L’esigenza del “rendere conto”

Quello delle riforme necessarie al funzionamento dell’Unione europea, alla vigilia delle nuove adesioni è un tema che coinvolge le istituzioni e gli organismi dell’Unione che appaiono superati dalle nuove realtà e confrontati a nuove esigenze. Oggi, soprattutto la Banca centrale, il patto di stabilità e la direzione della concorrenza, organismi che pilotano la politica macroeconomica dell’UE, sembrano sfuggire al dibattito. Nel momento in cui le istituzioni economiche europee si rivelano determinanti per l’avvenire democratico dell’Unione , il loro stesso modo di funzionamento sembra contraddire il progetto di costruzione europea, che si vuole democratico.

Per loro stesse esigenze funzionali, questi tre organismi sono esentati dall’obbligo di rendere conto agli elettori europei e a qualsiasi assemblea elettiva, con la conseguenza che le scelte nazionali sono poste sotto la tutela di regole decise da autorità sopranazionali nominate e non elette. E questa impossibilità degli elettori europei di intervenire su regole che sono tanto determinanti per la loro vita quotidiana, costituisce il limite dell’esercizio delle loro stesse libertà. Prendiamo l’esempio della BCE Non è il suo statuto di autorità indipendente a creare il problema, ma il fatto che il Parlamento europeo non abbia nemmeno il potere di modificarne gli statuti, come avviene, ad esempio, alla Federal Riserve, la Riserva federale USA che resta, da questo punto di vista, sottomessa al controllo del Congresso.

L’istituto europeo, dotato del potere di emettere moneta e di fissare il tasso di interesse e, di conseguenza, di poterlo mantenere anche a livelli elevati, in definitiva possiede il potere di sanzionare gli stati membri che perseguono una politica economica diversa da quella da esso indicata, soprattutto quando chiede ai governi degli stati membri di ridurre la generosità delle loro politiche sociali. Si arriva al paradosso che la BCE può sanzionare gli Stati per le politiche che questi conducono in maniera autonoma, ma al contempo questi Stati sono nell’incapacità di poter intervenire sulla Banca centrale.

La sovranità democratica che si esprime chiaramente nelle politiche pubbliche interne condotte dagli Stati, raggiunta la dimensione esterna, si trova ostacolata dal potere di un’autorità che si afferma come un potere indipendente, a causa del suo statuto, e supremo, a motivo delle prerogative di cui è dotata. Se si ammette che sovrano è il potere che non ha assolutamente superiori, constatiamo che la sovranità europea sia passata non dagli Stati membri alla Commissione esecutiva, ma dagli stati membri a quegli organismi indipendenti che organizzano le condizioni generali della politica economica definendone i limiti secondo criteri che esprimono una vera e propria scelta politica, operata da istituzioni libere da un obbligo: quello del « rendere conto ». Indipendente, ciascuno di questi organismi, lavora autonomamente rispetto agli altri due, il che appare inammissibile dal punto di vista economico.

Democrazia ed efficacia, costituiscono il doppio criterio che dovrebbe permetterci una valutazione efficace degli organismi che hanno a carico la politica macroeconomica europea. Oggi il sistema europeo non prevede nessuna procedura di responsabilità della Banca centrale davanti ad un’assemblea di eletti, come avviene invece per tutte le banche centrali del pianeta.

Se prendiamo per assunto che la democrazia economica è una meta-istituzione che permette di prendere delle decisioni basate su un insieme di dati il più possibile completo, in modo di poter far fronte alla complessità delle realtà a cui si applica, l’obbligo di “rendere conto” è una delle condizioni che determinano il successo degli organismi economici. Ora, per suo stesso statuto, la Banca centrale è stata messa in misura di ignorare qualsiasi pressione esterna, qualsiasi richiesta di trasparenza, fornendole mezzi idonei per esercitare tale “insensibilità”.

Per tale ragione potrebbe essere oggi opportuno sottometterla ad una procedura di responsabilità davanti ad un’assemblea politica, proprio per il fatto che una democrazia non puo’ ridurre i suoi spazi di scelta senza, alla lunga, interrogarsi sulla natura del regime da lei creato. Lo statuto e il ruolo degli organismi finanziari europei condizionano oggi l’emergere di un modello politico inedito e problematico. Tale modello non si traduce nel « governare per scelta » ma nel « governare per regola ».

Solo la legge può esprimere una scelta equa perché frutto della decisione di un’assemblea eletta e dunque responsabile. Solo ciò che decide la legge quindi è la conseguenza di una scelta politica condivisa.. La regola europea relativa agli organismi finanziari, ben lungi dal realizzare l’estensione della procedura democratica ad uno spazio transnazionale delimitato dalle frontiere dell’UE, restringe la procedura democratica in seno a ciascuno degli Stati membri.

Così, il deficit democratico europeo è il risultato non solamente della mancanza di procedure e di istituzioni comuni e democratiche, ma ugualmente della debolezza del principio di trasparenza attuato nei confronti degli stati membri. Sarà difficile quindi concepire un’Europa democratica senza restaurare la sovranità budgetaria degli Stati membri, cosa che non richiede assolutamente una rivoluzione istituzionale improbabile o imprudente, ma semplicemente la ridefinizione degli attuali criteri contabili.

Ritirare ad esempio l’investimento pubblico dai calcoli del deficit budgetario oltre essersi rivelato oltremodo necessario, potrebbe costituire il tentativo di orientare lo sforzo europeo verso la ricerca di vie e metodi atti a preservare la legalità democratica degli organismi finanziari, in un mondo segnato, ormai senza possibilità di ritorno, dal declino delle sovranità degli Stati nazione.

eugenio preta