Pochi Stati senza guerra, secondo l’Indice Mondiale di Pace

Secondo l’indice GPI, il qualificato Global Peace Index che classifica gli Stati e le regioni del mondo  secondo l’attitudine di un determinato Paese ad essere considerato pacifico,  attualmente soltanto 10 Paesi possono essere considerati totalmente esenti da conflitti:  Botswana, Cile, Costa Rica,  Giappone, isole Mauritius, Panama, Quatar, Svizzera Uruguay e Vietnam.  Onestamente  un po’ pochino per un globo terraqueo che conta 324 Stati, solo 197 dei quali però ancora riconosciuti dall’ONU.

L’indice in oggetto è prodotto su base annuale ed è sviluppato dall’Istituto per l’Economia e la Pace, lo IEP, in collaborazione con un équipe internazionale di esperti di pace, da istituti universitari  e da think tank.

Se si verificassero le indicazioni fornite quest’anno dall’Istituto,  il nostro mondo risulterebbe molto più’ pacifico se riuscissimo a togliere il Medio Oriente dai parametri di calcolo. In effetti la recrudescenza della situazione di guerra in Medio Oriente , insieme alla mancanza di soluzioni elaborate per fare fronte  alla grave crisi dei migranti e all’aumento delle vittime degli attentati terroristici, hanno contribuito a rendere il mondo molto meno sicuro , proprio nel corso dei quest’anno.

La colpa maggiore del deterioramento globale è dovuta all’evoluzione delle crisi in Medio Oriente e in Africa, regioni meno pacifiche del mondo.

L’impatto del terrorismo è l’indice più’ frequente della misurazione della  crisi globale, considerando peraltro che non ha cessato di crescere nel corso dell’ultimo decennio,  tanto che  gli indicatori presi a parametro sono stati appunto  gli effetti del terrorismo e dell’instabilità politica.

Dai dati si evince come  il numero d’incidenti annuali sia  più’ che triplicato dal 2011 e che il numero di vittime sia  passato ormai a più’ di 30mila persone.

Quest’anno le vittime causate dal terrorismo sono aumentate dell’80% rispetto al 2015 ed il numero di Stati che soffrono atti terroristici è più’ che raddoppiato passando da 5 a 11.

Infine  soltanto 69 paesi possono dire di non registrare incidenti legati al terrorismo e all’instabilità politica.

La violenza terroristica ha un indubbio impatto sull’economia mondiale, quantificato in 13.600 miliardi di dollari a parità di potere d’acquisto, il 13% dell’attività economica mondiale.

A questo punto fare un collegamento negativo tra islam e la pace mondiale potrebbe risultare un amalgama improponibile alle illuminate menti progressiste ma, a dispetto del political correct tanto di moda, oggi i dati riportati dal prestigioso Istituto per l’Economia e per la Pace ci confermano chiaramente la netta dipendenza fenomenologica tra crisi economica attuale e deterioramento della situazione nei paesi “MENA”, vale a dire del Medio Oriente e del Nord Africa.

Questa parte del mondo versa  continuamente in stato di guerra e l’Europa è il Continente più’ colpito dai flussi migratori derivanti che hanno raggiunto, nel corso del  2015, la cifra di quasi due milioni di arrivi con 1.256.000 di richieste d’asilo.

Quanti centri di accoglienza a questo punto saremo costretti a istituire per accogliere tutta questa gente, la maggior parte della quale non mostra attitudini  particolarmente “amichevoli” per una società che hanno imparato a considerare ostile?

Occorre a questo punto che il mondo occidentale si renda conto di una situazione migratoria diventata non più sopportabile e decida, una volta per tutte, di intervenire all’origine del fenomeno,  laddove scoppiano guerre e violenze, per stabilire la pace della regione, ma soprattutto  permettere che quelle popolazioni trovino in casa loro possibilità di sviluppo e futuro, prevenendo i flussi migratori.

Una vera calamità economica e politica che potrebbe scatenare il rifiuto degli europei, costretti oggi a subire le imposizioni di un’Europa lontana e di governi nazionali distratti, avvertiti come una resa effettiva di tutta la civiltà dell’occidente.

Eugenio Preta