano un migliaia di persone. Con la presenza di delegazioni arrivate dal Veneto, dalla Sardegna e dalla Catalogna. Tutti uniti da una parola d’ordine: libertà.

Quella di ieri, in Sicilia, è stata la prima manifestazione popolare. La prima, ovviamente, dopo l’epopea del Separatismo siciliano che risale agli anni ’40 e agli anni ’50 del secolo passato. La ‘notizia’, oggi, è che un bel numero di siciliani torna a sognare l’Indipendenza. Oggi proveremo a raccontare ai lettori in America perché sta avvenendo tutto questo.

Alla base c’è il fallimento dell’euro che sta trascinando nel baratro la ‘presunta’ Unione europea. Ovviamente, sulle schifezze che avvengono in Europa la disinformazione è pressoché totale.

C’è un dato che pochissimi organi di informazione, dal lontano 2001 ad oggi, mettono in evidenza: nella cosiddetta Unione europea ci sono ben dieci Paesi che non hanno aderito all’euro. Perché l’euro è frutto di una presunzione massonica (leggere massoni che stanno dietro la moneta unica europea). Una moneta unica per tanti Paesi è la risultante di un’unione politica. E’ l’unione politica che deve condurre alla moneta unica. E non viceversa.

Infatti, senza unione politica alle spalle l’euro è un fallimento. Dieci Paesi della stessa Unione – Inghilterra in testa – come già ricordato, non hanno aderito alla moneta unica. E in Europa si moltiplicano le Regioni che hanno cominciato la lotta per l’Indipendenza.

La Catalogna lotta per l’Indipendenza. La Scozia chiede l’Indipendenza. Le Fiandre chiedono di andare da sole. La Corsica anela all’Indipendenza. In Italia il Veneto è in rivolta e vuole l’Indipendenza. La Sardegna per ora non alza i toni. Ma lì il Movimento Indipendentista non sfonda perché gli interessi di gruppi internazionali e il clientelismo di Berlusconi e del centrosinistra è ancora forte. Ma è solo questione di tempo. Perché l’Unione europea, al di là delle ‘minchiate’ che raccontano, è ormai in caduta libera. Oggi l’Unione europea dell’euro è controllata dalla Germania.
Ma sono in tanti, in Europa, a non tollerare il dominio di quello che viene chiamato il Quarto Reich”.

E’ in questo scenario che si inserisce la prima marcia per l’Indipendenza della Sicilia andata in scena ieri, Certo, non siamo ancora alle grandi manifestazioni popolari che alla fine degli anni ’40 accompagnavano il Movimento separatista di Andrea Finocchiaro Aprile, Attilio Castrogiovanni, Antonio Canepa, Concetto Gallo e via continuando con i grandi nomi dell’Indipendentismo siciliano del secondo dopoguerra. Ma, anche in questo caso, è solo questione di tempo. Perché l’euro e l’Unione europea non potranno che produrre altro malessere sociale e altri danni.
indipendestisti

Le bandiere degli indipendentisti sardi, veneti e catalani sventolano insieme a quelle siciliane

Ieri, durante la marcia per l’Indipendenza, il rappresentante della Catalogna ha raccontato che loro, per arrivare a portare in piazza milioni di persone hanno impiegato vent’anni. “Qui in Sicilia, in pochi mesi, siete già tanti. Tantissimi. Tra qualche anno sarete la maggioranza della Sicilia, perché l’Unione europea e l’euro lavorano per voi”.

Non si tratta di essere anti- europeista. Ma di prende atto di un dato di fatto: l’euro è fallito, e sta trascinando nel fallimento l’intera Unione europea. I lettori americani sanno già con quali raggiri l’Unione europea governata dai tedeschi – in combutta con la Banca centrale europea (Bce) e con il Fondo monetario internazionale (Fmi)- hanno affamato la Grecia.
Meno ‘gettonato’ dai giornali è, invece, il modo con il quale l’Unione europea del “Quarto Reich” tedesco sta ‘incaprettando’ l’Italia. Come? Con due trattati internazionali: il Fiscal Compact e il Two Pack.

Con il Fiscal Compact l’Italia, a partire da quest’anno, deve pagare all’Unione europea 50 miliardi di euro all’anno per 20 anni (per abbattere , in 20 anni, il 50 per cento del debito pubblico che ormai supera i 2 mila miliardi di euro).

Con il Two Pack il Parlamento italiano non è più titolare del Bilancio dello Stato che, di fatto, viene approvato da Bruxelles.

Ora, se l’Imu – che è pari a meno di un ottavo di una ‘rata’ annuale del Fiscal Compact – ha messo in ginocchio l’Italia, cosa succederà con questo demenziale trattato internazionale che la Germania ha imposto all’Italia?

Nasce da queste semplici considerazioni l’esplosione dei Movimento separatisti. Perché la Germania, con la truffa dell’euro – perché l’euro è una truffa – si sta facendo pagare dai Paesi europei che hanno aderito all’euro il costo dell’unificazione (parliamo dell’unificazione delle due Germania: Est e Ovest).

I drammi sociali provocati dall’euro si avvertono in tutta l’Italia. E sono ancora più avvertiti in Sicilia, Regione del Sud Italia già in difficoltà negli anni della Prima Repubblica. La Regione siciliana (la Sicilia è una Regione autonoma, in pratica come uno Stato degli Usa) è quasi fallita. A provocare il default non dichiarato della Sicilia è, di certo, una politica fallimentare. Ma anche lo Stato che, lo scorso anno, sempre nel nome dell’Europa, ha scippato dal Bilancio regionale 915 milioni di euro. Più un miliardo di euro scippato quest’anno, sempre alla Regione siciliana, per pagare il Fiscal Compact. Questo ha fatto saltare i conti della Sicilia autonoma. In pratica, per pagare il conto ai tedeschi la Sicilia è quasi fallita e centinaia di migliaia di persone sono alla fame., anche se nessuno lo dice.

I Comuni siciliani sono in buona parte al fallimento, In parte perché sono gestiti male e, in parte, per i tagli effettuati dallo Stato centrale, sempre nel nome del Fiscal Compact.

Ma, oltre a questo – che già è tanto – la Sicilia di oggi deve fare i conti con chi la calpesta. E tra quelli che la calpestano ci sono, in prima fila, i militari americani che hanno già montato il Muos a Niscemi. Un mostro elettromagnetico che, appena entrerà in funzione, provocherà danni ingenti alle piante, agli animali e agli uomini.

La protesta contro il Muos alimenta anche la voglia di mandare al diavolo tutti. Tant’è vero che, ieri, alla manifestazione, si vedevano anche le bandiere del Movimento “No Muos “. Non tante, ma qualcuna c’era.

Ma a gettare ‘merda’ in Sicilia non c’è solo il Muos. Ci sono i signori dell’Eni che, da oltre 50 anni, tengono ‘imprigionata’ Gela, con uno stabilimento chimico che, appena la scorsa settimana, si è incendiato provocando danni enormi all’ambiente. Disastri dei quali tv e giornali non parlano. Una vergogna.

Poi c’è l’Enel che spadroneggia nella Valle del Mela, in provincia di Messina. L’Enel sta realizzando un elettrodotto che non serve alla Sicilia. E lo sta realizzando facendo passare i tralicci ad alta tensione a pochi metri dai centri abitati. In questa zona i malati di leucemia si contano a decine. Ma non gliene fotte niente a nessuno.

Non mancano le raffinerie di petrolio. In Sicilia se ne contano cinque. Eh già, perché la Sicilia raffina oltre il 50 per cento delle benzine italiane. Senza averne in cambio alcun vantaggio. Non c’è un prezzo inferiore della benzina per gli automobilisti siciliani. E, con la scusa che queste imprese del Nord Italia, titolari di queste raffinerie, hanno la sede sociale al Nord, pagano le imposte alle Regioni del Nord Italia. Così alla Sicilia resta solo l’inquinamento.

Il discorso riguarda anche quasi tutta l’area industriale di Siracusa e la raffineria di Milazzo. Per la Sicilia, fregature su tutta la linea.

La novità à che i siciliani, oggi, hanno le palle ‘piene’ di tutte queste storie. Non sopportano più un’Italia schiava della Germania. Non sopportano un’Unione europea di ladri e di massoni. Insomma, ci siamo rotti le scatole.
In Sicilia arrivano tante adesioni. Riportiamo due dichiarazioni da LinkSicilia, giornale on line che chi scrive dirige e che dà ampio risalto alla protesta di domenica prossima.

“La Marcia dell’indipendenza in Sicilia, come quelle dei catalani e come i referendum virtuali in veneto – dice Nando Dicè, Presidente del movimento Insorgenza Civile- sono tutte espressioni di riappropriazione identitaria di realtà territoriali solide e da troppo tempo schiacciate dal pensiero unico della globalizzazione e della mondializzazione. Insorgenza Civile come movimento identitario e quindi consapevole che il popolo Napoletano e Siciliano hanno per lungo tempo coabitato in uno Stato Plurinazionale comune, non poteva non sostenere tale iniziativa. Ogni movimento identitario- sottolinea Dicè- è contrasto alle logiche del Nuovo ordine Mondiale, ogni manifestazione di appartenenza alla propria terra è il segnale che ci sono infiniti modi di essere collegati ai popoli del mondo e che l’omologazione che stanno imponendo non è l’unica strada. Non potevamo far mancare dunque la vicinanza ai fratelli siciliani per chi come noi ambisce all’autonomia del proprio territorio”.

“La Sicilia si lascia derubare dall’Italia, dall’Europa, dalle banche e dagli speculatori. Regala il suo territorio a chi vuole succhiare il petrolio, scaricare veleni o costruire basi militari. Ciò che resta se lo spartiscono i partiti italiani collaborazionisti e i loro servi locali. Per i siciliani, non resta più nulla”, dice Santo Trovato, uno dei promotori dell’evento organizzato dall’Unione degli indipendentisti siciliani. “L’indipendenza avrebbe come effetto immediato l’impossibilità da parte di alcuno di rapinarci.

La Marcia per l’Indipendenza serve anche per incuriosire il siciliano e spingerlo a farsi delle domanda, per esempio “cosa cambierebbe grazie all’indipendenza e quali sarebbero i vantaggi?”.
Ovviamente, giornali italiani e tv non parlano della manifestazione di ieri. Silenzio stampa. Del resto, l’Italia – in materia di democrazia dell’informazione – non si trova ai primi posti nel mondo. Anzi.

Ma la protesta comincia a crescere.

Giulio Ambrosetti
Fonte: www.lavocedinewyork.com/