La legge elettorale siciliana? Un disastro totale

Nel 2001, con l’avvento del presidente della Regione siciliana eletto dal popolo, è stata ‘consacrata’ una legge elettorale per il rinnovo del Parlamento siciliano che definire pessima è poco. E’ una legge che non garantisce matematicamente la maggioranza al presidente della Regione, che tiene in vita un listino senza né capo, né coda e che garantisce solo la vecchia partitocrazia
Oggi parliamo ai nostri lettori di una cosa apparentemente tecnica, irrilevante per la maggiore parte delle persone: la legge elettorale. Ma che c’importa di queste alchimie? L’importante è che si vada a votare democraticamente e poi, quasi per magia, ogni popolo avrà il governo che merita.
Ebbene, cari lettori, non è così, non è affatto così. Il governo, la rappresentanza politica, insomma tutto il nostro futuro dipende proprio da una cosa apparentemente tecnica: la legge elettorale. La legge elettorale decide se il Governo avrà sin dal primo giorno una maggioranza parlamentare solida, oppure dovrà traballare sull’accordo di coalizione tra più forze politiche. La legge elettorale decide se è “facile” che nuove forze emergano dal corpo della società, e intanto possano fare sentire almeno la propria voce, e poi possano ricambiare la classe politica, o se, al contrario, ogni cambiamento è inibito e soffocato fino all’inverosimile. La legge elettorale decide se premiare il voto d’opinione, e quindi a suo modo ideale, o quello d’interesse o corporativo. La legge elettorale decide se la qualità di un rappresentante del Popolo siano la competenza o l’avvenenza, la probità o la sudditanza ad interessi particolari.
E quindi facciamolo questo sforzo, e cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Sicilia, sì in Sicilia, perché – nessuno lo dice – ma in questo istante, per una combinazione di eventi e norme, la Sicilia ha la peggiore legge elettorale dell’orbe terrestre. Una legge non democratica che non garantisce rappresentanza proporzionale alle idee, che favorisce il notabilato clientelare, e che, per paradosso, non garantisce nemmeno la governabilità.
È fatale che con questa legge, chiunque vinca, si troverà davanti un Parlamento squalificato e mediocre, incapace di innovare alcunché, incapace di difendere la Sicilia dalle aggressioni esterne, incapace di essere credibile, e in ultimo riserva di caccia per alcuni residui interessi corporativi e comunque ingovernabile.
Questo Parlamento inqualificabile, a sua volta, servirà per scoraggiare i Siciliani, per dire loro: “Vedete? Non siete capaci di autogovernarvi. Esprimete questo scempio”. E invece non è solo, o non è tutta colpa, dell’elettorato siciliano, come si crede superficialmente. La colpa è del sistema elettorale, che è “immondo”, e che alle prossime scadenze, con la riduzione dei deputati a 70, voluta fortemente a Roma, e avallata dagli ascari, sarà la peggiore dell’universo.
Le leggi elettorali, purtroppo, le scrivono le maggioranze uscenti, nel tentativo di salvare la poltrona ad ogni costo. Si dice che già Renzi stia pensando di abolire il premio di maggioranza e il secondo turno di ballottaggio per le elezioni politiche statali, da quando i sondaggi non gli danno più per certo che l’Italicum lo terrà saldo in groppa per un’altra legislatura.
Un Italicum senza ballottaggio e senza premio di maggioranza sarebbe una strana sorpresa per tutti. Pensate che, in tale non più remota evenienza, se i Siciliani avessero la furbizia di votare per più del 30 % un “loro” partito, questo supererebbe lo sbarramento nazionale e diventerebbe fondamentale per qualunque maggioranza, potendo portare a casa miliardi per la Sicilia, ma soprattutto rispetto istituzionale, finalmente. Potrebbero prendersi persino l’indipendenza a “pezzettoni”, in due o tre legislature al massimo. Ma oggi non vogliamo parlare di elezioni italiane. Parliamo di Sicilia.
Un po’ di rapidissima storia, intanto, sulle leggi elettorali siciliane. All’inizio, I legislatura, si adottò una buona legge per un sistema proporzionale: attribuzione dei seggi con il proporzionale puro nei nove collegi provinciali, e recupero dei resti provinciali su base regionale. Quella legge non garantiva stabilità parlamentare, ma era quanto meno democraticissima. E tuttavia, nonostante questo, il primo presidente della Regione siciliana, Giuseppe Alessi riuscì, solo con due rimpasti, a governare per tutti i 4 anni della legislatura (allora tanto durava, in memoria dei Parlamenti del Regno di Sicilia, che si riunivano ogni 4 anni, poi, nel 1971, un po’ per omologarsi alle Regioni a Statuto ordinario, un po’ perché agli “onorevoli” non dispiaceva stare seduti un anno in più, la legislatura fu portata a 5 anni).
Già nel 1951 la casta cominciò a blindarsi, per far fuori i piccoli partiti, diffusi su tutto il territorio, che rappresentavano un voto d’opinione, e favorire invece i piccoli partiti “fai da te” o le “liste ammucchiata” dei piccoli partiti di governo, che favorivano invece una rappresentanza meno ideale e più clientelare. Si fece una legge, in parte ancora in vigore, in cui i resti provinciali “si perdono” su base regionale, cioè letteralmente si buttano. Votare per un piccolo partito antisistema diventa inutile in 6 province su 9, perché il voto va disperso. Insomma per evitare il ricambio. Nelle più piccole province questo significava di fatto erigere sbarramenti proibitivi: a Enna, ad esempio, sin da subito, lo sbarramento si alzò al 12,5 %. A quel punto votare era praticamente inutile. Qualunque risultato avrebbe dato due deputati alla DC uno al PSI e uno al PCI. E a quel punto, infatti, specie ad Enna, tutto il voto divenne clientelare, e il PCI divenne precocemente uguale alla DC…  La legge era stata fatta per buttare fuori gli indipendentisti che fuori da Palermo e Catania non avrebbero avuto più la forza di raccogliere deputati. E infatti passarono di colpo da 8 a 2, in parte per il loro naturale declino, ma soprattutto per quella legge elettorale notabilare e liberticida. Il declino demografico delle province dell’interno rendeva nel tempo sempre più iniqua e assurda la legge.
Tuttavia, con il proporzionale, e con 90 deputati, tutto sommato quella legge poteva dirsi ancora democratica. E in effetti dava governi stabili. Le crisi di governo erano solo assestamenti, non diversamente dagli attuali rimpasti. La II legislatura (presidente della Regione il democristiano Franco Restivo) ebbe un solo governo e un solo presidente. Molte legislature ne ebbero due o tre, quasi sempre non di più. Alcune ne ebbero uno solo, anche senza presidenzialismo. Ad esempio nel 1986-91 Rino Nicolosi regnò incontrastato. Quando il clima era decadente e frammentato, come negli anni ’90, allora anche gli esecutivi cominciavano a susseguirsi senza sosta. Ma il rapporto tra Assemblea e presidente era molto più solido di quello odierno. La possibilità di sfiduciare il presidente della Regione senza far decadere il Parlamento siciliano rendeva l’azione assembleare più efficace di quella attuale.
Nel 2001 la Regione diventa “presidenziale”, con l’elezione diretta del presidente della Regione. Naturalmente si tratta di un’elezione diretta per modo di dire. Non ci sono mai state “due schede”. Il cittadino è sempre e solo chiamato a votare per i deputati, collegati ad un candidato presidente. Il cosiddetto voto disgiunto, teoricamente possibile, non è mai stato né conosciuto, né usato quasi da nessuno. Di fatto, viene eletto il presidente “trascinato” dal maggior numero di liste.
Nel 2001 non è stata una nuova legge elettorale, ma si è stata adattata, con tutti i suoi difetti, quella del 1951. Sono stati tolti 10 deputati dal proporzionale e sono stati attribuiti ad un listino “del presidente”, o meglio, 9 del presidente, compreso lui stesso, e 1 al miglior perdente tra gli altri candidati presidenti. E’ stato posto un limite per la maggioranza al 60 % dei deputati (cioè 54 al massimo), oltre il quale sarebbero stati ripescati altrettanti deputati con il proporzionale, all’antica.
Nelle prime elezioni il listino non era fatto da veri candidati presenti in una qualche provincia, ma da “nominati” dal candidato presidente, che così si ritrovavano ad essere deputati senza aver ottenuto neanche un simbolico voto di preferenza. In questa “tornata” di nominati, un solo nome voglio ricordare oggi: Alberto Acierno, in “quota” Fiamma Tricolore, ma poi, dopo l’elezione, in quota se stesso.  Vedete che la legge elettorale è importante? Vedete che determina la qualità dei deputati?
Poi, nel 2006, altri correttivi, peggiorativi alcuni, migliorativi altri. Il listino non era più di nominati, ma di candidati veri, di cui quanto meno era possibile misurare il consenso. Però è stato introdotto lo sbarramento regionale al 5%. Questo, combinato con il mancato recupero dei resti al di fuori della provincia, già deciso nel 1951, e mai revocato, ha avuto l’effetto di un poderosissimo sbarramento all’entrata per ogni partito fuori dal “giro”. Si dirà che questo ha aumentato la “governabilità”. Mah, a me non risulta, e in ogni caso è da manuale che se già c’è il premio di maggioranza, a che serve lo sbarramento dei minori? A “non fare confusione”, si dice. Ma la “confusione” la si trovava allora nelle litigiose correnti dei principali partiti del Centrodestra, cioè i Forzisti, e i post-democristiani con varie sigle, allora ras delle clientele e padroni in una pagina oscura della Sicilia, non quanto oggi, ma già assai oscura.
Infatti, a questo punto, un partito minore, sapendo che il voto nelle 6 province minori era perso, non poteva presentare la propria lista in quelle province. Ma, non presentandola, nelle 3 province maggiori doveva prendere ancor più voti, affinché si potesse raggiungere il 5% a livello regionale. In pratica, questo “combinato disposto” è equivalso ad un innalzamento dello sbarramento all’incirca all’8%: percentuale inusitate in una democrazia contemporanea, se si fa eccezione per la legge elettorale del Senato di quei tempi, che non a caso si inseriva nella progressiva e sistematica e pianificata riduzione di democrazia.
Infine, ultimo colpo di maglio alla democrazia siciliana, la riduzione dei deputati a 70 “senza cambiare legge”. Tutti oggi dicono che il presidente Rosario Crocetta deve andare a casa. Ma nessuno denuncia il fatto che, una volta ridotti a 70 i deputati per far contenti gli “omologatori” (non potrò mai perdonare che questo sia avvenuto proprio in una legislatura che si voleva “autonomista”, ma dde che?), non si sia approvata alcuna legge elettorale.
Oggi la Sicilia è senza legge elettorale. Come si va a elezioni, se abbiamo ancora una legge, del 2006, che è pensata per 90 deputati? Nessuno la vuole toccare, si vuole andare ad elezioni per “analogia”. Ma è possibile applicare l’analogia su una materia delicata come quella elettorale? Io credo che, intanto, senza alcuna legge elettorale, qualunque risultato sarebbe illegittimo e impugnabile. Ma, anche a dar buona la teoria dell’analogia, i risultati sono a dir poco aberranti.
Il mondo si straccia le vesti e ride delle legge elettorale turca, che ha posto al 10% lo sbarramento, nel tentativo (vano) di non fare entrare i Curdi in parlamento. In Sicilia, ebbene, li abbiamo superati.
A legge vigente il listino si riduce da 9 a 7 (il 10 % dell’Assemblea regionale siciliana residua), più il maggior votato tra i perdenti. Il listino può attribuire alla maggioranza fino ad un massimo di 42 su 70 deputati, ma ciò, nell’attuale quadro frammentato è impossibile.
I restanti 62 deputati sono ripartiti tra le province su base proporzionale e, come sempre, senza recupero di resti su base regionale. Non tengo conto di “passaggi” di provincia determinati dalla legge sui liberi consorzi: non ci sarà il tempo di regolarizzare la faccenda, e poi forse il consorzio non intacca i confini delle circoscrizioni provinciali, che restano sempre gli stessi. Insomma, in pratica, tenendo conto dei resti, una lista per avere un deputato deve oggi in Sicilia superare i seguenti sbarramenti:
Agrigento 8 %;
Caltanissetta 16,67%;
Catania 3,85 % (e comunque il 5 % a livello regionale);
Enna 25 % (!!);
Messina 6,25 %;
Palermo 3,125 % (e comunque il 5 % a livello regionale);
Ragusa 12,5 %;
Siracusa 10 %;
Trapani 10 %.
Enna sarebbe l’unico collegio al mondo “binominale”. A questo punto sarebbe più saggio dividerla in due collegi uninominali, all’inglese (Nicosia e Enna-Piazza). Il collegio binominale è un non senso, che premia solo le prime due liste, qualunque sia il loro risultato, anche se hanno tra loro una differenza del 20 %!
Gli altri sbarramenti sono comunque lunari! Con le eccezioni di Palermo e Catania, praticamente.
Con questa legge elettorale è platealmente violato l’art. 1 dello Statuto, che dice la Sicilia è costituita in Regione “sulla base dei principi democratici che ispirano la vita della Nazione”. Questa legge non rispetta più alcun principio democratico. È da denunciare non solo alla Corte Costituzionale, ma persino all’OCSE, per la violazione dello stato di diritto. Invece di andare in Bielorussia, i funzionari dell’OCSE possono bene accomodarsi in Sicilia per vedere cos’è una “dittatura partitocratica” unica al mondo.
Nonostante sia così liberticida, il meccanismo delle preferenze “provinciali” favorisce comunque il clientelismo locale di sempre e, nel quadro politico frammentato attuale, non garantisce, neanche con il listino, alcuna maggioranza al Presidente vincitore. Quest’ultimo continua ad essere trascinato dalle liste, e quindi non è in realtà nemmeno votato dai Siciliani, come non lo sono stati né Totò Cuffaro, né Raffaele Lombardo, né – men che mai – Rosario Crocetta.
Abbiamo fatto strike! Abbiamo la legge elettorale meno democratica al mondo, che seleziona la peggior classe politica, e che non garantisce trasparenza e governabilità per l’esecutivo.
Ma com’è che nel Parlamento siciliano non ne parla nessuno? Il presidente, Giovanni Ardizzone, massimo tutore delle nostre istituzioni, non ha nulla da dire sul punto? Ebbene sappiano tutti che qualcuno ne sta cominciando a parlare, ma non solo a parlare, anche a fare. In Sicilia Nazione si sta studiando un ricorso per incostituzionalità per bloccare queste consultazioni palesemente illegali.
Avviso lanciato.
Massimo Costa