In Spagna trionfano i Podemos, in Sicilia si va avanti con le clientele

In Europa aumentano i movimenti indipendentisti, in Spagna vincono i Podemos, mentre in Sicilia si assiste a un paradosso: pur avendo a disposizione uno Statuto autonomo dal 1946 non lo applichiamo. Gli stessi siciliani, del resto, appena pochi giorni fa, hanno disertato in massa la festa dell’Autonomia…
Podemos è il trionfatore delle elezioni amministrative in Spagna. Il trionfatore, ma non il vincitore. Il partito indipendentista spagnolo non è riuscito ad avere la maggioranza assoluta e nemmeno quella relativa: anzi, per essere precisi, sebbene con un grande progresso rispetto alle elezioni precedenti, Podemos non è andato oltre il 25 % dei consensi.
Il primo partito del Paese continua a essere il Partito popolare del premier Mariano Rajoy, sebbene con un calo di consensi senza precedenti (ora al 27%, ma alle ultime elezioni era oltre il 40%) e sarà costretto a stringere alleanze con altri partiti per governare.

In tutta Europa esultano gli autonomisti. Dopo i successi degli indipendentisti scozzesi alle ultime elezioni in Gran Bretagna, dopo la performance (in realtà deludente) della Le Pen in Francia e dopo i risultati di Podemos in Spagna, sembra che qualcosa nel Vecchio Continente si stia finalmente muovendo. In tutti i Paesi europei oggi sono attivi gruppi autonomisti, separatisti o indipendentisti. Anzi, spesso ce ne sono diversi. In Francia sono attivi il Fronte di liberazione nazionale della Corsica, i separatisti occitani e i separatisti bretoni. In Belgio operano gli autonomisti fiamminghi del N-Va (che sono diventati la principale forza del Paese). In Spagna Podemos è il più famoso, ma ne esistono molti altri. In Germania sono attivi i bavaresi del Beyernpartei. Elencare tutti i movimenti separatisti o indipendentisti in Europa sarebbe lungo e tedioso.

Non c’è Paese dell’Unione europea in cui non siano attivi almeno un paio di movimenti che rivendicano l’autonomia. Gruppi che non vogliono più essere sottomessi alle regole imposte dai tecnocrati di Bruxelles, di New York e di Francoforte, sedi ufficiali della Triade (l’unione di Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea). E, anche quando questi partiti riescono ad ottenere la maggioranza, come è avvenuto in Grecia con il partito indipendentista di Tsipras, spesso liberarsi dei legacci che tengono legato un Paese all’Ue e ai dettami della Triade non è affatto semplice.
Nessuno di questi partiti, infatti, ha un peso nazionale, ma soprattutto internazionale, tale da consentirgli di recuperare appieno il diritto di decidere del proprio futuro. Negli ultimi decenni le banche, con la complicità di politici collusi, sono riuscite a soggiogare finanziariamente i vari Paesi dell’Unione. Lo hanno fatto costringendoli a rispettare vincoli finanziari che hanno imposto la creazione di debiti pubblici nazionali enormi.

Eppure una regione autonoma, in Europa, c’è. È la Sicilia. In Sicilia, l’Autonomia era già una realtà e da molti decenni. Mentre la maggior parte dei partiti indipendentisti (in Europa, ma anche in Italia) cerca di ottenere, se non l’indipendenza, almeno una maggior autonomia, in Sicilia, almeno sulla carta, l’Autonomia è già un diritto acquisito. Un diritto addirittura antecedente la stessa Costituzione (infatti vi fu inserita nel 1948, se è vero che la conquista dell’Autonomia, da parte della Sicilia, è del 1946).

I Siciliani sono già “autonomi”. Di diritto, forse, ma non di fatto. In realtà, la Sicilia, pur essendo autonoma per diritto, non è mai stata davvero autonoma né sotto il profilo politico, né sotto il profilo economico. Due sono le ragioni di questo stato di cose: la prima, il fatto che, per decenni, politici scelti o imposti ai siciliani da Roma, ovvero dal governo nazionale, hanno assecondato il volere dei partiti nazionali. Basti pensare al tentativo dell’ultimo governo regionale siciliano di rinunciare ai diritti passati, presenti e futuri sulle imposte locali regalandole al governo centrale: secondo quanto previsto dagli art.36 e 37 dello Statuto autonomo regionale (quello che molti dei partiti indipendentisti europei pagherebbero oro per avere) le imposte relative alle attività economiche svolte in Sicilia dovrebbero restare nell’Isola. Invece, da decenni, lo Stato centrale si è appropriato di miliardi e miliardi di euro (non a caso, nessuno ha mai fatto una stima esatta del loro ammontare).

Poi c’è il secondo motivo che spiega l’indifferenza di molti siciliani per l’Autonomia. Per decenni si è fatto tutto il possibile (e anche molto di più) per rendere povera una delle Regioni più ricche d’Italia (e forse d’Europa): la Sicilia possiede, infatti, risorse energetiche di ogni tipo, dal gas naturale alle fonti rinnovabili al petrolio (non a caso Renzi ha deciso di fregarsene dello Statuto e del governo regionale e ha autorizzato le trivellazioni proprio lungo le coste della Sicilia); possiede risorse agricole enormi (non a caso una volta era chiamata il granaio d’Italia); possiede un patrimonio storico monumentale senza eguali nel mondo (abbandonato e in decadenza tanto che l’Unesco potrebbe cancellare molti siti proprio a causa della cattiva gestione pluridecennale).

L’unica cosa che i governi nazionali e regionali hanno fatto crescere è il pubblico impiego. Oggi, in Sicilia, i dipendenti regionali sono 16.540. La percentuale di dirigenti, nell’amministrazione regionale, è abnorme: oggi ad avere il ruolo unico di “dirigenti” sono 1.736 persone, all’incirca un dirigente ogni sette dipendenti. Solo da quest’anno la Regione sta provando a ridurre il numero dei dirigenti. Ad appesantire i costi delle pubbliche amministrazioni della Sicilia sono i lavoratori precari sparsi tra Regione, Comuni e Province (che non sono state abolite: sono solo commissariate e chiamate con nomi diversi). Insomma, la sensazione è che la politica siciliana abbia utilizzato l’Autonomia per ‘gonfiare’ a dismisura gli organici degli uffici pubblici, peraltro senza concorsi, ma sulla base di precari in parte stabilizzati e in parte con contratti che scadono ogni anno.

In Sicilia a prevalere, fino ad oggi, è stata la vecchia politica delle clientele: posti (per lo più precari) in cambio di consenso elettorale. Non c’è, la tra gente dell’isola, amore per l’Autonomia. Quando si parla di movimenti indipendentisti in Europa, alle manifestazioni partecipano centinaia di migliaia di persone. Ben diversa è la situazione quando si parla di autonomismo o, peggio, di indipendentismo, in Sicilia: a partecipare alla manifestazione per la festa dell’Autonomia di pochi giorni fa sono state circa 500 persone. E gli altri cinque milioni di siciliani? Dov’erano tutte queste persone? Erano in ufficio, come tutti i giorni (non a caso questa ricorrenza non è stata considerata “giorno festivo” per nessuno, tranne che per le scuole).

È per questo che l’unica vera Regione “autonoma” europea continuerà ad essere, in realtà, schiava delle decisioni del governo centrale e delle scelte di Bruxelles…

C. Alessandro Mauceri