Desertificazione produttiva della Sicilia

“Mentri ‘u medicu studìa, l’ammalatu si ni va”,
sentenziava l’antica saggezza siciliana. E così mentre si fa un gran
parlare dei risultati che l’economia siciliana avrebbe conseguito negli ultimi
anni, mentre si riscopre l’importanza delle identità e delle autonomie,
si assiste alla devastazione finale di ciò che resta dell’apparato produttivo
siciliano.

Si dirà: è disfattismo! Ma i fatti parlano da soli: è
di questi giorni la notizia della chiusura di un’impresa dell’indotto del
termitano, la nuova CIG e le proteste per la Sicilfiat, l’esternalizzazione
del servizio ispettorato del BDS (e quindi la sua avocazione a Capitalia)….
L’Altra Sicilia, associazione di diritto internazionale a tutela della Sicilia
e dei Siciliani “al di qua ed al di là del Faro”, non vuole
dare ricette semplicistiche: sarebbe volgare populismo. Ma le tragedie vanno
chiamate col loro nome: stiamo assistendo al genocidio economico del Popolo
Siciliano nell’indifferenza della comunità politica italiana “in
tutt’altre faccende affaccendata”.
Noi, per la nostra parte, abbiamo dedicato ben 10 dei 20 punti della Nostra
Carta delle Rivendicazioni del Popolo Siciliano al riscatto economico della
Nostra Terra, ma vorremmo vedere qualche iniziativa analoga altrove. Invece
pare che tutto tace. Lanciamo l’idea, sperando che qualcuno la raccolga anche
non riconoscendocene la paternità (come accade assai spesso, ma poco
importa), di un Libro Bianco per l’Economia Siciliana dove mettere intanto
per iscritto le idee: senza idee non c’è politica e senza politica
non c’è sviluppo.
Che vogliamo fare della Nostra Sicilia? Lasciarla morire? Forza Siciliani!
Usciamo allo scoperto! Richiediamo ciò che ci spetta! Pieghiamo le
politiche “nazionali” dalle logiche nordiste che le animano oggi
a logiche in cui si veda anche per noi uno spiraglio di progresso e di speranza.
Progettiamo nell’Isola il nostro sviluppo. Abbiamo una risorsa inesauribile
o quasi: noi stessi! Chi si rassegna è perduto. Mai come oggi la Sicilia
ha bisogno di camminare sulle proprie gambe e di riappropriarsi delle proprie
risorse, oggi svendute ai “potenti” del Continente. O facciamo sentire
autorevole la nostra voce o sarà la fine.
Come dicevano i nostri avi del Vespro: Antudo.

L’altra Sicilia