Appello al Presidente Mattarella: apra gli archivi sulla strage di Portella della Ginestra

Richiesta al nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella: aprire gli archivi segreti che custodiscono i documenti relativi alla strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947 in Sicilia. C’è ancora molto da chiarire sulla banda di Salvatore Giuliano, i leader comunisti, i fascisti, la mafia, gli americani… Ecco a proposito cosa ha scoperto lo storico Giuseppe Casarrubea negli archivi USA

Ora che si sono conclusi i festeggiamenti per l’elezione di Sergio Mattarella vorremmo lanciare una proposta, rivolta proprio al nuovo capo dello Stato italiano: egregio Presidente della Repubblica, che ne direbbe di aprire gli archivi segreti che custodiscono i documenti relativi alla strage di Portella della Ginestra dell’1 maggio 1947? Tutto il nostro Paese aspetta questo momento da lunghi decenni. Nel 1996, quando la sinistra è andata al potere, sembrava cosa fatta. Ma proprio la sinistra – ministro degli Interni venne nominato un certo Giorgio Napolitano – ha preferito tenere ben chiusi questi archivi, in perfetto stile democristiano. Chi scrive, proprio in forza della sua elezione alla massima carica dello Stato italiano, pensa che sia arrivato il momento di raccontare agli italiani la verità sulla strage di Portella.

Egregio Presidente, lei è in politica dal 1983. Ed è persona ammirevolmente pacata. Chi scrive si occupa di politica per mestiere. Da cronista politico ricordo che una sola volta Lei ha risposto per le rime. E l’ha fatto replicando a un suo collega che, tanto per cambiare, ha tirato in ballo la storia di suo padre, onorevole Bernardo Mattarella – più volte parlamentare nazionale eletto in Sicilia e più volte ministro della Repubblica dal secondo dopoguerra sino alla fine degli anni ’60 del secolo passato – chiamato in causa per la strage di Portella della Ginestra. Ricordo ancora la sua replica, quando ha ricordato che suo padre è sempre stato avversario degli agrari.

Bene. Adesso potrebbe essere arrivato il momento della verità. Non faccia come il suo predecessore, il già citato Giorgio Napolitano, che da ministro degli Interni e da Presidente della Repubblica ha tenuto gli archivi sui fatti di Portella protetti dall’assoluto segreto di Stato. Facendo ciò ha solo avvalorato la tesi che la sinistra siciliana di quegli anni (con riferimento ad alcuni dirigenti del Pci e del Psi) sulla strage di Portella la sapeva lunga. Su questo argomento torneremo più avanti. Ora proveremo a chiarire il perché l’apertura degli archivi segreti sui fatti di Portella della Ginestra sarebbe un fatto positivo.

In questo ‘viaggio’ alla ricerca della verità sulla prima strage di Stato – la strage dell’1 maggio 1947 che ha ‘battezzato’ la Repubblica italiana senza verità, per dirla con Leonardo Sciascia – ci facciamo aiutare da Giuseppe Casarrubea, uno storico che, a proprie spese, negli anni passati, si è recato negli Stati Uniti d’America dove ha preso visione di documenti che sono stati resi pubblici. L’America è un Paese democratico. E, come tutte le democrazie, non teme di confrontarsi con la propria storia. L’Italia non è un Paese veramente democratico. Al contrario, è un Paese dove la politica nasconde la propria storia, forse perché fatta di vergogne e di delitti che debbono restare ‘perfetti’. Da Portella fino alle stragi del 1992.

A Casarrubea ricordiamo il 1996, l’anno di Napolitano, primo esponente della sinistra ministro degli Interni. “Ricordo benissimo gli archivi di Portella rimasti chiusi nel 1996 – ci dice Casarrubea -. E anche dopo. E ricordo inoltre che quando qualche tempo fa Napolitano è stato invitato a parlare di mafia dal pubblico ministero Nino Di Matteo, ha detto che non aveva molto da dire. E’ mai possibile che non gli risultasse nulla? Ricordo quando ha premiato Placido Rizzotto. E tutte le altre vittime della mafia? Così si offende la memoria”. Onore a Placido Rizzotto, sindacalista ucciso dalla mafia negli anni del secondo dopoguerra. Ma, oltre a lui, ci sono stati tanti altri morti per mano mafiosa, negli anni ’50 e dopo. Perché ricordare solo lui? Mistero!

Chiediamo a Casarrubea cosa potrebbe venire fuori dall’apertura degli archivi sui fatti di Portella che lo Stato italiano si rifiuta di rendere noti. “Molti documenti – ci dice – sono in America. Dove sono già a disposizione degli storici. E molti sono nel nostro Paese. Fascicoli e buste. Questi documenti non dovrebbero solo essere resi pubblici. Bisognerebbe anche mettere gli studiosi in condizioni di poterli consultare. Penso, ad esempio, ad una sezione dedicata ai fatti di Portella. Consultando e leggendo i documenti che gli americani hanno messo a disposizione degli storici ho scoperto cose inaudite. E cose ancora più incredibili verrebbero fuori leggendo la documentazione che lo Stato italiano tiene ancora oggi segreta”.

Ovviamente, non possiamo, in un articolo, farci raccontare le “cose inaudite” scoperte da Giuseppe Casarrubea leggendo i documenti che gli archivi americani hanno messo a disposizione degli studiosi. Lui, su tale argomento, ha scritto vari libri: ‘Tango Connection’, ambientato nell’America latina, ‘Lupara nera’ e, ancora,  un’antologia sul come è nata la Repubblica italiana e via continuando. “Tra le tante cose che ho appurato – ci dice sempre Casarrubea – è che già nel 1944 alcuni personaggi che poi ritroveremo nella banda di Salvatore Giuliano venivano addestrati nella scuola di sabotaggio di Campotto di Verona”. Gli istruttori erano tedeschi nazisti. Poi sostituiti da fascisti italiani. “A Partinico, per esempio, operava un nucleo della decima Mas di Junio Valerio Borghese”.

La X Mas è stata un’unità speciale della Regia Marina italiana. Il suo nome è legato  varie imprese di guerra. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la X Mas, rimasta al comando di Junio Valerio Borghese, è stata riorganizzata in corpo franco e poi è entrata a far parte della Marina della Repubblica italiana. Ma il nome della X Mas, nella cosiddetta Prima Repubblica, è legato anche a fatti eversivi di stampo fascista. Qui il racconto di Casarrubea si fa interessante. Perché lo studioso ha scoperto legami impensabili tra la banda Giuliano e il fascismo eversivo che operava nel nostro Paese nei primi anni della Repubblica italiana.

Nella strage di Portella si sa che un ruolo attivo lo ebbe la mafia di Monreale al comando della famiglia Miceli. Casarrubea ha appurato che, dietro i morti della mattina dell’1 maggio 1947, c’erano anche i servizi segreti americani e alcuni gruppi fascisti (qualche fascista addestrato, come già ricordato, si era infiltrato nella stessa banda Giuliano).

Nel 1997 intervistammo Casarrubea, che ci diede una versione dei fatti di Portella sulla base degli atti del processo di Viterbo. Oggi lo scenario è mutato, proprio grazie all’approfondimento che lo studioso ha effettuato sui documenti americani. Allora si ipotizzava che la banda Giuliano fosse stata mandata a Portella per coprire un’operazione stragista. “Invece non è così – ci dice Casarrubea – la banda Giuliano partecipò attivamente alla strage di Portella della Ginestra. I colpi partirono da almeno tre direzioni. Con una notevole varietà di armi. Fucili calibro nove e mitragliatrici Breda. Armi importanti, che potevano sparare da tre chilometri di distanza. Furono sparati oltre mille colpi. Si contarono undici morti e trentacinque feriti. Spararono anche i componenti della banda Giuliano”.

Di quegli anni si ricordano le donne che andavano a trovare Giuliano tra i monti che circondano Montelepre. “Non erano lì per caso o per questioni romantiche – ci dice ancora Casarrubea -. C’erano Maria Ciljakas e Serena Corbellini. Due fasciste che avrebbero dovuto organizzare una rivolta contro lo Stato repubblicano nascente”. Lo studioso ci racconta anche che Giuliano viaggiava molto, anche fuori dalla Sicilia. “A Roma era di casa in un bar dalle parti del Traforo, dove si incontrava con Nino Buttazzoni, braccio destro di Junio Valerio Borghese. Nel 1945 il giornalista Igor Man lo intervista su un treno. E lui, Giuliano, gli racconta tutto quello che, ovviamente, gli poteva raccontare. Per esempio, quanti uomini aveva a disposizione”.

Andiamo alla ritrosità della sinistra italiana nel fare luce sui fatti di Portella. La sinistra del nostro Paese non vuole che vengano aperti gli archivi. Tutto deve restare segreto. Perché? Si racconta che nei giorni precedenti l’1 maggio 1947 tanti dirigenti del Pci e del Psi sapevano che a Portella sarebbe successo qualcosa. E’ vero? “Può anche darsi – risponde Casarrubea -. Giuseppe Montalbano, un dirigente del Pci di quegli anni, polemizzò con Togliatti. Al processo di Viterbo molti testimoni dissero che, quella mattina, sulla strada che li portava a Portella, qualcuno sussurrava la seguente frase in dialetto siciliano: ‘Purtativi a mattola cu ‘u spirito’ (portatevi dietro il cotone con lo spirito per medicarvi le ferite ndr). Altri ricordavano un’altra frase: ‘Ma non lo sapete che oggi gli americani butteranno le caramelle?’. Insomma, qualcosa nell’aria c’era”.

Allora si parlò anche di un memoriale scritto da Giuliano. Anche, in realtà, di memoriali del bandito di Montelepre, soprattutto dopo la sua misteriosa morte, avvenuta nel 1950, di memoriali ne circolavano tanti, alcuni messi in giro da personaggi, forse dei servizi segreti, allo scopo di depistare le indagini. “Il vero memoriale – ci dice Casarrubea – potrebbe essere finito in America, portato lì dal cognato di Giuliano, Pasquale Pino Sciortino nel giugno del 1947. Questo memoriale è sparito. Penso ci sia stato un baratto”.

A questo punto lo studioso ci racconta un episodio molto particolare. Nel 1952 l’Fbi, ovviamente negli Stati Uniti d’America cercano Salvatore Giuliano, che pensano sia ancora vivo e vegeto. Ma trovano un personaggio che ritroveremo negli anni successivi nella mafia a cavallo tra la Sicilia e l’America: Gaetano Badalamenti, detto ‘Tano battaglia’. “Quando lo prendono – ci racconta sempre Casarrubea – Badalamenti dice: sappiate che io sono stato un componente della banda Giuliano…”.

Qui ci dobbiamo fermare. Anticipandovi che Giuseppe Casarrubea è convinto che Giuliano non sia stato ucciso nel cortile Di Maria di Castelvetrano. Lo studioso pensa che quello trovato morto sia stato un sosia. mentre Giuliano era già scappato negli Usa. Ma questa è un’altra storia.

“Oggi – conclude Casarrubea – è importante l’appello al nuovo Presidente della Repubblica. Per aprire gli archivi sui fatti di Portella ancora segreti e chiudere tutte le vicende ancora aperte. Penso a Danilo Dolci, che indagava non perché ce l’aveva con Bernardo Mattarella, ma perché, da sociologo, raccoglieva le testimonianza girando porta a porta. Un uomo, Dolci, che un giorno rischiò anche di morire, salvato da Franco Alasi, un operaio di Sesto san Giovanni che visse in Sicilia accanto a lui per vent’anni. E penso anche allo scrittore Alfio Caruso”.

Giulio Ambrosetti