La Sicilia non ha bisogno di pedaggi

Tra le tante “attenzioni” che questo Governo ha avuto nei confronti dei contribuenti in generale e della Sicilia in particolare, si vuole segnalare la recente idea balzana (inserita in finanziaria) di “vendere” ai privati alcune strade statali e di estendere a tutte le autostrade siciliane il pagamento dei pedaggi autostradali.
Si preparino dunque i cittadini siciliani a questa nuova stangata; se ne sentiva davvero il bisogno per dare una frustata alla nostra economia asfittica.

Un grazie, un caloroso grazie, a tutti i “nostri” deputati e senatori che hanno saputo difendere con tanta determinazione i nostri interessi.
L’iniziativa del Governo italiano appare inaccettabile per ragioni di principio, di metodo e di merito.
Nel principio, le strade statali in Sicilia non possono che essere “demanio regionale”.

I padri del Nostro Statuto vollero che tutto il demanio statale (eccettuato quello militare ed i beni relativi a servizi di interesse nazionale) fosse devoluto alla Regione, non per godere di un ingiustificato “privilegio” nei confronti delle altre regioni, bensì perché la condizione naturale di insularità giustificava (in nome di un generale principio di sussidiarietà) la possibilità di un governo autonomo del nostro territorio senza alcun danno per la Penisola. Tale governo autonomo del territorio si evince, del resto, da altre norme statutarie e derivate che qui sarebbe lungo richiamare e configura uno spazio di vera e propria “sovranità” della Regione Siciliana sul quale, appunto in linea di principio, la legislazione italiana non può interferire. In tal senso, già è un vero abuso la gestione delle attuali autostrade “a pagamento” in Sicilia, problema che nessuno ha mai avuto il coraggio di sollevare.

Nel metodo, appare improponibile che i media (più o meno controllati dal Governo) strombazzino sulla “riduzione delle imposte dal 2005” (ma quante volte l’abbiamo sentito questo refrain?) mentre con l’aumento delle tariffe si strangola l’economia esangue delle Regioni più povere del Paese; si dica piuttosto che il Governo prepara una stangata … sulla circolazione stradale. Sempre nel metodo, appare poi inaccettabile che lo Stato italiano faccia cassa con le tasche dei Siciliani per aggirare la previsione statutaria che, invece, riservava ad esso solo alcune imposte residuali. In questo, come in altri casi simili, bisognerebbe far capire una volta per tutte a chi ci governa che non intendiamo fare da “colonia” o da “paese tributario” per mantenere alti i profitti del parastato con le sue costose burocrazie romane (autostrade, poste, alitalia, enel,…).

Nel merito, infine, la Sicilia non ha proprio bisogno di pedaggi stradali. Se c’è una riforma da fare, è solo quella della liberalizzazione della Palermo-Messina e della Messina-Catania, al fine di evitare ingiustificate discriminazioni all’interno della stessa isola.

La Sicilia non ne ha bisogno almeno per quattro motivi:
– essendo un’isola, la gratuità della circolazione autostradale non avrebbe effetti sul “mercato” continentale della stessa;
– un problema storico dell’Isola è sempre stato quello della difficoltà di collegamenti interni che, nelle attuali condizioni economiche e sociali, non deve essere ostacolato in alcun modo;
– la tariffa è un tributo non dichiarato come tale, e la Sicilia non può, nelle condizioni contingenti in cui si trova e nella sua posizione di marginalità rispetto al Continente europeo, permettersi lo stesso carico tributario del resto del Paese senza esserne strangolata;
– gli spostamenti autostradali in Sicilia non possono essere considerate “lunghe percorrenze”, né indice di particolare capacità contributiva, per cui la tariffa di fatto introdurrebbe un pericolo tributo regressivo sul traffico locale.

Si pongano a carico della fiscalità generale, piuttosto, i costi della manutenzione autostradale; in questo la Regione faccia pure la sua parte. Si utilizzino i fondi dell’art. 38 per il completamento della rete stradale ed autostradale siciliana e lo Stato italiano cerchi altrove la pezza per tappare i suoi buchi finanziari.

Massimo Costa

L’Altra Sicilia – Palermo, 05/10/2004