La tentazione dell’occidente

A MOLTI SFUGGE QUESTA EUROPA, LA SUA VERA NATURA…

Da tempo ripetiamo che l’Unione europea ci appare un imbroglio, motivato dalla pretesa riappacificazione dei popoli europei, fondato su empiriche rivendicazioni di solidarietà,  con il fine di una nuova colonizzazione di mercati e popoli emergenti, un terzomondismo speculare pero’ ai tempi e quindi esplorato, non come faceva una volta la Chiesa cattolica, attraverso l’evangelizzazione secolare, ma attraverso un’arma letale come quella costituita oggi da economia, finanza e mercati.

Per giustificare la costruzione volutamente federale dell’Europa, oggi non ci incanta più il refrain della fine dei conflitti tra popoli vicini – la petroniana “Wache am Rhein”, la veglia in armi sulle rive del Reno che portava armati tedeschi o francesi ad occupare vicendevolmente ora una parte ora l’altra del fiume.

Né tiene più il motivo dell’era di pace e prosperità, e non ci incanta il volemose bene, il garantismo e il “politicamente corretto” delle decisioni europee, il tutto creato per convincerci della necessità di un’Unione, non dei popoli pero’, ma dei governi e delle banche europei.

“L’andare riformando” dei padri fondatori , tutti – a ben pensarci – rigorosamente democristiani con frange liberaloidi, lo abbiamo sempre subito per sentito dire piuttosto che averlo veramente verificato con mano. Ce lo hanno raccontato ma non ci abbiamo mai creduto, e lo abbiamo dimostrato nella coerenza dei comportamenti tenuti e delle scelte compiute.

Potremmo scriverne di tutto e di più di questa Europa creata a misura di democristi e pseudo libertari; possiamo dire di conoscerla perché praticata per anni, ma non  ci interessano i filmati del sig. Hans Peter Martin, ancora oggi europarlamentare, cacciato dal gruppo dei socialisti europei perché fissato dai controlli sugli sprechi, e sappiamo che i filmati del 2004 non coinvolgevano soltanto Napolitano ma tutti i fortunati iscritti al club del PE (parlamento europeo), tutti, da destra a sinistra, da Nord a sud, da Pajetta a Pannella, da Chirac a Baudis, da Kohl a Jansenn Van Ray, da De la Malene a Simone Veil, da Bersani a Fini, da Casini a Berlusconi, per non citarne che i più titolati o quelli ancora in s.p.e.

Ma questo non ci interessa, così come non ci interessa aprire schedari (privati) per rivelare truffe e intrallazzi compiuti ai danni dei contribuenti europei da quelli che avevamo mandato a difendere i nostri interessi, non fosse altro che proprio  per non apparire vecchi accidiosi che cercano una rivincita alla forzata uscita di scena e alla sconfitta dell’età.

Oggi ci interessa inserire nel dibattito sull’ Europa anche il nostro punto di vista, (che chi ci conosce potrà testimoniare sempre coerente) e le considerazioni fatte a nome di quei siciliani che questa Europa l’hanno auspicata prima e poi sofferta, per ribadire quello che avevamo pensato e scritto e che oggi, nei fatti, sembra tornare d’attualità e svelarsi nella sua giustezza.

Siamo stati sempre filo-europei, ma realisti, convinti perciò della necessità di un’unione che servisse a superare le difficoltà di un mercato globalizzato che ci avrebbe fatalmente distrutti se non ci fossimo presentati in gruppo compatto (diciamo appunto, compatto) di fronte alle sfide economiche transcontinentali, ma piuttosto scettici di fronte all’ipotesi, pur affascinante, ma tutt’ora impraticabile, di  un’ unione politica, come falsamente divulgata dalla sinistra più democristiana o idealizzata dalla “mejo gioventù'” di qualche decennio fa.

Abbiamo perciò imparato a identificare il valore delle Piccole Patrie, proprio per mettere in risalto la nostra Isola e poterla mettere in evidenza come entità a se stante e distinta storicamente e culturalmente dal resto d’Europa, nella costruzione informe che la vulgata corrente stava facendo del vecchio continente.

La necessità che le differenze tutte – lingua, tradizioni e culture –  fossero salvaguardate per non cadere in un calderone informe del “tutti uguali e tutti federati”, ci aveva portati a ritenere che  una costruzione confederata di Stati Nazionali (e Piccole Patrie) che restassero sovrani e che potessero, alla bisogna, sacrificare parti delle loro sovranità specifiche, per periodi di tempo determinato, potesse essere un’ipotesi valida e percorribile senza sconvolgimenti per i popoli europei, anziché il tanto politicamente corretto federalismo ad ogni costo.

Le sinistre, una volta anti-europee, si sono riciclate in una filosofia  comunitarizzante e, vincenti su quasi tutta la linea continentale, imponevano il verbo federalista nella sintassi europea, tanto che se non eri federalista restavi  fuori gioco da tutto: dibattito, considerazione, e carriera pure.

Perciò siamo stati e forse siamo ritenuti blasfemi dell’Europa, nonostante il paradosso che quello che noi professiamo e richiediamo per le nostre nazioni, l’Europa lo auspichi per i popoli extraeuropei.

La politica dei “due pesi e due misure”, come purtroppo avviene anche rispetto alle direttive che concernono ad esempio le produzioni agricole europee, vessate da obblighi e divieti, a fronte di un liberismo assoluto e senza regole rispetto alle produzioni che provengono da fuori europa e che, verosimilmente, non offrono  alcuna garanzia di qualità nè di protezione ambientale o peggio dei diritti dell’uomo, costituisce il linguaggio comune delle istituzioni che nel federalismo trovano linfa vitale alla loro sussistenza.

Cosi’ nei supermercati Ipercoop o Conad o Esselunga dei nostri paesi non troviamo più cipolle di Tropea o pomodorini di Pachino, ma aglio cinese e pesce del golfo del Tonchino. Col silenzio dell’Europa e senza che l’Italia avanzi la minima protesta.

La globalizzazione è sembrata sempre una scusa plausibile ma, alla luce dei recenti avvenimenti, permetteteci di approfondire.

Ribadiamo che nel consesso europeo l’Italia, nonostante ci si bei a parlare di stato fondatore, non conta niente perchè non è riuscita a farsi  stimare. E non oggi che ci potrebbe essere la scusa del bunga bunga, ma da sempre. Restiamo  considerati sempre i soliti mandolinari, inaffidabili ma, e questa è la cosa peggiore, incapaci di reazione. Accomodanti e incapaci di reazioni. Ci accontentiamo dei pesci tiratici in faccia e non sappiamo reagire con dignità come farebbero invece inglesi e francesi, ma soprattutto polacchi e spagnoli quando vengono tirati in ballo i loro interessi primari.

Prendiamo ad esempio quello che facciamo a Lampedusa nei confronti della massa di gente che arriva con barconi di fortuna. Abbiamo messo in moto un sistema sanitario, di assistenza e di  sussistenza che certamente fa onore ad una terra di accoglienza come è da sempre la Sicilia, ma non sappiamo reagire ai ragazzotti che bruciano case e suppellettili  e andrebbero presi a calci invece di evocare la tutela dei diritti delle minoranze, come fanno pacifisti e troppo benpensanti pronti a condannare l’esigenza del rispetto delle regole e dei diritti umani quando osiamo minacciare  Il pugno duro (Dio ce ne scampi)  mentre si riesce persino a giustificare i doganieri di Zapatero, governo socialista allineato al verbo federalista quando respingono a fucilate, con relative vittime, gli immigrati che vogliono passare il confine spagnolo a Ceuta & Melilla.

La riprova della vicenda della Libia  è esempio eloquente, tanto che ancora oggi non sapremmo dire con chi effettivamente stiamo: col satrapo africano e con le non meglio identificate truppe cammellate in rivolta. La conseguenza di questo tergiversare in pratica ci ha proiettato in una guerra mediterranea che i francesi hanno deciso per tutti.

La dimostrazione lampante che l’Europa è fallita sia nello spirito che nella lettera dei Trattati costitutivi. Neanche più area di libero scambio senza regole, non più mercato di capitali soprattutto e men che meno entità politica che riesce a parlare ad una sola voce nelle crisi internazionali, ma soltanto imbroglio intessuto sulla pelle dei popoli.

Crisi tanto più eclatante che oggi a parlare di mettere fine a questa Unione forzata non si rischia neanche più di essere additati come nazionalisti o razzisti, ma risponde ad una esigenza avvertita e dimostrata dai popoli e ne è dimostrazione il consenso riservato ai partiti che non parlano di utopia europea e che additano nella mollezza e nel fallimento di questo progetto di unione le cause di un fallimento.

Resta che l’Italia, paese fondatore e contribuente netto dell’unione europea, non riesce neanche nella vigilia della fine a imporsi con autorevolezza. Si fa rimbrottare dalla Commissione esecutiva, il governo tecnico di burocrati proni a Francia e Germania, molto più autoritari di noi nelle rivendicazioni di leadership europea.  e non riesce a tutelare le relazioni privilegiate intessute con i libici, ora ritenute azzardate, real politik diciamo noi, con la discriminante dell’approvvigionamento energetico necessario e, dulcis in fundo, ci destina una serie di esodi biblici che dobbiamo sorbirci senza poter spalmare sulla solidarietà europea la massa di sventurati e avventurati, problema che tocca, secondo i nostri furbi  partners europei, esclusivamente lo stato  italiano, e  diciamo noi, per quella suddetta difficoltà di reazione e per la conseguente teoria del “paga sempre l’ultimo”, sempre e comunque lo stato siciliano.

Eugenio Preta