Palmyra, attacco al cuore dell’occidente

La scorsa settimana, in una incomprensibile (per noi esseri civilizzati) follia, i fanatici dello Stato islamico hanno distrutto uno dei templi più belli del sito archeologico di Palmira e assassinato  barbaramente l’anziano direttore.
Palmira: restiamo  senza parole davanti a tanta crudele rabbia, non riusciamo a capire l’odio che dovremmo invece tradurre da questi atti vandalici. Dovremmo indignarci con una condanna  molto più dura di quanto pur facciamo con le folle di profughi rinchiusi sui barconi, invece tutto scorre, nessuna lettera di protesta dopo le tante aperture all’islam che ci indeboliscono pure sul piano negoziale.
Palmira è storia d’occidente, ha nutrito le nostre radici e anche se non appartiene alla nostra sfera individuale, fa parte sicuramente della nostra cultura, delle nostre origini, evoca(va) il sogno di un Oriente idealizzato, Cicerone e il sogno di Scipione, Aureliano e le campagne orientali delle legioni romane contro la regina Zenobia, le mura di Diocleziano, il colore ocra del deserto, le rose vellutate di Ispahan, i gelsomini di Mossul, gli aquiloni di Kabul. Pur senza averla mai vista, Palmira è parte dei nostri cromosomi, del nostro dna occidentale
Al di là di ogni accezione, religiosa o politica che sia, c’é sempre un desolante vuoto, una rozza ignoranza nel mondo del fanatismo, e lo dimostra lo Stato islamico, il cui  unico motivo trainante è solo quello di fare tabula rasa del passato. Senza mezzi termini il fanatismo nega la Storia , non conosce l’arte, non sa cosa sia  la cultura nè l’emozione estetica che solo l’occidente sa risvegliare, educato com’é al bello e al sublime.
Il conflitto che ci vediamo imporre  oltrepassa la stessa guerra: terribilmente materiale e materialista , spaventosamente concreta, questa guerra appartiene solo al presente, e si  attacca ad un passato “glorioso”, il nostro. Distruggendo Palmira cercano di distruggere il presente, ma Palmira  appartiene all’eternità, alla storia, quella dell’Occidente.
Non ci sono mezzi termini, rendiamoci conto che oggi si scontrano due mondi incompatibili e inconciliabili, l’uno mite ma passivo, l’altro ignorante e crudele. Da una parte rozzi esseri del deserto con cellulari e telefonini portatili che non conoscono il passato , figli di una società nomade che è passata dal cammello al 4×4 e dove è esistita da secoli una sola forma di attività “umana”: il commercio del sale e la tratta degli esseri umani.
Differenze di sguardi, di concetti, di visioni, di costumi. Due mondi effettivamente antagonisti che , mentre l’uno relativizza ogni avvenimento, forte della sua cultura millenaria, l’altro ci detesta, ci odia e la cui conflittualità rabbiosa cerca sempre nuove provocazioni.Come si dice oggi, scontro di civiltà
L’avanzata dell’Occidente, che chiamiamo civilizzazione per opposizione alla  barbarie dell’IS, ha creato valori che sono universali ma che, per sazietà, oseremmo dire, hanno portato l’occidente, secolo dopo secolo, verso il relativismo, il lasciar correre ogni nefandezza, l’apertura al diverso e il voler comprendere ad ogni costo mondi differenti, e peggio, come succede oggi, mondi antagonisti.
La globalizzazione e la dottrina cattolica hanno accentuato questo fenomeno. Dall’alto di una nostra presupposta superiorità accettiamo mondi da noi diversi, cerchiamo ogni compromesso ,ci ergiamo ad arbitri di un gioco di cui  non sospettiamo  la crudeltà nè il fine spesso nascosto.
La saggezza è un nostro punto di forza che diventa nostra debolezza quando scade nel buonismo, nel voler comprendere, ad ogni costo, bombe e tagliagole, quando vogliamo vedere profonde ragione etiche o criticità esistenziali dietro atti di crudele barbarie: è la nostra storia della colonna infame…. Purtroppo oggi siamo confrontati ad un fanatismo sanguinario che non vogliamo combattere e che fingiamo di non capire, banalizzando e relativizzando crudeltà, guerre e barbarie. 
Resta che proprio in questa nostra passività risiede  il grimaldello di questo fanatismo, un’ arma infinitamente più efficace e distruttrice di qualsiasi bomba. 
Eugenio Preta